Il ritorno del bel paese

Stefano Cingolani

Al mare, ai monti e nelle città d’arte un’estate da record. In ballo 36 miliardi di euro e una possibile e formidabile svolta culturale: trasformare il turismo in una grande occasione per archiviare per sempre protezionismo e declinismo. Vacanze italiane, un’inchiesta

Giunto all’età di 37 anni e già coperto di onori letterari, scientifici, politici, Johann Wolfgang Goethe, prima che cominci l’autunno del 1786, lascia nottetempo, come un fuggiasco, la sua Weimar per raggiungere “il paese dove fioriscono i limoni”. Dopo un viaggio sul Brenta seguendo il Palladio, ecco finalmente la Venezia da sempre sognata e agognata. Il 30 settembre a mezzogiorno, sale in cima al campanile di San Marco per gettare uno sguardo fino al lido e resta meravigliato nel vedere “nella laguna stessa galere e fregate, le quali debbono raggiungere il cavaliere Emo, il quale sta facendo la guerra agli Algerini, ma che furono trattenute sin qui da venti contrari”. Il giorno dopo il poeta gira per la città in lungo e in largo, ma trova le prime brutte sorprese: “Tanto più per essere giorno di domenica, mi colpì la sporcizia. Vi esiste bensì un certo sistema di pulizia dacché gli abitanti depongono le immondizie delle loro case negli angoli delle strade, e vedo qua e là delle barche, che si fermano per caricare quei mucchi di sozzure, onde recarle nelle isole dove si abbisogna di concime, ma tutto ciò si pratica alla buona, senz’ordine, senza seguito, ed è tanto più inescusabile la sporcizia di questa città, in quanto ché possederebbe tutti gli elementi per essere con poca fatica linda e pulita, quanto qualsiasi città di Olanda”.

 

Già la Serenissima non era Amsterdam e non lo sarà mai. Navigli ovunque, anche vascelli da guerra, rifiuti puzzolenti, una folla brulicante; e l’arte del mosaico, “alla quale andarono debitori gli antichi dei loro pavimenti, i Cristiani delle volte delle loro chiese, si è ridotta ora miseramente a fabbricare braccialetti, e tabacchiere. Corrono tempi peggiori, di quanto in generale si ritenga”.

 

Chissà se ai giornalisti del New York Times e del Guardian è venuto in mente il “Viaggio in Italia” di Goethe nel raccontare la Venezia dell’estate 2017, quando l’invasione dei turisti ha generato una reazione di rigetto come mai prima, con “il popolo in marcia” al grido di chiudiamo le porte (non solo i porti) ai nuovi barbari dell’èra post globale. Perché nell’anno in cui l’Italia si avvia a superare la Francia, eterna rivale, piazzandosi al secondo posto dietro la Spagna, proprio in questo 2017 da record di arrivi (si calcola che verrà sfondato il tetto di 400 milioni di notti) e di incassi (l’11 per cento del prodotto lordo), sale dal basso il rancore, anzi il rifiuto. Gli stranieri portano, secondo le stime della Banca d’Italia, 36 miliardi di euro, gli italiani ne trasferiscono all’estero 22, dunque c’è un saldo positivo di ben 14 miliardi ogni anno. Dopo il successo del vino e dell’agroalimentare, dopo il risveglio della industria manifatturiera, il rilancio del turismo è un’altra conferma che il paese lascia alle spalle la grande crisi, eppure non viene vissuto così. Manca solo che nascano i No Tur all’insegna della purezza e della identità, con quel mélange di localismo, naturismo e xenofobia che contraddistingue i movimenti in armi contro l’età della ragione.

 

Gli stranieri portano in Italia, secondo le stime della Banca d’Italia, 36 miliardi di euro, gli italiani ne trasferiscono all’estero 22

Reinhold Messner ha tenuto a battesimo la chiusura al traffico del passo Sella, tra la val Gardena e la val Di Fassa, ogni mercoledì tra le 9 e le 16 da luglio a fine agosto. “E’ solo l’inizio – annuncia l’alpinista alto-atesino – ed è l’unico modo di salvare le Dolomiti”. C’è già il biglietto d’ingresso per le Tre Cime di Lavaredo (22 euro per le auto, la metà per le moto) e al passo del Rombo al confine tra Italia e Austria (16 e 14 euro), mentre il numero chiuso sta diventando la parola d’ordine non solo in montagna. In Liguria è partita una vera e propria campagna sostenuta dagli albergatori e guidata dai sindaci di Alassio, Enzo Canepa (già multato dalla procura per una “ordinanza razzista” che vieta l‘ingresso a chi non possiede un certificato sanitario che attesti l’assenza di malattie infettive), e di Laigueglia, Franco Maglione. Il prefetto ha detto no, ma la questione resta aperta. La tentazione viene accarezzata anche dal primo cittadino di Capri, Giovanni De Martino. Ingegnere civile, eletto un anno fa nella lista civica Primavera con la promessa di trasformare la perla del Mediterraneo in una “smart island ecosostenibile” (sic!), da sempre critico verso il turismo di massa e quel via vai di traghetti che dal mattino alla sera vomitano passeggeri mordi e fuggi, per ora ha lanciato solo un avvertimento; intanto il dossier è sul tavolo del prefetto e della regione.

 

Il boom e il rigetto vanno a braccetto, qualcosa di simile sta accadendo anche in Spagna, in particolare a Barcellona. Ma soprattutto nel caso italiano bisogna guardare non al fenomeno stagionale, bensì a come il paese ha gestito la sua grande risorsa. Ancora una volta è prevalsa la spontaneità, con la coda di sommerso e lavoro nero, così come è accaduto nell’industria manifatturiera degli anni Settanta. La variante turistica del piccolo è bello si chiama bed & breakfast e, proprio come la fabbrichetta del nord-est o della fascia adriatica, è un modo di produrre reddito, di creare occupazione, di gestire i beni di famiglia. Allora fu il lievito di una crescita che portò il reddito prodotto in Italia a superare quello della Gran Bretagna, adesso è un formidabile salvagente che ha aiutato il paese a non affondare con la più grande crisi attraversata in tempo di pace. Eppure, anche quel modello rivela le sue contraddizioni e le sue debolezze.

 

Il turismo come la manifattura, senza una organizzazione industriale su larga scala, senza infrastrutture, senza servizi moderni e ben distribuiti, a cominciare dalle telecomunicazioni, genera un caos che, esaurito l’entusiasmo creativo, finisce per diventare distruttivo. Ma facciamo un paio di passi indietro per capire quel che sta accadendo.

 

La rimonta dell’Italia

L’Italia potrebbe sfondare quest’estate il tetto dei 400 milioni di presenze. Ma avanzano i fautori del numero chiuso

Surclassata dalla Francia, sorpassata dalla Spagna, incalzata dalla Turchia e persino dalla Germania, che non ha da offrire né la natura benigna né le struggenti memorie della storia, l’Italia è rimasta per anni chiusa in una trappola di rancore e frustrazione. Il turismo che doveva essere l’alfa e l’omega per la salvezza, diventa un’altra dannazione, mentre l’opinione pubblica sopraffatta dalla sua supposta superiorità si crogiola nel rimpianto. Calma, attenti a guardare l’albero e perdere di vista la foresta, perché anche in questo caso i fili d’erba sono diventati cespugli dai quali sono spuntate piante rigogliose. Via i vecchi complessi, addio al lamento declinista, anche il turismo rinasce dalle proprie ceneri e quest’estate segna una svolta certificata anche dal centro studi della Confesercenti. Nel 2016 i flussi complessivi hanno premiato soprattutto la Spagna, cresciuta del 7,8 per cento a quota 454,3 milioni di presenze (ossia il numero complessivo dei pernottamenti), in particolare grazie a una quota altissima di stranieri (294,3 milioni di presenze totali, +9,3 per cento), e penalizzato molto la Francia, mentre l’Italia è aumentata dello 0,5 per cento grazie agli arrivi dall’estero, che hanno più che compensato il lieve calo dei residenti. Le premesse per battere il record ci sono tutte. Nei primi cinque mesi dell’anno, Roma ha visto le presenze salire del 2,8 per cento a quota 13,5 milioni e l’Emilia Romagna nel primo semestre ha fatto boom con un incremento del 7,6 per cento delle presenze (a quota 17 milioni). A trainare la crescita sono gli stranieri, in particolare i tedeschi, le mete preferite sono mare e laghi, oltre alle città d’arte. Ma la partita fra i tre grandi paesi latini è apertissima.

 

L’Italia può contare su una straordinaria concentrazione di valori artistici, storici e paesaggistici. A una tale abbondanza di risorse (5.000 chilometri di costa balneabile, 68.000 kmq di superficie forestale, 146 riserve naturali, 2.100 siti e monumenti archeologici, 20.000 rocche e castelli, 40.000 dimore storiche, 128 parchi tematici, 185 località termali, solo per citare alcuni dati) corrisponde un’organizzazione dell’offerta ricettiva di consistenza rilevante e una imprenditorialità dell’accoglienza senza dubbio vitale, con quasi 5 milioni di posti letto (tra alberghi, B&B, alloggi in affitto), 10.583 agenzie di viaggio, 95.000 posti barca in porti, 77.807 ristoranti, trattorie, pizzerie, 390 azienda termali. Grazie a un simile equipaggiamento, il brand Italia ha tenuto nel corso del tempo e, almeno a partire dal 2010, ha cominciato la sua rimonta con un incremento del 21,7 per cento, di poco inferiore a quello della Spagna (+29 per cento), che insieme a Grecia e Croazia hanno attratto i turisti stranieri che hanno lasciato l’Egitto, il Maghreb e la stessa Turchia per paura del terrorismo. L’offerta diffusa è cresciuta ovunque in modo sovrabbondante, ma “per cogliere l’opportunità dei nuovi flussi internazionali legati al nuovo scenario geopolitico servirebbero più posti letto nel segmento industriale”, sottolinea il Censis che pure ha apprezzato a lungo la “rivoluzione dei B&B” che tanto assomiglia a quella avvenuta negli anni Settanta nell’industria manifatturiera.

 

Un esempio virtuoso riguarda l’area dei monti Iblei in Sicilia (Ragusa, Modica, Scicli) che molti chiamano il “distretto Montalbano”. L’anno scorso nella sola Ragusa si sono registrate 850 mila presenze per una permanenza media di quattro giorni. Ora è stato stipulato un accordo con Thomas Cook, uno dei maggiori tour operator internazionali, per voli charter su Comiso. Una spinta determinante è venuta dal successo internazionale della serie tv sul commissario Montalbano. Ma si è aggiunta nel 2002 anche l’Unesco, che ha inserito nel patrimonio dell’umanità le città barocche della Sicilia sud-orientale. Ultimo, ma non certo per importanza, il mare. Divertimento, relax, cultura, società dello spettacolo e turismo di massa hanno trovato un mélange finora ben gestito e in modo integrato dalle amministrazioni locali, anche se pure qui si apre il problema del salto nell’èra industriale. Secondo Giuseppe Roma, che da direttore generale del Censis ha dato una particolare attenzione al sistema turistico, “molti segnali suggeriscono l’ipotesi che si stia affermando un modello italiano nell’incerto scenario della globalizzazione. I nodi da sciogliere riguardano, semmai, l’organizzazione dell’offerta, coinvolgendo tanto le strategie degli operatori quanto il ruolo delle istituzioni”. In questa organizzazione ci sono i trasporti e le infrastrutture in genere, però c’è anche la finanza: i capitali non debbono venire solo dal credito bancario, ma dal mercato, utilizzando strumenti ad hoc, fondi specializzati, bond, titoli da offrire agli operatori e ai risparmiatori.

 

L’assedio globale
Se la leadership mondiale nell’attrazione di turisti stranieri è costantemente appannaggio di Francia, Spagna e Stati Uniti, seguiti dall’Italia, si sono considerevolmente accorciate le distanze con i concorrenti che, soprattutto negli anni Novanta, hanno guadagnato posizioni di mercato a marce forzate, minacciando di erodere appetibilità, competitività e primati italiani. E’ il caso di paesi come Cina e Russia, un tempo chiusi al turismo straniero. In particolare la Cina è salita in graduatoria dalla quindicesima posizione del 1980 (con 3,5 milioni di entrate turistiche) alla quinta (con 33 milioni di entrate). La Russia è passata dalla ventinovesima (3 milioni di entrate turistiche) alla settima posizione (con 21 milioni) nel giro di una decina di anni. Si è inoltre allargato il gap del quartetto di testa. L’Italia ha incrementato, negli ultimi venti anni, la presenza di stranieri alla media del 3,8 per cento annuo, contro il 7,2 per cento della Francia, il 6 per cento della Spagna e il 5,1 per cento degli Stati Uniti.

 

Il brand Italia ha tenuto nel tempo e a partire dal 2010 ha cominciato la sua rimonta con un incremento del 21,7 per cento, di poco inferiore a quello della Spagna: insieme a Grecia e Croazia hanno attratto i turisti stranieri che hanno lasciato Egitto, Maghreb e Turchia per paura del terrorismo

Il World Economic Forum, lo stesso che organizza i seminari invernali a Davos, ha dedicato un ampio studio al turismo globale. Nell’introduzione, Cheryl Martin e Richard Samans spiegano che “nei decenni scorsi viaggi e turismo hanno dato prova di essere delle guide significative dello sviluppo economico, contribuendo per oltre il 10 per cento alla crescita del prodotto lordo mondiale, creando 292 milioni di posti di lavoro, uno su dieci nell’intero pianeta. E’ un’industria che continua a essere una forza positiva e fornisce opportunità uniche ai paesi in via di sviluppo per salire in alto nella catena del valore”. Oltre un miliardo e 200 mila persone l’anno scorso si sono spostate nel mondo per vacanze e viaggi di piacere e la tendenza è destinata a crescere nei prossimi anni secondo il rapporto del Wef che elabora anche un indice di competitività. L’edizione 2017 vede la Spagna in cima per il secondo anno consecutivo, seguita da Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia e Italia che si piazza solo all’ottavo posto prima di Canada e Svizzera. Dunque, emerge una forbice tra quantità e qualità, tra potenzialità italiane e numero di visitatori da una parte, efficienza dei servizi offerti dall’altra. Colmare questa differenza è esattamente la sfida che sta davanti al turismo dello stivale.

 

“Mentre sulle prime pagine dei giornali campeggiano protezionisti e nativisti, l’industria del viaggio e del turismo (acronimo T&T, trade and tourism, ndr.) resta fino a questo momento non danneggiata, a differenza da quel che sta accadendo agli scambi di merci”, sottolineano Roberto Crotti e Tiffany Misrahi che hanno curato l’indice di competività. “I dati rivelano che c’è stata una riduzione delle importazioni di prodotti, invece il numero delle persone in viaggio nel 2016 ha continuato a crescere”.

 

Non solo. Nel mondo della manifattura aumenta la corsa a dazi e tariffe, al contrario il T&T mostra una riduzione significativa dei paesi nei quali è richiesto un visto: dal 77 per cento del 2008 si è scesi al 58 per cento. Il Wef non lo dice, ma l’effetto Trump potrebbe avere una ricaduta limitando gli accessi non solo ai cittadini dei paesi musulmani considerati inaffidabili o nemici, ma anche a chi proviene dall’Europa occidentale, brodo di coltura dei terroristi islamici. E’ ancora presto per capire gli effetti concreti di questa variabile politica. Sono invece chiarissime le conseguenze della innovazione tecnologica che ha cambiato i viaggi e il turismo.

 

“Con l’espansione della quarta rivoluzione industriale – scrive il rapporto del Wef – la rete digitale sta diventando sempre più una richiesta di base per essere competitivi”. Sulla fiacca performance dell’Italia nell’indice di Davos incide in modo significativo la ristrettezza dei collegamenti a banda larga, molti dei quali mancano o sono inefficienti proprio nelle aree a più alta vocazione turistica (si pensi a gran parte del Mezzogiorno o persino alle aree interne del centro). “I paesi che non si integrano e non potenziano la loro connettività sono destinati a restare indietro – sostengono Ciotti e Misrahi –. Mentre internet ha già trasformato il settore due decenni fa, oggi è in corso una seconda rivoluzione che ruota attorno al rapido sviluppo dei servizi forniti attraverso apparecchiature mobili come gli smartphone, tanto che nel giro di due anni le prenotazioni online sono balzate dal 9 al 33 per cento del totale”.

 

Salute, igiene, sicurezza e naturalmente ricchezze naturali e artistiche, restano caposaldi intramontabili nella industria T&T. Ad essi s’aggiunge oggi il fattore ambientale. I dati raccolti dal Wef mostrano che più alta è la protezione, più turisti arrivano e sono anche disposti a pagare l’accesso ad aree ben tenute e conservate. Questo apre uno spiraglio ai fautori del numero chiuso o del ticket, ma a condizione che al pagamento del biglietto corrisponda davvero un’offerta adeguata. Francamente, non è sempre così. L’Italia e in generale i paesi del sud Europa tendono a caratterizzarsi per le loro attrattive culturali e naturali, ma molto spesso l’ambiente, i trasporti, le infrastrutture e l’attenzione verso la sostenibilità restano più basse che nel nord Europa. In Italia, secondo l’indice del Wef ci sono stati miglioramenti nelle infrastrutture (ha recuperato dieci posizioni anche se resta al 22esimo posto), nella gestione delle risorse umane, nei prezzi (è pur sempre più cara). “Tuttavia – scrive il rapporto – l’industria T&T italiana è penalizzata dal minor impegno del governo e da una debole strategia del marchio Italia. Anche la sicurezza si è ridotta a causa della minore percezione della affidabilità della polizia e del sistema legale. Mentre resta incerto l’ambiente economico e non si sono visti progressi significativi nelle procedure amministrative, nella tassazione e nei permessi di costruzione”.

 

Pregiudizi? In realtà, il quadro composto dagli uomini di Davos corrisponde all’esperienza quotidiana di chi nel paese vive e lavora tutto l’anno. Guai a credere che il turismo possa esistere e prosperare in una bolla, guai a pensare c’è l’Italia e poi ci sono i viaggiatori, i forestieri. Forse Goethe, nell’eccitazione del primo momento, poteva trasformare in poesia il fascino oscuro dei bassi napoletani, ma anche lui alla fine si è scagliato contro la sporcizia veneziana e la malefica arte di bidonare gli stranieri sprovveduti.

 

Nell’indice di competitività del turismo globale elaborato dal World Economic Forum, l’Italia è solo ottava. Emerge una forbice tra quantità e qualità, tra potenzialità e numero di visitatori da una parte
ed efficienza dei servizi offerti dall’altra. La sfida è colmare questa differenza

Secondo la Borsa internazionale del turismo, occorre saper cogliere cinque importanti cambiamenti per adattare l’offerta alla nuova domanda. Il primo riguarda il divario digitale: gli italiani si appoggiano alla rete per costruire la propria vacanza personalizzata. In secondo luogo, ormai assodata è la contaminazione di arte, cultura, sport e gusto con il turismo. Si è passati da essere turisti passivi a diventare viaggiatori che non si accontentano più di visitare, ma vogliono immergersi nell’esperienza della destinazione con tutti i cinque sensi. Il turismo eno-gastronomico non è certo nuovo, però ha cambiato target e pubblico diffondendosi in ogni età e strato sociale. Sono diventati sempre più importanti i ponti primaverili e le vacanze nel corso dell’anno, ciò riguarda in modo particolare i paesi stranieri dove l’orario di lavoro è più flessibile (si pensi alla Francia con le 35 ore settimanali che si sono per lo più trasformate in una moltiplicazione delle ferie in vari periodi dell’anno). Ma la novità senza dubbio maggiore è iI turismo Lgbt, divenuto negli ultimi anni un segmento economicamente sempre più interessante, sia per le destinazioni che per gli operatori del settore. Ancora non esistono dati univoci né ufficiali sulla rilevanza economica di questo segmento, se non alcune stime da parte di istituzioni e associazioni indipendenti che comunque portano a conclusioni molto simili. Diverse fonti stimano il suo valore economico a livello mondiale tra i 195 e i 211 miliardi di dollari l’anno.

 

Cieli aperti
Adattabilità, capacità di cogliere le preferenze di un turismo di massa che si fa anch’esso più maturo, quindi più personalizzato e frammentato, l’integrazione con internet e l’universo digitale, tutto ciò pone sfide inedite a quella spina dorsale senza la quale le città d’arte resterebbero calviniane città immaginarie: “Nonostante la continua crescita della domanda – scrive ancora il Wef – l’offerta in termini di infrastrutture pubbliche e private (aeroporti, strade, ferrovie, comunicazioni, alloggi) è rimasta indietro, rivelando ovunque alcuni allarmanti colli di bottiglia”. Un caso eclatante riguarda il trasporto aereo. Negli scorsi settant’anni l’aviazione si è evoluta: un sistema sostanzialmente nazionale è diventato un reticolo globale complesso che guida lo sviluppo economico e il commercio internazionale. Questa metamorfosi è stata alimentata dalle trasformazioni tecnologiche e dalla liberalizzazione soprattutto negli Stati Uniti e nella Unione europea, che hanno portato agli accordi sui “cieli aperti”. Quando il trasporto aereo è stato fondato e codificato, nel 1944, ogni stato aveva la propria compagnia di bandiera e i propri diritti di traffico. Oggi ci sono tre grandi alleanze mondiali (Star Alliance, Sky Team, Oneworld) e i maggiori vettori coprono il 28 per cento del mercato. Sono nati degli hub globali (si pensi agli Emirati arabi come snodo tra oriente e occidente), mentre sono state liberalizzate le tariffe, i servizi, gli accessi al mercato. Ci sono ancora restrizioni che limitano un pieno sviluppo, come ad esempio i limiti di legge alla vendita di azioni e, quindi, al controllo delle compagnie, secondo il principio l’Europa agli europei, l’America agli americani (tutti gli altri possono avere solo quote di minoranza). Ciò nonostante, il trasporto aereo resta uno dei settori economici più liberalizzati, con ricadute rilevantissime.

 

Secondo una opinione diffusa, “open skies” ha spezzato il cordone ombelicale che legava la compagnia di bandiera al turismo. Eppure, ancor oggi il polmone artificiale che tiene in vita l’Alitalia è giustificato dal ricordo di quel legame. Le compagnie low cost dopo aver spopolato nel breve raggio sono diventate formidabili concorrenti anche nel medio e lungo, come dimostra Norwegian. L’Alitalia non è stata in grado di difendere la sua posizione, da un lato contando troppo sul quasi monopolio delle principali tratte nazionali e dall’altro ostentando eccessiva sicurezza su quel che il marchio Italia poteva ancora dare soprattutto nei voli transatlantici con le Americhe. La realtà mostra che nessun paese europeo, Svizzera, Spagna, Olanda, Austria, per non parlare di Francia e Germania, ha ammainato la compagnia di bandiera anche quando è stata assorbita da operatori più grandi; la concentrazione degli ultimi vent’anni ha salvato i marchi collegati alle identità nazionali.

 

Il fattore ambientale. Il World Economic Forum mostra che più alta è la protezione, più turisti arrivano e sono anche disposti a pagare l’accesso ad aree ben tenute e conservate. Uno spiraglio per i fautori del numero chiuso, ma a condizione che al pagamento del biglietto corrisponda davvero un’offerta adeguata.

Molti analisti sono convinti che, una volta sfumati matrimoni più o meno convenienti (come quelli con Klm o Air France), bisognava dividere almeno in due la compagnia, distinguendo nettamente tra le diverse tratte e creando una low cost competitiva come è successo in Spagna con Vueling dopo che British Airways ha preso il controllo di Iberia. Alcuni sostengono che non tutto è perduto ed è ancora possibile tentare, sia pure come ultima speranza. Nel frattempo si è radicato il connubio tra Ryanair, bandiera del liberismo celeste, e le amministrazioni locali, le quali versano fior di quattrini dei contribuenti per attirare gli aerei irlandesi con la lira gaelica. I risultati si vedono anche per il turismo locale, sostengono i difensori di questo paradossale sistema di sostegno pubblico ai campioni della concorrenza sfrenata, e portano l’esempio del Salento. Il boom nel tacco dello stivale non è dovuto soltanto alle chiese barocche o alle spiagge, ma ai collegamenti aerei a basso prezzo con Lecce e Brindisi forniti da Ryanair, i cui profitti sono stati sostenuti con i tributi locali. Non a caso, la recente cancellazione del volo giornaliero Roma-Brindisi per ritorsione verso l’aumento delle tariffe a Fiumicino, ha sollevato alti lai. Alitalia una volta privatizzata poteva far conconcorrenza sullo stesso terreno? La questione resta aperta, certo non poteva farlo con la sua sclerotica e arcaica struttura.

 

La compagnia aerea è solo uno degli snodi, perché il turismo stesso non è concepibile senza un sistema dei trasporti efficiente e sempre più integrato. Persino i pellegrini e i Wanderer solitari del passato avevano bisogno della via Francigena o delle millenarie strade consolari romane per raggiungere Roma, figuriamoci i nuovi turisti. L’alta velocità ferroviaria da questo punto di vista ha funzionato benissimo. La concorrenza fra Trenitalia e Italo ha abbattuto i prezzi e ampliato l’offerta. E’ stato il vero salto di qualità di una rete di trasporti su rotaia che nel suo insieme resta arretrata e in alcune parti del tutto disastrata. Soprattutto, anche qui ci si è mossi fuori da una visione di sistema. La Frecciarossa ha messo in crisi Alitalia sulla tratta Roma-Milano, ma non solo: a differenza dal Tgv francese non ha creato un collegamento diretto con i grandi aeroporti; né Fiumicino né Malpensa hanno un treno rapido per raggiungere Roma e Milano e nessun collegamento diretto con l’alta velocità. Non parliamo poi di raggiungere le città d’arte e i natii borghi più o meno selvaggi. Le Marche, l’Umbria, buona parte della stessa Toscana sono mal collegate anche dalla rete autostradale (si pensi all’Aurelia tra Civitavecchia e Livorno e il tormentone sui radical chic di Capalbio e la loro decennale guerra all’autostrada).

 

Locale e digitale
Vecchi conflitti parrocchiali s’ammantano di coloriture verdi e s’aggiungono ai nuovi ben più acuti conflitti dell’èra digitale che dilaniano anche il turismo. Nell’indagine che la Federalberghi ha realizzato con la Incipit Consulting, ad aprile di quest’anno, erano disponibili su Airbnb 214.483 alloggi italiani, con una crescita esponenziale che non accenna a fermarsi: 42.804 alloggi in più nel corso del 2016, pari a un incremento del 25,6 per cento. Le strutture di natura analoga, ovvero appartamenti in affitto e bed and breakfast, censite dall’Istat sono 103.459. Dunque si può certificare ufficialmente l’esistenza di almeno 110.000 alloggi che sfuggono a ogni controllo, con l’avvertenza che le strutture mancanti all’appello sono probabilmente il doppio. Le città più interessate sono Roma con 25.743 alloggi, Milano con 14.523, Firenze con 6.992 e Venezia con 5.973. L’associazione che tutela i 33 mila alberghi italiani, denuncia anche le “bugie” rispetto alla gestione di queste strutture: “Non è vero che si tratti di attività occasionali perché nel 76,3 per cento dei casi sono disponibili per oltre sei mesi l’anno; non è vero che si tratti di piccoli redditi o che si condivida l’esperienza con il titolare, perché nel 70,6 per cento degli appartamenti non abita nessuno; non è vero che queste nuove formule si sviluppino dove c’è carenza di offerta visto che fioriscono nelle grandi città e nelle località turistiche”.

 

Il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, che è anche senatore di Forza Italia, denuncia che la categoria non si sente tutelata: “Dobbiamo governare il fenomeno dell’abusivismo che altrimenti diventa pericoloso. Sono solo 30 mila le strutture censite sulle oltre 200 mila disponibili su Airbnb. Questa non è evasione da 10/15 per cento. Qui le proporzioni sono capovolte, gli irregolari sono 10 volte tanto”. La cedolare secca allora non basta. “Esistono soggetti che su Airbnb gestiscono 200 appartamenti: quelli non sono privati cittadini, sono società mascherate. La tassazione al 21 per cento per una persona è sufficiente. Sull’impresa no: noi albergatori paghiamo il 50 per cento. A New York se affitti un appartamento per meno di 30 giorni, sei riconosciuto come un’impresa e non più un semplice privato. In Francia invece è necessario iscriversi a un registro pubblico: serve per incrociare i dati. Ecco: il modello francese va bene, quello americano sarebbe l’ideale, ma in Italia è difficile da ottenere”. 

 

L’industria del turismo chiamata a cogliere i cambiamenti: la vacanza personalizzata online, la contaminazione di arte, cultura, sport e gusto, sempre più ponti primaverili, sempre più turisti Lgbt. I guai dei trasporti. Le strutture alberghiere tradizionali in guerra con la rete Airbnb. La transizione italiana

Le accuse vengono fermamente respinte dalla Confedilizia che organizza anche l’Associazione nazionale B&B e affittacamere. “I numeri sul presunto sommerso nel turismo diffusi da Federalberghi potrebbero tranquillamente essere archiviati nella categoria folklore se non rischiassero di trarre in inganno la politica – contrattacca il presidente Giorgio Spaziani Testa –. Quello che Federalberghi definisce sommerso, mischiando attività completamente diverse come il bed and breakfast e i semplici affitti brevi, corrisponde nella stragrande maggioranza dei casi all’esercizio del diritto di proprietà con la locazione”. Interessi contrapposti, uno scontro tra lobby, un duello tra particolarismi che ha il sapore della vecchia Italia. Ma è anche una tensione indotta dalla concorrenza di soggetti che hanno fatto irruzione sul mercato grazie al mondo digitale, alla sua diffusione e all’integrazione sempre maggiore tra nuova e vecchia economia, tra realtà virtuale e realtà materiale.

 

Nei prossimi dieci anni la digitalizzazione può generare fino a 305 miliardi di dollari, a cominciare dallo stesso trasporto aereo. Viaggi e turismo oggi occupano un lavoratore su dieci nell’intero pianeta e ogni 30 nuovi turisti creano un posto di lavoro. Il potenziale dunque è enorme secondo gli esperti di Davos, i quali individuano otto tendenze destinate a guidare la trasformazione dell’industria turistica: 1) i turisti di domani sono diversi da quelli odierni, e qui la parte del leone spetta non più ad americani e nord europei, ma alla nuova classe media dei paesi asiatici; 2) i nuovi viaggiatori si trovano in contraddizione con un vecchio sistema organizzativo che va rinnovato; 3) l’insicurezza geopolitica è destinata a diventare la nuova normalità; 4) la quarta rivoluzione industriale è destinata a trasformare anche l’industria turistica; 5) verranno creati sempre più posti di lavoro, ma il problema vero diventa il talento imprenditoriale; 6) la sostenibilità diventa un imperativo: 7) le infrastrutture sono i principali colli di bottiglia: 8) occorre una nuova cornice regolamentale (si pensi solo al sistema dei visti) che tenga conto della nuova domanda di questo XXI secolo.

 

Viaggi e turismo oggi occupano un lavoratore su dieci nell’intero pianeta. L’impatto del web: l’utilizzo di internet aiuta a creare un’offerta
su misura e a modellare le preferenze dei viaggiatori, ma è decisivo che non si verifichi una sconnessione tra le aspettative maturate online e l’approccio personale

“Per restare competitivo, il turismo deve rendere complementare l’approccio high-touch con le applicazioni high-tech”, scrive il Wef. In italiano corrente vuol dire che oggi i consumatori vogliono sentirsi speciali e si aspettano una personalizzazione dei servizi e delle esperienze. Il Rapporto Unicredit 2016 mette in evidenza la nascita di tanti nuovi “turismi”, in risposta a una domanda in continua evoluzione. In primo luogo c’è l’impatto del web sui comportamenti e sui consumi quotidiani, anche turistici, che sono sempre più flessibili, mobili, immediati, come sottolinea su Wired l’olandese Gillian Tans che guida Booking.com, divisione della multinazionale dei viaggi Priceline Group. L’utilizzo di internet aiuta a creare un’offerta su misura e a modellare le preferenze dei viaggiatori, ma è decisivo che non si verifichi una sconnessione tra le aspettative maturate online e l’approccio personale. Il viaggio e il turismo non possono fare a meno dell’esperienza umana, dell’incontro ravvicinato tra uomini e cose.

 

In questo scenario, l’Italia si trova ancora in piena transizione. Ha evitato il rischio di essere surclassata da concorrenti che la incalzavano per così dire dal basso (i paesi mediterranei per esempio), se la batte con quelli che la schiacciavano dall’alto (Francia e Spagna), ma ancora deve compiere il salto verso una piena industrializzazione, mentre il mondo digitale le pone nuove complesse domande. Ce la farà? Anche in questo caso, l’approccio peggiore resta il declinismo imbelle e impotente. Riorganizzare l’offerta, potenziare le infrastrutture, a cominciare da quella digitale, adattare le regole alla nuova competizione (vedi conflitto tra alberghi e B&B), passare dalla logica del cespuglio nel quale rinchiudersi al sistema (l’esempio siciliano è incoraggiante), ebbene tutto ciò non richiede un gosplan turistico, bastano buone regole (poche, semplici e flessibili) e comportamenti corretti, incoraggiando gli investimenti e non vessando gli imprenditori con tasse confuse ed eccessive. Come si vede, è una politica ragionevole, non la luna nel pozzo dei desideri.

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