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Il Milan e i soldi del Diavolo

Piccola analisi finanziaria dello strabiliante calciomercato del Milan targato Elliott (E intanto Suning)

Dopo neppure un mese di calciomercato pare che gli unici cinesi di Milano, Chinatown a parte, siano quelli del Milan. E che il derby lo abbia già stravinto il finanziere Yonghong Li. La miliardaria corazzata Suning della famglia Zhang ne sta defilata. Anzi, proprio ieri da Pechino è arrivata una mazzata: mentre l’Inter sbarcava a Nanchino martedì, la tv di stato cinese CCTV ha trasmesso un reportage assai critico sull’acquisto della squadra italiana da parte di Suning, con tanto di ipotesi di riciclaggio. E ieri il gruppo alla Borsa di Shenzhen ha perso il 6,5%. Così per il momento Luciano Spalletti e Walter Sabatini devono tenere un profilo basso. E dai cugini per ora apparentemente più spendaccioni, ricchi e agguerriti piovono gli sfottò. Ma sarà vera gloria? E’ tutto oro (cinese) quello che luccica? Finora da mister Li sono arrivati solo 22 milioni: l’acconto dell’aumento di capitale da 60 milioni. Il resto? Il vero cash a disposizione dei dioscuri del calcio mercato, ovvero Marco Fassone e Massimo Mirabelli (una decina di acquisti già definiti), arriva esclusivamente dall’hegde fund americano Elliott che ha concesso complessivamente, tra Milan e holding di mister Li, qualcosa come 303 milioni. Ovviamente non a fondo perduto, come invece ha fatto per 30 anni la Fininvest di Silvio Berlusconi che nel regno interminabile e pluridecorato ha garantito qualcosa come 900 milioni (150 milioni solo nel 2015 e altri 40 milioni nei primi mesi del 2017, prima dell’agognato #closing ). Perché è stata Elliott a garantire i due bond da 127 milioni emessi sulla Borsa di Vienna, non certo banche o imprenditori o assicuratori cinesi. E neppure qualche ente pubblico del paese della Grande Muraglia. Ed è quindi grazie ai soldi americani e alle indiscutibili capacità tecniche di Mirabelli e Fassone che sono arrivati i vari Bonucci (7,5 milioni netti all’anno più bonus per cinque anni), Biglia, Musacchio, Kessié, Rodriguez, André Silvia, Conti, Borini, Calhanoglu e i fratelli Donnarumma (al tormentone pre-estivo Gigio sono stati garantiti 6 milioni netti all’anno; al fratello che farà il terzo portiere, 1 milione). Una shopping da saldi di fine stagione.

 

E invece sul mercato il Milan ha già impegnato qualcosa come 200 milioni. Altro che Juve, Inter, Napoli e Roma. Una campagna acquisti quasi faraonica. Curioso poi notare come questa somma, parziale, equivalga quasi al fatturato 2016 del club rossonero, 236 milioni, e sia in tutto simile ai ricavi del 2015, 213 milioni. Una vera scommessa, in attesa del grande colpo annunciato per rafforzare l’attacco (Belotti valutato da Urbano Cairo almeno 70 milioni, o Morata al quale sarebbe stato offerto in ingaggio netto di 10 milioni almeno di euro all’anno, con costo aziendale raddoppiatoa 20 milioni). Anche perché per ora chi ci guadagna è solo Elliott che non solo ha in pegno il 100% del capitale della squadra ma ha pure in mano l’intero capitale della holding Rossoneri Sports Lux di mister Li, oltre ai marchi del Milan e altre postille. Hegde fund, o se vogliamo italianizzare fondo speculativo, che non ha alcun interesse sportivo o industriale ma è che attratto dall’incasso di 56 milioni di interessi che il patron cinese e il club dovranno riconoscere complessivamente nell’arco di soli 18 mesi. Giusto il tempo, quindi, di finire la stagione 2017-2018.

 

Ed è per questo che forse il Milan sta correndo come un matto per essere davanti a tutti: i manager e il proprietario vogliono garantirsi l’accesso diretto in Champions League – l’accesso e la vittoria del girone garantiscono introiti per alcune decine di milioni non di più – per potersela giocare sia con l’Uefa in termini di fairplay finanziario (il secondo round di incontri è previsto per ottobre), sia per poter spuntare una valorizzazione più alta ai fini della probabile quotazione in Borsa, a Hong Kong. I rossoneri, però, perdono storicamente qualcosa come 60-70-90 milioni su base annua: difficile, se non impossibile, oggi, ottenere il via libera allo sbarco su un qualsiasi mercato regolamentato. A meno che non ci sia il miracolo, tanto atteso dal popolo rossonero, di Vincenzo Montella che dovrà pure assembleare una squadra ex novo con 9 titolari che non si conoscono. Un’impresa non certo facile per un allenatore che nella seppur breve carriera ha vinto solo una Supercoppa italiana.

 

Così il rischio vero, si dice in ambienti finanziari e bancari, è che se dalla Cina non arriva il vero cavaliere (non Berlusconi) bianco, ossia il big Huarong, il vero proprietario del Milan divenga Elliott, che non a caso in cda ha fatto inserire il suo uomo di fiducia e consulente Paolo Scaroni, grande amico del Cav., quello vero, nonché vicepresidente di quella Rothschild che ha curato, per conto dei cinesi, l’affare, o a questo punto l’affaire, Milan.

 

Ps. Il fondo Usa ovviamente potrebbe avere una sua strategia. Riprendersi, tra meno di due anni la squadra rossonera e rivenderla poi, a prezzi decisamente inferiori rispetto a quelli riconosciuti da mister Li (740 milioni, oltre 200 milioni dei quali di debiti). E vuoi che per 100 o 200 milioni, nella disgraziata ipotesi che i rossoneri non riuscissero a vincere lo scudetto – i bookmaker ancora li danno indietro rispetto alla Juventus e, per ora, pure al Napoli – e neppure a qualificarsi in Champions alla fine della prossima stagione, non si trovi un investitore o imprenditore disposto a spendere una cifra ragionevole per prendersi il Diavolo?

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