Giuliano Pisapia (foto LaPresse)

La scissione è un venticello ma non scuote né Sala né le foglie del Pd

Cristina Giudici

La sinistra milanese sembra più attratta dal progetto di Pisapia che da chi si pone in contrapposizione al partito renziano

La confusione è forte anche sotto il cielo di Lombardia, magari un po’ meno che altrove. È tutto uno smussare e un giocare di eufemismi. E tutti continuano a rivendicare il “modello Milano”, del resto l’ha indicato Matteo Renzi, come un talismano. Il senso della stabilità, per quanto fluida, lo dà l’esponente più forte della sinistra nel Pd, l’assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino, che conferma al Foglio che lui non se andrà: “Voglio restare per completare il mandato che mi hanno dato gli elettori. Non ci devono essere né ci saranno ripercussioni sulla giunta guidata da Sala”, assicura. E su questo, sulla stabilità della giunta, anche in caso di scissioni, sono tutti tranquilli.

 

Poi c’è la politica, altra faccenda. Anche lui, come tutta la sinistra del Pd che non vuole strappare (ma nemmeno regalare il Pd all’ex premier) spera nella volontà del Guardasigilli Andrea Orlando di diventare il candidato alternativo a Matteo Renzi alla guida della segreteria. E Orlando va gettando ponti in un città che non è la sua. “Voglio continuare a lavorare per l’unità e il dialogo e provare a tenere insieme diverse anime della sinistra, compresa quella di Giuliano Pisapia”, assicura Majorino. Anche se poi, se si parla con il coordinatore regionale del progetto ConSenso di Massimo D’Alema, l’ex consigliere regionale Carlo Porcari, ostenta invece la sicurezza contraria: riguardo al ponte creato dagli scissionisti con il Campo progressista dell’ex sindaco di Milano. Forse perché Arturo Scotto, anche lui un fuoriuscito, ma dalla formazione radicale Sinistra italiana, pare abbia deciso di aderire al progetto di Pisapia e alcuni esuli, questi dal Pd, sono più che pronti a seguire il percorso che l’avvocato simbolo della rivoluzione arancione sta tracciando.

 

Scenari fluidi, come si dice. Anche perché, con doppie giochi e triple tattiche, è difficile da circoscrivere. Per ora ci sono solo due nomi sicuri di scissionisti a Milano: un uomo  e una donna, e così siamo a posto anche con le pari opportunità: l’ex segretario della Camera del lavoro di Milano Antonio Panzeri e la parlamentare, ex consigliere comunale di Bollate, Eleonora Cimbro. Mentre a Palazzo Marino nessuno della sinistra interna è per ora sfiorato dall’idea di creare una frattura nella giunta Sala. Perciò forse ha ragione il segretario regionale del Pd, Alessandro Alfieri, che ha affermato: “Da noi la situazione è meno problematica e i rappresentanti istituzionali che pensano di andar via sono pochissimi”.

 

Succede poco anche in Regione, dove quelli che stanno valutando di uscire dal Pd sono soltanto in tre: il capogruppo Enrico Brambilla, l’ex sindacalista Onorio Rosati e l’ex sindaco di Rozzano Massimo D’Avolio. Così alcuni fuoriusciti-scissionisti sperano che almeno il parlamentare Francesco Laforgia  decida di mollare gli ormeggi e andarsene dal Pd, considerando il discreto seguito ottenuto soprattutto fra la base milanese con l’associazione “Può nascere un Fiore, di nuovo la sinistra”. Impossibile trovare conferme o smentite perché il suo cellulare squilla a vuoto. Ma sul suo profilo Facebook – dove si apprende che il 25 febbraio parteciperà  all’incontro “La crisi della sinistra in Italia e in Europa” a Bergamo, dove sarà relatore con Massimo D’Alema – lui non si espone sul tema scissione e si limita alle critiche al progetto politico e alle strategie della classe dirigente che fa riferimento all’ex premier. Ma Laforgia ha un legame strutturato con Emiliano, e se l’ex governatore pugliese alla fine resta, facile che resti anche lui.

 

L’agitazione della sinistra milanese segnala così un piccolo paradosso: potrebbe risultare più forte la capacità di attrazione di Pisapia – che, stando alle sue dichiarazioni, vorrebbe aiutare la sinistra a ritrovare unità – che non quella di un fronte sinistra-sinistra che vuole porsi in modo antagonistico verso il Pd, chiunque lo guiderà dopo il congresso. Comunque, tutti i dirigenti di rito renziano, critici  o meno verso le ultime mosse dell’ex premier, più che di D’Alema ora si preoccupano di più del territorio e di cosa pensano i cittadini, e di recuperare il consenso reale di chi ha già strappato la tessera del Pd da tempo senza fare annunci stampa. Anche se a una rapida indagine, risulta il contrario: in attesa della lunga battaglia congressuale, nei circoli più renziani del Pd meneghino sta aumentando la schiera di cittadini di fede riformista che ha chiesto la tessera. Per sostenere l’ex premier.

Di più su questi argomenti: