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L'Isola che non c'è. Viaggio (tra flop e sogni) nella nuova gentification di Milano

Gianluca Ferraris

La rivoluzione per ora non è decollata. E sono i numeri a dirlo: ad esempio quelli messi pubblicati dalla Camera di commercio meneghina in collaborazione con FIMAA Milano Monza & Brianza

Quando Denny Malone, il protagonista di Corruzione di Don Winslow, scopre che South Harlem è stata ribattezzata SoHa da qualche agente immobiliare rampante, tuona: “L’acronimo è la campana a morte di ogni quartiere. Se questi stronzi affaristi possedessero terreni nel girone più basso dell’inferno, sarebbero capaci di chiamarlo LowHel e tirarci su loft e caffetterie”.

 

Diciotto mesi fa, via Padova e le sue traverse erano tutt’altro che una cerchia dantesca, nonostante lo storytelling a base di anfetamine, risse tra ubriachi e pandillas. E la zona non è certo diventata oggi Hampstead o Kreuzberg o il Marais dopo che un pugno di immobiliaristi ha reclamato un acronimo anche per lei. A NoLo (North of Loreto, crasi che sopravvive sugli opuscoli Tecnocasa) la vita scorre uguale come sempre: la classe media c’era prima e c’è adesso, un hipster fotografa i murales per postarli su Instagram, i polli continuano a girare sugli spiedi degli alimentari peruviani, il multiculturalismo è un assemblaggio meglio riuscito e meno ostentato che altrove. Un paio di bistrot e di gallerie d’arte in più, certo. Ma la rivoluzione non è decollata, e sono i numeri a dirlo. Quelli appena messi in fila dalla Camera di commercio meneghina in collaborazione con FIMAA Milano Monza & Brianza rivelano che a partire dal secondo semestre del 2016, cioè da quando la crescita di prezzi e compravendite già in corso dal 2015 ha ulteriormente accelerato, le quotazioni e gli acquisti in zona sono rimasti sostanzialmente invariati: rispettivamente +0,2 e +0,7 per cento su base annua. Indici lontanissimi dal mercato di Isola, pietra filosofale di ogni immobiliarista o aspirante tale: il quartiere popolare in posizione favorevole, prima invaso dagli artisti in bici e ora in attesa di finire come Brera, o meglio come i Navigli verso i quali già si intravedono prodromi di rivalità e alterigia che fanno molto Roma Nord.

 

La gentrificazione accelerata di Isola e quella (per ora) mancata di NoLo – ma si potrebbero citare pure il flop di altre giovani promesse semicentrali come Maggiolina e piazza Udine, o il bluff dei loft di Mecenate – sono un buon punto di partenza per sezionare il mercato immobiliare di una città dove il fermento è difficile da incanalare lungo le direttrici urbanistiche classiche, come scrive il sociologo Giovanni Semi nel suo Gentrification - Tutte le città come Disneyland (Il Mulino). Qui c’è una regia pubblica ben definita, settata sul lungo periodo e sufficientemente bipartisan, a cui fa da contraltare un’iniziativa privata insolitamente anarchica: proprietari che ai primi sentori di cedolare secca e rimodulazione Imu preferiscono vendere, contribuendo a calmierare i prezzi anche nelle zone più trendy; domanda in crescita ma poco liquida; archistar ancora alle prese con riconversioni old style, mentre gli agenti immobiliari abbracciano il quadrato e lo squadrato del post-industrial.

 

Fra gli addetti ai lavori, nessuno più si azzarda a esporre scenari futuri di prezzature al metro senza aggiungervi immensi benefici del dubbio. Così, per capire dove sorgeranno i prossimi appartamenti che non possiamo permetterci, dove fioriranno le prossime temporary gallery, officine del piloga e bistronomie irrinuniciabili, l’unica bussola affidabile restano gli investimenti infrastrutturali programmati. Non poca roba: 10 miliardi pubblici e privati da qui al 2030, che impatteranno soprattutto sulle aree a ridosso della seconda circonvallazione. Ai margini del tracciato della nuova Circle Line, l’opzione più interna e costosa include buoni negozi, trattorie ancora migliori e vicini che sorridono, senza che la scelta dei punti cardinali abbia troppa importanza: Lodi o Wagner, Sant’Agostino o Città̀ Studi (l’eventuale trasloco della Statale potrebbe lasciare praterie di opportunità). Chi ama le scommesse di lungo periodo può invece puntare sulle nuove stazioni della Circle Line che sorgeranno nel prossimo decennio. Tibaldi, Stephenson e Dergano impegnano meno di Farini, destinata a diventare appendice wannabe-Central Park di Isola. Le rendite più interessanti potrebbero arrivare però da due aree agli antipodi. Fra Zara e Istria l’ambiente è discreto ma non troppo, novecentesco imbastardito da qualche casermone, primi artisti in esplorazione, la Lilla che fa molto decrescita felice e in un attimo ti porta a Chinatown o al Sempione. E poi c’è l’area fra Corvetto e Romolo. Qui le gru già prosperano, il futuro polmone verde dello Scalo Romana è a un passo così come la fondazione Prada e lo Iulm, e qualcuno fiuta l’affare. I nuovi abitanti del quartiere un tempo periferico pagano il mattone a caro prezzo (+4,7% su base annua, record esterno all’area C) e non si curano del fatto che i loro edifici con facciata ecocompatibile sorgano accanto a quelli segnati dalle fiamme. La coesistenza forzata e le spaccature sociali potevano far esplodere, invece qui prima ancora di rendercene conto incroceremo bambini ariani che sfrecciano sui loro monopattini in carbonio, inseguiti da madri magre, fintamente apprensive. I segnali ci sono già tutti, ma per dare l’ultima spallata serve un immobiliarista scaltro che la ribattezzi, chessò, CoRo.

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