La prigione multiculturale

Giulio Meotti

Dovevano essere le sorti magnifiche e progressive di una società relativista. Ma il multiculti è diventato una minaccia strategica alla democrazia liberale in Europa. A colloquio con lo scrittore francese Pascal Bruckner

Lo scorso settembre, il celebre politologo tedesco Rolf Peter Sieferle, rinomato storico della società industriale, si è tolto la vita a Heidelberg. Ma poco prima aveva consegnato al suo editore un saggio incandescente di cento pagine dal titolo “Finis Germania”. La Germania, così come la conosciamo, che cesserà presto di esistere a causa del multiculturalismo. Adesso quel libro è primo in classifica. Nei giorni scorsi, attorno al libro di Sieferle si è consumato anche uno scandalo giornalistico. Perché la radio pubblica Ndr, che assieme alla Süddeutsche Zeitung raccomanda dal 1990 i libri del mese, si è permessa di inserire in lista anche il saggio di Sieferle. Il presidente della giuria, Andreas Wang, ha chiesto la testa del redattore dello Spiegel, Johannes Saltzwedel, che si è dimesso dal comitato. Sua la “colpa” di aver selezionato un libro tanto popolare quanto indigeribile. “Finis Germania” esamina, infatti, la “deliberata autodistruzione della cultura europea e occidentale”.

   

Intanto, a Colonia, correvano i preparativi per l’inaugurazione fra mille polemiche della “più grande moschea d’Europa”. Dopo nove anni di lavoro, la struttura sarà in grado di ospitare da due a quattromila fedeli musulmani in uno spazio di oltre 4.500 metri quadri. Il minareto, di 55 metri di altezza, domina il paesaggio della città tedesca ed è il più alto del continente. In totale, 34 milioni di euro sono stati investiti nella costruzione di questa imponente struttura finanziata da un’associazione turca. In tutta Europa, non solo in Germania, impazza la discussione sul multiculturalismo. Erano partiti tutti con le migliori intenzioni, ciascun paese europeo con la propria ricetta. Ma sono arrivati tutti allo stesso risultato. A un relativismo generalizzato e, paradossalmente, assoluto, di cui hanno tratto vantaggio soltanto gli estremisti. La Francia con l’assimilazione forzata da laicità; l’Inghilterra con il comunitarismo del laissez-faire; l’Olanda con il “polder”, le braccia portate all’integrazione, costi quel che costi; la Svezia con l’uguaglianza di stato e la “cecità di fronte alle differenze”; la Germania di Sieferle con il “neutralismo” e il tentativo di inglobare l’islam nella cultura e nel paesaggio tedeschi. Il multiculturalismo doveva essere le sorti magnifiche e progressive di una società pacificata. Ma sta portando alla partition, alla frattura delle società europee come recita il titolo del prossimo libro di Alexandre Mendel. “Le cause fondamentali dell’ondata di terrorismo jihadista in tutta Europa non sono la disuguaglianza economica, il razzismo o l’islamofobia, ma le ‘comunità sospese’ che si annidano nelle nazioni dell’occidente”, scrive Andrew Michta, storico di fama e preside del Marshall Center in Germania, nell’ultimo numero della rivista American Interest. “Siano i sobborghi di Parigi, i distretti di Amburgo o città come Luton nel Regno Unito, le ‘comunità sospese’ sono rafforzate da decenni di ideologia multiculturale sbagliata che manca di un ingrediente fondamentale: il fine dell’acculturazione e dell’assorbimento della società”. Scrive Michta che “l’emergere di queste énclave, rafforzate dalle politiche dell’élite del multiculturalismo e dalla decostruzione del patrimonio occidentale, ha contribuito alla frattura delle nazioni dell’Europa occidentale”. “Finché non si inverte questa rotta, il fallimento dell’integrazione continuerà a essere una minaccia mortale per l’Europa”, ha scritto il Wall Street Journal dopo il recente attentato suicida che a Manchester ha fatto 22 morti. I numeri della George Washington University parlano chiaro: 51 attacchi mortali a nome dello Stato islamico contro l’occidente, che in totale hanno provocato 395 vittime e 1549 feriti. Il 73 per cento degli attentatori è composto da cittadini del paese in cui è stato eseguito l’attacco. Il 17 per cento degli attentatori erano convertiti. Sono i figli prediletti del multiculturalismo. Un altro rapporto della Henry Jackson Society ha appena rilevato che il 76 per cento degli attentati in Inghilterra è stato compiuto da islamici radicali che vivevano nei ghetti multiculturali. Abbiamo incubato l’odio che si è riversato contro di noi in questi ultimi tre anni.

