L'impero dei centri commerciali

Daniele Bonecchi

Esselunga in Borsa, australiani a Segrate e piste da sci ad Arese. La terza rivoluzione è appena iniziata

Mentre il gruppo Esselunga, respinto l’assalto cinese (7,5 miliardi), trovata la pax familiare tra gli eredi Caprotti, decide di avviare le procedure per l’approdo in Borsa (ci vorranno un paio d’anni), la grande Milano somiglia sempre più a Las Vegas. Solo che al posto dei casinò vede crescere i grandi centri commerciali. Il sistema del commercio nella grande metropoli ha cambiato pelle e natura. Il 1986 fu forse l’anno della svolta. Chiusa l’Alfa Romeo al Portello, a Milano tutto cambia. Oggi, al Portello come ad Arese, a Segrate come a Sesto San Giovanni, al posto delle fabbriche ci sono le grandi macchine di Jules Verne: spettacolo, consumi e fantasia; cinema, palestre e grandi sapori. Alla fine degli anni 80, nei quartieri come San Siro, comincia lentamente a cambiare anche la periferia, con le sue botteghe e qualche mercato rionale. La classe operaia, un po’ alla volta, cede il passo ai migranti del nord Africa. Oggi solo macellerie islamiche e phone center. Ma la stagione dei grandi centri commerciali di terza generazione è appena cominciata. A Segrate sono arrivati anche gli australiani del gruppo Westfield Corporation, pilotati da Antonio Percassi con la sua Stilo Immobiliare Finanziaria. Percassi, l’inventore con la holding Odissea Srl, dell’Orio Center (appena ampliato) e dell’aeroporto di Bergamo, ha deciso di tentare l’avventura milanese. Per facilitare la volata degli australiani ci si è messa anche la Città Metropolitana, che (pur non riuscendo ad asfaltare le strade della Provincia) col Comune di Milano ha realizzato il progetto per un possente “Hub Metropolitano Segrate-Porta Est”, per collegare il mega centro commerciale – via Linate (M4) – alla città.

 

Ovviamente pagato dagli australiani. Non basta, il comune di Segrate, ha pronto uno studio per una “linea di trasporto pubblico vincolata aerea” che, attraverso il bacino dell’Idroscalo, connetterebbe l’aeroporto al centro commerciale, agli impianti sportivi e i servizi dell’area con la stazione del passante ferroviario. Quattro km di funicolare pronta per scaricare nel cuore dello shopping – ci sarà anche la prima sede italiana delle Galeries Lafayette – turisti cinesi e sauditi. Il taglio del nastro è previsto per la fine del 2019. Si tratta di un’area di 604 mila metri quadri, per quello che i promotori amano definire “il principale shopping mall del paese”.

 

Uci Cinemas, allestirà 12 sale per 2.500 posti, non mancheranno 300 negozi, un luxury village di circa 50 boutique e oltre 50 ristoranti. Intanto, dove un tempo batteva il cuore della Campionaria, c’è chi morde il freno: il 30 novembre, una manciata di giorni prima di Natale, apre infatti il City Life Shopping District, al centro dei tre grattacieli firmati da Zaha Hadid, Arata Isozaki e Daniel Libeskind. Un’area di 366 mila metri quadri dove sono state costruite 530 unità residenziali e dove lavoreranno (a regime) 9.000 persone. L’area commerciale copre 32 mila metri quadri e ospiterà oltre 100 tra negozi e ristoranti e una multisala. Il sabato c’è sempre una fila di auto lunga chilometri, in marcia verso l’Arese Shopping Center. Dove c’era la catena di montaggio dell’Alfa ora lavorano più di 2.000 persone, ci sono 230 negozi e 25 ristoranti: è la creatura di Marco Brunelli, classe 1927, patron di Finiper e fondatore con Caprotti, nel ’57 di Esselunga. Ma adesso il Centro di Arese ha già bisogno di nuovo spazio, nuove idee. Sarà allestito proprio lì lo Skydome, la prima pista da sci al coperto (in fondo ce n’è una anche a Dubai, nel deserto), lunga 400 metri e pronta ad accogliere appassionati e ragazzi in attesa della settimana bianca. A curarne la realizzazione è Michele De Lucchi, l’architetto che ha firmato anche il Padiglione Zero di Expo.

 

Ma che fine fanno, in tutto questo, i negozi di vicinato? Andrea Colzani, presidente dei Giovani imprenditori di Confcommercio e titolare del marchio SportIT ha studiato una strategia vincente: “Per anni abbiamo pensato che allargare lo spazio dei nostri store fosse la chiave del successo, ma oggi andiamo in direzione opposta, con un occhio alla tecnologia. Abbiamo scelto la multicanalità e l’integrazione: negozi piccoli ma accoglienti, nei centri storici dove il cliente può toccare, provare, capire il prodotto e al tempo stesso, grazie alla piattaforma digitale, ha a disposizione un’ampia offerta su internet. E questa – conclude Colzani – è la chiave per i negozi di vicinato: qualità e vicinanza rispetto al consumatore. Perché spesso sono proprio le piccole botteghe a rappresentare un presidio nei quartieri e le amministrazioni locali devono farsi carico e alleggerire le imposte”. Non è tutto oro ciò che splende sul fronte dei grandi centri commerciali. “Quelli di prima e seconda generazione sono ormai superati – spiega Luca Tamini, ricercatore del Politecnico di Milano e grande esperto della distribuzione commerciale – basti pensare allo shopping mole di Corte Nuova, o a quello di Cinisello Balsamo, ormai da archiviare. Oggi si riflette per superare la polarizzazione verso il territorio extra urbano dei grandi centri. L’ha fatto anche Ikea portando nel centro di Amburgo uno dei suoi grandi contenitori. Occorre riportare i forti attrattori nei centri storici, in sintonia coi Distretti del commercio”. Non sarà facile: lo insegna il Centro di Arese, in fase di ampliamento e mutazione, coi suoi 15 milioni di visitatori. Tamini una ricetta ce l’ha: “Penalizzare chi utilizza il suolo per favorire il riuso degli spazi già costruiti”. Un esempio c’è: Eataly, che ha ristrutturato il teatro Smeraldo per portare nel centro di Milano i sapori del territorio.

Di più su questi argomenti: