Il tramonto del maschio

Annalisa Chirico

Si fa presto a lapidare un Weinstein, ma se vi guardate intorno vedrete più spesso un uomo braccato da femministe fuori dal tempo e donne in carriera che per sopravvivere alla gender society deve rinunciare a se stesso. Sesso, figli, matrimonio, una vita in ritirata. Un’indagine

Dio è morto, e neanche il maschio se la passa bene. Qualcuno pensa davvero che l’uomo del 2017 somigli all’eternamente infoiato Weinstein? Di predatori molesti il mondo è pieno, il sofà del produttore con gentile richiesta di massaggi non è il teatro di uno stupro. Se puoi dire “no, grazie”, sei in grado di scegliere, e se scegli di darla, mi suggerì una volta un saggio amico, “ricorda di fartela sempre restituire, con gli interessi”. Battute a parte, la violenza sessuale non ammette possibilità di scelta, è buia coercizione. “A me pare che la donna goda di rispetto e di reale parità quando non è descritta come un cucciolo smarrito alla mercé di chiunque. Il maschio ha subìto mille affronti e quasi non esiste più”, sante parole pronunciate dall’intramontabile Franca Valeri. Al giorno d’oggi la virilità è chiamata sul banco degli imputati, il maschio animalesco è messo alla gogna, la donna è l’eterna vittima incolpevole. Eppure l’uomo contemporaneo non è un Adone allupato ma ha il volto efebico di un modello Gucci. E’ l’amara verità che nessuno vuole raccontare.

 

Noi donne non siamo senza colpa, abbiamo branditoi pantaloni come un trofeo, incuranti
delle ricadute su
un maschio spaesato

Se al ristorante giapponese, davanti a una portata di sashimi, lui ti confida che va pazzo per i fagioli di soia, alzati e scappa. Se al termine di una cena galante, rigorosamente soia-free, invece di sfilarti la camicetta, insiste nell’esaltazione delle proprie doti culinarie come se tu cercassi uno chef a domicilio e non un maschio, facendoti per giunta sentire in colpa perché il brodo lo prepari con il dado e giammai dedicherai un minuto in più a pulitura e taglio ortaggi, beh, pure in questo caso non pensarci una seconda volta: gira i tacchi e scappa. Arrivederci, a mai più.

Si chiama epidemia da basso testosterone, è la piaga dell’uomo contemporaneo. Nel corpo di lui gli ormoni maschili diminuiscono, quelli femminili aumentano. Singolare contrappasso. Il fisico appare sempre meno maschio, il desiderio sessuale subisce un calo. Sui siti specializzati si dispiega l’odierno groviglio di arrovellamenti e tormenti, quello che un tempo fu il “sesso forte” s’interroga: che cosa devo fare per non diventare femmina? Testosteronelibero.it elenca i cibi proibiti per il maschio che vuole restare tale: in cima alla lista figurano i cosiddetti “estrogenici” ricchi di fitoestrogeni che simulano il funzionamento dei principali ormoni sessuali femminili. Il luppolo della birra e la soia sono altamente estrogenici, scordateveli. Tra gli alimenti pro-testosterone invece compaiono uova, funghi champignon e cipolle. Perciò, care donne, con i tempi che corrono, guai a fare le schifiltose. Turarsi il naso, frittate a volontà.

 

Se al ristorante giapponese, davanti
a una portata di sashimi,
lui ti confida che va pazzo
per i fagioli di soia, alzati e scappa

“Il suo corteggiamento era molto elementare. Ti portava a mangiare molto bene, poi metteva le mani sotto la gonna”, così Silvia Giacomoni ricorda il suo Giorgio Bocca, un’unione durata oltre cinquant’anni con un avvio dei più promettenti, un amplesso sdraiati su un campo di mais. Per i millennial, avvinti alla dittatura dell’istante, che sia un selfie o un tweet, mezzo secolo è un lasso di tempo incommensurabile, anche la distesa di erba dorata – tutto molto romantico, per carità – la osserviamo volentieri dal finestrino di un treno. Le mani sotto la gonna invece rispondono a un insopprimibile istinto naturale, a un codice ancestrale, a una pulsione senza tempo perché fuori del tempo. Valgono come carnale rassicurazione: tu sei maschio, io sono femmina. Ma tra noi due, al giorno d’oggi, la gonna chi la indossa?

Il maschio è a rischio estinzione, come un panda qualunque. Le prove sono plurime, i testimoni eccellenti. Braccato da femministe e donne in carriera, l’uomo avverte di avere un’unica chance per sopravvivere nella gender-neutral society: rinunciare a se stesso. Chiamatela pure “femminizzazione del maschio”: lo credevate invincibile e vigoroso come un bronzo di Riace, invece vi ritrovate tra le mani uno spermatozoo insicuro di sé che, impersonato da Woody Allen, pochi istanti prima del balzo verso il tunnel oscuro di una incombente eiaculatio, domanda timoroso ai compagni: “Voi sapete com’è là fuori? Ho paura, non voglio uscire. Si sentono strane cose come queste pillole che prendono le donne, o che nostri interi contingenti si schiacciano contro un muro di gomma, o se capiti in un rapporto omosessuale…”. Il collega caudato lo richiama al dovere: “E’ per questo che siamo stati addestrati. Non è il momento per avere dubbi, non comportarti da ovulo. Ricorda che cosa c’era scritto sul muro della caserma al corso: o si feconda o si muore, a noi”. Per scongiurare il rischio di infilare il secondo fiasco di fila, la centrale del cervello ordina: “Pensieri divagatori per evitare lancio prematuro. Preparare scusa per salvare faccia”. Conclusa la copula, la donna accende una sigaretta: “E’ stato fantastico. Facciamolo un’altra volta”. Forse c’è persino da crederle.

Noi donne non siamo senza colpa, abbiamo brandito i pantaloni come un trofeo, incuranti delle possibili ricadute su un maschio spaesato, sempre più remissivo, letteralmente in balia di un orrore denominato “pantagonna”. La esibisce con disinvoltura il calciatore Federico Bernardeschi che non tradisce il benché minimo imbarazzo con indosso un capo dalla linea spiccatamente femminile. 

 

Compagno difettoso, padre inadeguato, femminicida vero
o potenziale. Più cresceva
la sua ansia da prestazione
più contribuivamo a farlo vergognare del suo essere maschio.
Ma l'emancipazione femminile
non passa per la sua evirazione. L'antagonismo tra i sessi
non ha ragione di esistere

Non scherzano le foto di Cristiano Ronaldo a Saint Tropez attorniato da un branco di fusti, tutti amici, per carità, che si abbracciano e si spalmano la crema improvvisando un trenino. A bordo c’è una sola donna, componente dell’equipaggio. Che dire dei coming out eccellenti, da Ricky Martin a Tiziano Ferro, le avvisaglie c’erano tutte ma noi le abbiamo colpevolmente ignorate. Volitive e indipendenti, indaffarate nel nostro personale percorso di autorealizzazione, abbiamo schiacciato il maschio in un angolo, bollando come “sessista” ogni timida espressione di mascolinità, abbiamo alimentato in lui un insopprimibile senso di colpa in quanto compagno difettoso, padre inadeguato, femminicida vero o potenziale. Più cresceva la sua ansia da prestazione più contribuivamo a farlo vergognare del suo essere maschio. Un conto è pretendere la condivisione del lavoro domestico affinché la carriera di una donna, madre e moglie, non sia pregiudicata; diversa è la pretesa di superare la gravidanza come esperienza squisitamente femminile. Anche il padre più servizievole non sarà mai una madre, è la legge della natura. Invece, rapite da un’ossessiva sete di rivalsa e dall’illusione costruttivistica di chi si affida all’ingegneria sociale e diffida dell’ordine spontaneo, abbiamo gradualmente smesso di essere femmine per somigliare ai maschi. Sognando un giorno di poter fare a meno di loro.

 

In un libro di qualche anno fa dal titolo “Manliness”, il professore di Harvard Harvey Mansfield ripercorre la parabola della virilità umiliata, censurata, demonizzata. Esiste un filo rosso tra la volontà di potenza del superuomo nietzschiano, l’ira funesta del Pelìde Achille, le virtù del Principe machiavellico e il decisionismo di Margaret Thatcher. La parola magica è “virilità”, il cui sinonimo è mascolinità, non maschilismo né machismo. In nome del Sacro Dogma Egualitario la gender-neutral society punta ad annullare le differenze tra i generi al fine di instaurare la dittatura dell’indistinto sessuale: la parità tra i sessi sarà pienamente raggiunta soltanto quando coinciderà con l’assoluta identità, maschi e femmine uguali uguali. E’ una tesi suggestiva che rispecchia i mutamenti biologici già in atto: una donna sempre più intraprendente tende a mascolinizzarsi producendo una quantità inferiore di estrogeni. Il maschio, dal canto suo, ha smesso di essere predatore, non caccia ma acquista pannolini al supermercato: deve fare i conti con un gigantesco bug nel proprio testosterone. La società dell’indifferenziazione sessuale, secondo il filosofo Mansfield, scambia per aggressività il coraggio maschile e per spacconeria un sano desiderio di affermazione. La virilità invece merita di essere rivalutata. Intesa come capacità di “mantenere la fiducia in se stessi nelle situazioni di rischio”, essa è una qualità che l’occidente rischia di smarrire sotto i colpi dell’ideologia neutralista. Le differenze biologiche tra maschio e femmina esistono, lo riconosce in primo luogo la scienza. Eppure nella “eco chamber” della Silicon Valley ammetterlo può costarti il posto di lavoro, com’è capitato a un giovane ingegnere di Google.
L’emancipazione femminile non passa per l’evirazione del maschio. Se così fosse, ci comporteremmo per giunta da ingrate: le leggi che hanno assegnato il diritto di voto alle donne le hanno approvate gli uomini; la lavatrice, al pari della pillola anticoncezionale, è un’invenzione maschile. Provate a immaginare la vostra vita senza centrifuga e programmi di lavaggio: un incubo.

 

“Sono principalmente gli uomini – scrive la femminista eretica Camille Paglia – che fanno il lavoro sporco e pericoloso di costruire le strade, colare il cemento, cuocere i mattoni, incatramare i tetti, allacciare cavi elettrici, costruire gasdotti e fogne, tagliare alberi e modellare il paesaggio naturale per costruire edifici. Sono gli uomini che sollevano e saldano le travi che sorreggono i nostri uffici, e sono sempre gli uomini che fanno il lavoro, che fa drizzare i capelli, di installare e sigillare i vetri di grattacieli di cinquanta piani”. L’antagonismo tra i sessi non ha ragione d’esistere: noi abbiamo bisogno di loro esattamente come loro hanno bisogno di noi. Del resto, soltanto seimilacinquecento dei 26 mila geni complessivi differiscono tra maschio e femmina. Un quarto ci divide ma tre quarti ci uniscono. I maschi sono indispensabili, riconoscerlo è femmina.

L'ex calciatore in sintonia
con lo zeitgeist si chiama
David Beckham, padre amorevole
e marito devoto, non teme
di mostrarsi in pubblico
con le unghie laccate di smalto
né di sedersi in prima fila alle sfilate della Fashion week newyorkese. Obama, "il trionfo del metrosexy"

I metrosexual non sono gay (così sostengono) ma etero marcatamente effeminati (credeteci). Archiviata nostalgicamente la possente testata di Zinédine Zidane, al giorno d’oggi l’ex calciatore in sintonia con lo zeitgeist si chiama David Beckham, padre amorevole e marito devoto, non teme di mostrarsi in pubblico con le unghie laccate di smalto né di sedersi in prima fila alle sfilate della Fashion week newyorkese. A coniare il termine “metrosexual” è lo scrittore Mark Simpson che nel 1994 sull’Independent sbertuccia le campagne pubblicitarie mirate a imporre una nuova figura di consumatore, il “sensitive guy”, ragazzo sensibile alle tendenze modaiole, narciso e fighetto. Per Simpson, dopo la fase “hummersexual” con la mascolinità enfatizzata di Bush jr., Obama rappresenterebbe “il trionfo del metrosexy”, un presidente ben vestito, poliglotta, che “difende elegantemente il mondo libero dopo una seduta di ginnastica nella sua palestra personale. E che non ha bisogno di Michelle perché lui è anche la sua first lady”. Berlusconi invece “non rientra in alcuna categoria, lui è Silviosexual”, orgoglio italico.
I metrosexual sbucano da ogni dove, volti l’angolo e t’imbatti in uno di loro. Dall’estetista attendono il turno insieme a te che li osservi fantasticando maliziosamente su quale trattamento avranno prenotato. Secondo l’American Society for Aesthetic Plastic Surgery, negli ultimi quindici anni la chirurgia estetica maschile ha segnato un clamoroso aumento: più 273 pe rcento. Addominoplastica, lifting, rinoplastica, laser ed elettrofrequenza per un tono muscolare impeccabile: caduto il tabù, per il maschio è normale rivolgersi al chirurgo, tra uomo e donna non c’è più differenza. Il metrosexual è il compagno di viaggio perfetto: in spiaggia tira fuori dallo zaino, come dalla borsa di Mary Poppins, un numero imprecisato di flaconi e tubetti: “Stendi questa crema sulle palpebre, quella è per le spalle, non dimenticare l’olio sui capelli, per il décolleté usa lo stick”. Lui non è gay, è metrosexual. E’ la tua amica con pisello e fidanzate annesse. In attesa del coming out.

 

Nell’era dei single (in Italia sono sette milioni e 700 mila, in crescita del 41 per cento rispetto a dieci anni fa) si prende dimestichezza con l’acronimo Sneet, Single not in Engagement, in Expecting, in Toying, vale a dire quelli non fidanzati, né a caccia, né in flirt. Sono persone che hanno scelto di starsene con se stessi ma non per questo soffrono la solitudine: dissolta la barriera del sesso a causa di un potenziale erotico sensibilmente attenuato, maschi e femmine imparano a condividere molteplici momenti, incluso il materasso, in un reticolo di “relazioni fluidificate” che non fanno di loro una coppia. Chi continua invece a sognare due cuori e una capanna, sempre più spesso opta per una convivenza di fatto, in altre parole i fiori d’arancio esercitano un residuo fascino soltanto sugli omosex (in Italia negli ultimi vent’anni i matrimoni sono calati del 35 per cento, per il Censis il 2031 segnerà l’anno zero di quelli religiosi). Una donna allora si domanda: al giorno d’oggi il maschio a che serve? L’indipendenza economica è un fatto non meno della fluidità delle unioni, per l’orgasmo vale l’antico proverbio “chi fa da sé fa per tre”, chiamatela pure compiaciuta autarchia.
A ben vedere, una funzione insostituibile lui l’avrebbe, quella riproduttiva. Per procreare come natura comanda, bisogna essere in due, ma pure in questo campo l’efficienza maschile scricchiola. Se nutrite qualche dubbio armatevi di righello e misurate. 

 

Secondo un recente studio dell’Università di Padova, rispetto alla generazione dei padri i ragazzi di oggi sono più alti, con braccia e gambe più lunghe. Tuttavia, se gli arti si allungano, qualcosa si accorcia: il pisello ha perso 0,9 cm di lunghezza. Non sarebbe la fine del mondo se questo dato non facesse il paio con la fertilità maschile in caduta libera. Negli ultimi vent’anni la sterilità dei maschi occidentali è raddoppiata. Un tempo un uomo produceva tra i 300 e 400 milioni di spermatozoi per eiaculato, oggigiorno ne produce circa il 30 per cento in meno. Un’ecatombe. Intanto la scienza avanza inarrestabile: all’Istituto di genomica funzionale di Lione sono stati prodotti spermatozoi umani in vitro a partire dal tessuto prelevato dai testicoli di un uomo sterile; tra qualche anno sarà possibile in laboratorio creare sperma dalle cellule di una donna e uova dalle cellule di un uomo. Così una persona potrà concepire un figlio “da solo”. Un traguardo che suggellerebbe definitivamente l’inutilità del maschio. Siete pronte a farne a meno?

'La Gender Revolution - afferma
la femminista Camille Paglia, dichiaratamente lesbica - mina
la capacità delle società occidentali di comprendere o reagire.
I fenomeni transgender
si moltiplicano e si diffondono in fasi tardive della cultura. Nulla definisce meglio la decadenza dell'occidente del transessualismo'

I detenuti, di norma, vogliono uscire dal carcere. Ad eccezione di certi mariti. A luglio un bergamasco 50enne, condannato per furto di materiale edile, ha discusso animatamente in aula con il proprio avvocato il quale intendeva accordarsi con il magistrato per la concessione degli arresti domiciliari. “A casa da mia moglie non ci voglio andare”, meglio la galera. Un pregiudicato di Tor Bella Monaca ha ottenuto il trasferimento in una cella di Regina Coeli perché voleva sfuggire alla consorte: “Mettetemi dentro, sennò con quella finisce male”. A Firenze un 40enne tunisino ha minacciato di lanciarsi dal balcone se non lo avessero arrestato e tradotto in carcere: non sopportava più la moglie. Quanti sono i mariti che portano avanti il matrimonio al solo scopo di evitare le spese del divorzio? Non tutti possono contare sulle risorse di Abramovich che ha detto addio alla terza sposa. Sebbene la giurisprudenza cominci a tener conto dei mutati rapporti economici tra i sessi, il rischio di un fallimento non è equamente ripartito tra i due contraenti e il divorzio rimane un affare che pesa segnatamente sulle tasche dell’uomo. Non tutti i mariti sono disposti a sobbarcarsi l’impresa che comporta un inevitabile peggioramento del proprio tenore di vita. Per non parlare della relazione con i figli, formidabile arma di ricatto nelle separazioni burrascose. Nell’immaginario collettivo il padre separato dorme in macchina perché, tra assegni divorzili e spese connesse, non è in grado di pagare un affitto per sé. Ad Ancona un papà separato che voleva trascorrere le vacanze con la figlia di sei anni alle Cicladi ha pensato bene di nascondere la bimba in una valigia per il tempo necessario a superare i controlli prima dell’imbarco. La madre, contraria al viaggio, aveva trattenuto la carta d’identità della minore. Il personale di bordo ha chiesto di controllare il bagaglio, lo ha aperto e, nell’incredulità generale, è sbucata fuori la piccola che, a detta dei poliziotti, “dimostrava di avere un buon rapporto con il genitore”. Allertata dalle forze dell’ordine, la mamma si è precipitata in caserma; dopo un confronto serrato con l’ex compagno, si è decisa a lasciarli partire alla volta delle spiagge elleniche.

 

L’uomo islamico aborrisce il rasoio, il pelo è maschio. Se non vi disturba il fascino della ceretta sull’homo occidentalis, vi interesserà sapere che presto o tardi la “sottomissione” ad Allah e ai suoi soldati potrebbe oltrepassare i confini dell’immaginazione letteraria di Houellebecq. In un saggio per il Washington Quarterly, Timothy Savage dell’Ufficio di analisi europea del dipartimento di stato americano ha stimato che entro il 2050 l’Europa sarà al 20 per cento musulmana. Gli europei si sposano sempre meno, invecchiano e fanno meno figli; gli arabi sono mediamente più giovani e prolifici. Non a caso, lo scorso marzo il presidente Erdogan ha esortato i turchi residenti in Europa: “Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro”, una dichiarazione di conquista demografica che echeggia quella del presidente algerino Boumédiène all’Onu nel 1974: “Il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”. Il giornalista francese Eric Zemmour ha pubblicato un saggio, “Sii sottomesso”, il cui sottotitolo recita: “La virilità perduta che ci consegna all’Islam”. Per la firma di Le Figaro, il maschio ha sacrificato la mascolinità in nome di un ideale, la donna, intesa non più come sesso opposto e complementare ma come traguardo da raggiungere: l’uomo moderno desidera “diventare una donna come le altre”. A un occidente sempre più effeminato si contrappone un fronte islamico sempre più virile. Il giovane arabo che semina morte e terrore sulle insolenti ramblas è il “prototipo del maschio inavvicinabile”: campione di un’ideologia patriarcale, esegeta di una virilità eccessiva, financo caricaturale, è disposto a morire combattendo in nome di Allah contro gli infedeli in vista di un paradiso che, come evidenzia lo scrittore algerino Daoud, somiglia a un bordello più che a un luogo di beatificazione spirituale. Il giovane arabo pretende la guerra. Il giovane occidentale è un soldato riluttante che stenta persino ad ammettere l’esistenza del conflitto. Le violenze sessuali perpetrate in occasione del Capodanno di Colonia, gli stupri in pieno giorno nella rivoluzionaria piazza Tahrir, le schiave rapite e sfruttate dai jihadisti di Isis e Boko Haram disegnano la plateale eruzione di una forza bruta che può essere spezzata soltanto da una forza di intensità maggiore, non da una mollezza ipocrita e buonista.

 

“Alcuni ci vorrebbero far credere che la forza dei terroristi consiste nell’essere stati addestrati nei campi di Daesh ma non è così – scrive il filosofo francese Hadjaji – La loro forza di distruzione, pronta ad esplodere in qualunque momento e luogo, non è la loro abilità militare ma la forza morale”. Che cosa abbiamo noi da opporre? Al massimo possiamo “riunire un esercito di consumatori”. Pur avendola scansata in ogni modo, “la guerra ci ha raggiunto. Questo è già qualcosa se vogliamo risvegliarci. Se non riscopriremo la virilità guerriera della vita cristiana, perderemo contro l’islamismo dal punto di vista spirituale e materiale. La guerra è qui: nel coraggio di avere una speranza così forte che ci renda in grado di dare la vita”.

 

Secondo una ricerca inglese,
nove uomini su dieci si rivolgono
al medico meno delle rispettive compagne ed entrano in una farmacia quattro volte in un anno contro le diciotto delle donne.
Se toccato dalla malattia, l'uomo tende a fuggire, prevale in lui
il senso di ansia, non la capacità
di prendersi cura di sé

Se non correte ai ripari scansando i divoratori di soia, presto vi risveglierete al mattino accanto a un uomo che fruga nel vostro armadio per scegliere l’outfit del giorno. La moda genderless si è imposta sulle passerelle, la parola chiave è fluidità. Abbigliamento a sesso unico: lui come lei, lei come lui. La tendenza del senza sesso è la traslazione modaiola del Sacro Dogma Egualitario. Dopo secoli di lotte per guadagnare la parità con il maschio, abbiamo fissato l’asticella più in alto: perché eguagliare l’uomo quando puoi neutralizzarlo? Il pioniere italiano è Alessandro Michele che nel 2015, fresco di nomina a direttore creativo di Gucci, seleziona per la sfilata uno stuolo di ragazzi efebici ed eterei, erotici quanto un pupazzo della Disney, perfetti “bamboli” a uso e consumo dei nostri tacchi ruggenti. L’abbigliamento è volutamente borderline, la libertà espressiva se ne infischia dell’identità di genere. Lo stilista romano cita il padre dell’anarchismo Bakunin, invoca un nuovo Romanticismo urbano e chiude il primo semestre di quest’anno con ricavi in aumento del 43 per cento e un margine operativo in crescita di quasi il 70. L’agender piace e fa vendere al punto di contaminare i colossi più economici del fast-fashion: Zara lancia la linea Ungendered, H&M s’inventa il Denim United con modelli indossabili indistintamente da maschi e femmine. L’anima creativa di Gucci ingaggia la modella transgender Hari Nef che, richiesta se sia maschio o femmina, risponde: “Gender is whatever”, il genere è qualunque cosa. Uomo o donna, che importa?

Per carità, siamo persone di mondo. Chi scrive è una fautrice delle libertà gay, bisex, trans, queer: l’amore non ammette limite. Eppure c’è qualcosa che non torna se nelle Asturie le bagnine, bersaglio di occhiatacce scandalizzate, devono coprirsi con morigerati pantaloncini mentre la rivista patinata Vogue, santuario femminile per eccellenza, quella su cui, per intenderci, Carrie di “Sex and the City” posa in abito nuziale prima di essere mollata sull’altare dall’eterno indeciso Mr. Big; la stessa rivista che l’intramontabile Madonna, alla quale si perdona tutto (compresi gli improbabili toy boy e la pizzica da tarantolata in mezzo ai trulli salentini), celebra in una canzone cult anni Novanta lanciando la moda del vogueing, la danza che imita le pose plastiche delle modelle… Vogue, si diceva, pubblica in copertina Chelsea Manning, ex analista dell’intelligence statunitense condannata, quando si chiamava ancora Bradley, a trentacinque anni di carcere per aver trasmesso a Wikileaks migliaia di documenti classificati sensibili per la sicurezza degli Stati Uniti (e di soldati e diplomatici sparsi per il globo). Manning non è un role model, ha tradito la patria, ha violato i doveri d’ufficio, ha infranto la legge e sarebbe ancora in carcere se Obama non l’avesse graziata. Ma di questi tempi il trans si porta, perciò l’intellettuale collettivo si conforma al diktat politicamente corretto.

 

Sulle pagine di Vanity Fair Caitlyn Jenner, che fu Bruce in una precedente vita nonché patrigno di Kim Kardashian, dispensa consigli sul make-up, una trovata originale che non scandalizza ma risulta financo divertente perché scompagina schemi precostituiti, è un inno all’imprevedibilità dell’esistente. Eppure vorremmo sentirci non meno liberi di contestare la glorificazione di Chelsea Manning senza essere tacciati di omofobia o transfobia, che dir si voglia. Chelsea non è un modello al quale ispirarsi, non è neppure bella, basta scrutarle gambe e braccia per osservare l’androgino che è in lei. La brasiliana Valentina Sampaio che lo scorso marzo ha conquistato la cover dell’edizione francese di Vogue è una trans meglio riuscita, almeno dal punto di vista estetico. C’è pure chi accosta la copertina dedicata alla gola profonda a quella del 1988 che ritrae la prima modella di colore, una giovanissima Naomi Campbell. Paragone azzardato: la Venere nera è donna, Chelsea non lo sarà mai. “La Gender Revolution – afferma la femminista Camille Paglia, dichiaratamente lesbica – mina la capacità delle società occidentali di comprendere o reagire. I fenomeni transgender si moltiplicano e si diffondono in fasi tardive della cultura. Nulla definisce meglio la decadenza dell’occidente del transessualismo”. Non sono in questione le preferenze sessuali, tutte legittime tra individui adulti e consenzienti, a destare perplessità è l’insistenza della propaganda gender, il pervicace tentativo di normalizzare ciò che normale non è, come se esistesse un fantomatico “terzo sesso”. Si nasce maschio oppure femmina, tertium non datur. La graduale imposizione dell’indistinto sessuale risponde a un obiettivo di ingegneria sociale.
Con l’istituzionalizzazione del trans che oltrepassa l’anacronismo binario dei sessi, la Giustizia di Genere è finalmente compiuta. Pene e vagina si confondono per neutralizzarsi reciprocamente. Perciò alle bambine è consentito giocare con le bambole purché siano adeguatamente edotte circa la disponibilità di soldatini pronti all’uso, non sia mai che si sentano imprigionate in uno stereotipo femminizzante. Meglio il pensiero unico neutralista. Si tenta di annullare la natura, con le sue regole e codici ancestrali, nell’illusione di poter governare ogni processo della nostra esistenza. Chi scrive è pronta a sfilare al prossimo Trans Pride, le libertà individuali sono fuori discussione, ognuno può assecondare un personale desiderio di transizione da una sponda all’altra, oggi maschio, domani femmina e poi chissà, ma nessuno può pretendere di evangelizzare il mondo secondo un dogma che fa a pugni con la natura.

 

Come se non bastasse, questo maschio in ritirata (in senso letterale, ahinoi) non vanta una salute fenomenale. Che le donne siano più longeve, è risaputo. Secondo la rivista Lancet nel 2030 l’aspettativa di vita per quello che un tempo fu il “gentil sesso” toccherà i 90 anni e otto mesi per le sudcoreane (84,07 per gli uomini), gli 88 anni per le spagnole (83,47 per gli uomini), gli 87 per le italiane (82,8 per gli uomini). Oltre a vivere più a lungo, essendo generalmente più attente alla prevenzione, le donne godranno di miglior salute: vanno dal medico con maggiore frequenza, si sottopongono ai controlli prima dell’insorgere della malattia. Secondo una ricerca inglese, nove uomini su dieci si rivolgono al medico meno delle rispettive compagne ed entrano in una farmacia quattro volte in un anno contro le diciotto delle donne. Se toccato dalla malattia, l’uomo tende a fuggire, prevale in lui un senso di ansietà, non la capacità di prendersi cura di sé. Del resto, l’attenzione spasmodica per l’aspetto fisico va di pari passo con la sindrome di Dorian Gray che suggerisce l’effetto rimozione. Si è eternamente giovani, o almeno si profondono enormi sforzi in tal senso, vecchiaia e morte restano tabù. “I momenti più belli della vecchiaia – scrive Philip Roth – erano proprio questi, la nostalgia per i momenti più belli dell’infanzia, per il sottile virgulto che il suo corpo era allora”.

 

In una precedente vita Antonio Banderas è un ricco commerciante di caffè che nelle torbide atmosfere della Cuba di fine Ottocento sposa per corrispondenza una conturbante Angelina Jolie dalla quale si lascia irretire in scene di sesso estremo, di una carnalità esasperata al punto di alimentare gossip bollenti sulla coppia artistica. Il film “Original Sin” risale al 2001, non ad un secolo fa. Oggi l’ex caliente per antonomasia è un mugnaio che con le mani infarinate inzuppa i biscotti nella tazza di latte e colloquia cordialmente con una gallina di nome Rosita. Per comprendere i cambiamenti nella proiezione cinematografica del maschio, pensate all’ultima edizione del festival di Locarno, campane a morto per il tombeur de femmes virile e sprezzante. “Hanno muscoli ipertrofici, facce da duri che non vorresti incontrare la sera in una strada deserta. Eppure dietro la maschera del macho affiora una fragilità nuova che il cinema tende a rappresentare sempre più spesso, immemori dei giustizieri della notte e degli ispettori Callaghan di un tempo”, scrive il critico Roberto Nepoti. Sul piccolo schermo impazzano sacerdoti e poliziotti, alla tempra del maschio vincitore non crede più neanche la finzione artistica. Nel riflusso del machismo i muscoli non servono a sedurre le donne. In “Goliath”, presentato in occasione del concorso svizzero, il protagonista David si sottopone a estenuanti allenamenti per una ragione commovente: la fidanzata incinta ha subìto un’aggressione e lui non è riuscito a difenderla. “Ta peau si lisse” racconta le storie di tre campioni di culturismo con un cuore d’oro. Il primo usa i bicipiti scolpiti come scivolo per il figlioletto, il secondo è appassionato di filosofia new age, il terzo vorrebbe convincere la compagna a convertirsi al suo sport prediletto. Sul fronte femminile invece si stagliano una schiera di Wonder Women ben più micidiali. In “Madame Hyde” Isabelle Huppert è una professoressa sbiadita che, dopo essere stata colpita da un fulmine, di notte si trasforma in una donna di fuoco. In “Atomic blonde” Charlize Theron è una James Bond spedita a Berlino in piena Guerra fredda che adopera il ghiaccio come sale da bagno, non disdegna il sesso lesbo e agli uomini riserva calci e pistolettate per portare a segno la propria missione. In definitiva, anche al cinema la donna somiglia al maschio in dissolvenza. Resta da chiedersi se le femmine siano pronte a farne a meno. Nella tirannia dell’indistinto, dove tutti vivono uguali, asessuati e contenti, il rischio è quello di venirsi a noia assai presto. Nel dubbio, si può sempre adottare un bassotto. Meglio se etero, almeno lui.