   

A Colonia aprirà a breve la più grande moschea d'Europa. Lo storico Sieferle l'ha chiamata "Finis Germania" in un bestseller

“Il multiculturalismo è un’ideologia anglosassone, nata all’epoca della prima globalizzazione e della decolonizzazione, quando si pensò di usarla per far convivere diverse comunità e culture”, dice al Foglio Pascal Bruckner, saggista, filosofo e romanziere francese, l’ex nouveau philosophe antimarxista autore di recente del libro “Un racisme imaginarie” (Grasset), che tratta appunto di multiculturalismo. “I criteri di giusto e ingiusto, criminale e barbarico, scompaiono di fronte al criterio assoluto del rispetto per la differenza. Non esiste più alcuna verità eterna. Lo stato deve essere un mero amministratore nel nome del rispetto della religione, come avveniva durante il dominio coloniale inglese. Ma è finita, come ha detto anche il sindaco di Londra Sadiq Khan, con i ghetti in cui i musulmani si sono chiusi. Le chiamano ‘sharia zones’, territori in molte città inglesi che sembrano britanniche soltanto nell’architettura, mentre dentro si vive come in Arabia Saudita. Il multiculturalismo è stato un tradimento dell’integrazione, abbiamo pensato che se fossimo stati carini con gli immigrati loro sarebbero stati gentili con noi. Ma i musulmani sono rimasti musulmani, ritengono che l’islam sia superiore alla cultura occidentale. L’integrazione sarebbe un tradimento. La cultura occidentale per loro è Boko Haram, che significa proprio questo: la cultura occidentale è sacrilega. 

   

L’integrazione ha funzionato bene con gli italiani, i polacchi, gli ucraini, ma non con i musulmani. Non vogliono laicità, uguaglianza, occidente”. Negli anni Sessanta, l’allora Home Secretary del Regno Unito, Roy Jenkins, formulò così il multiculturalismo: “Pari opportunità accompagnate da diversità culturale in un’atmosfera di mutua tolleranza”. E’ stata la più potente ideologia europea post Seconda guerra mondiale, come spiega la politologa americana Rita Chin nel libro in uscita ad agosto dal titolo “The crisis of multiculturalism in Europe. A history” (Princeton University Press). Ma come scrive Renato Cristin nel libro “I padroni del caos”, uno dei migliori libri sull’ideologia multiculturale appena uscito per Liberilibri, si tratta di un “riduzionismo” forgiato nel “mito sessantottesco e postmoderno dell’altro e dell’alterità”, in cui la cultura occidentale abdica ai suoi founding principles, mentre l’islam radicale è lasciato impunemente libero di edificare il suo scontro di civiltà. “You will not divide us”, ripetiamo ai terroristi che ci colpiscono. Ma quella divisione è già avvenuta.

   

Anziché arruolarsi nel Califfato e farsi esplodere al concerto di Ariana Grande, Salman Abedi sarebbe potuto diventare un medico, un ingegnere, portare braccia all’integrazione. Ma tutta la sua famiglia era un microcosmo del fallimento multiculturale. Ramadan Abedi, il padre di Salman, era una guardia nel regime di Gheddafi, salvo lavorare segretamente per rovesciarlo, poi muezzin a Manchester, tornato nella Libia post Gheddafi per riprendere il suo vecchio nome islamico Abu Ismail. Ismail Abedi, fratello dell’attentatore, è stato arrestato a Manchester il mattino dopo la macellazione. Hashim Abedi, l’altro fratello, è stato arrestato lo stesso giorno in Libia per i legami con l’Isis. Jomana Abedi, sorella di Salman, ha pubblicato su Facebook una preghiera araba che celebra l’ingresso di suo fratello in Paradiso. Abedi era uno dei 23 mila islamici radicali nella lista dell’intelligence britannica. Dame Stella Rimington, ex capo dell’MI5, ha stimato che ci vorrebbero 50 mila agenti inglesi per monitorare duemila estremisti islamici 24 ore su 24 sette giorni su sette.

    

“L’ironia è che abbiamo creato per loro questi ghetti, da cui poi hanno scatenato una guerra terroristica”, continua lo scrittore francese Pascal Bruckner nell’intervista al Foglio. “Territori perduti, li chiamano così in Francia. Quando ci furono i disordini nelle banlieue, lo stato andò dagli imam per calmare gli animi. In cambio abbiamo dato loro moschee, scuole, centri culturali. E’ il Cavallo di Troia del multiculturalismo. Abbiamo pensato: ‘Loro ci danno voti, noi diamo loro ciò che vogliono’. E’ il prezzo della ‘pace sociale’. Sono i sintomi di un’Europa affaticata, che è troppo pronta all’acquiescenza al minimo allarme. In Francia abbiamo così avuto Charlie Hebdo, il Bataclan, l’antisemitismo. Siamo un obiettivo prelibato dell’islam radicale. Dal 2012 a oggi, dieci ebrei francesi sono stati uccisi in quanto ebrei. L’ultima è stata, due mesi fa, Sarah Halimi. Anche nel modello francese molte cose sono andate storte. La Francia ha abbandonato l’assimilazione, che funzionò bene con gli ebrei, consentendo ai musulmani di restare prima di tutto musulmani. Qui ha giocato un senso di colpa coloniale potentissimo. Il multiculturalismo ha imprigionato gli esseri umani nella loro condizione di nascita, sei dannato e condannato, è come il giansenismo, il destino della colpa o della salvezza originaria. Chiunque voglia sostenere che la libertà è indivisibile, che la vita di un essere umano ha lo stesso valore ovunque, che amputare la mano di un ladro o lapidare un’adultera è intollerabile ovunque, è debitamente accusato in nome della necessaria uguaglianza delle culture. Di conseguenza, possiamo chiudere un occhio su come gli altri vivono e soffrono una volta che sono stati parcheggiati nel ghetto della loro particolarità. Questo è il paradosso del multiculturalismo: accorda lo stesso trattamento a tutte le comunità, ma non alle persone che le formano, negando loro la libertà di liberarsi dalle proprie tradizioni. Si tende a dimenticare il despotismo totale delle minoranze resistenti all’assimilazione. Neri, arabi, pakistani e musulmani sono imprigionati nella loro storia. Viene loro negato quello che è stato il nostro privilegio: il passaggio da un mondo all’altro, dalla tradizione alla modernità, dalla cieca obbedienza alla decisione razionale. Il multiculturalismo è il razzismo degli anti-razzisti, incatena le persone alle loro radici. I Lumi appartengono a tutta l’umanità e non a pochi privilegiati nati in Europa o in Nord America”.

   

"I criteri di giusto e ingiusto, criminale e barbarico, scompaiono di fronte al criterio assoluto del rispetto per la differenza"

Il multiculturalismo si è mutato nella più grave minaccia alla democrazia liberale in Europa. Lo si è visto il giorno dell’arresto di Salah Abdeslam, l’attentatore del 13 novembre 2015, stanato nelle case popolari a Molenbeek, dopo una latitanza di quattro mesi, uno degli appartamenti che l’amministrazione di Bruxelles assegna agli immigrati. Anziché applausi alle teste di cuoio che lo hanno arrestato, dai balconi sono piovuti oggetti di ogni tipo. Il primo sintomo di questo fallimento furono i riots in Francia e in Inghilterra del 2005 e del 2011. Poi è arrivata una spaventosa ondata di terrore di matrice islamica. Non da parte degli immigrati sui barconi, ma dei born again, i terroristi figli dell’Europa “rinati” qui al fondamentalismo islamico, e dei convertiti. A soli venti minuti di auto dal Marais, il quartiere di Parigi in cui si trovavano gli uffici di Charlie Hebdo, c’è Gennevilliers, un sobborgo settentrionale che ospita diecimila musulmani dove i fratelli Kouachi sono nati e cresciuti. Appena sette miglia separano i due mondi, ma c’è un abisso. Come nella caligine di Birmingham, nella Ruhr britannica. Le barbe sono la maggioranza. Le mani delle donne tutte guantate di nero. Molti negozi mostrano diversi orari di chiusura corrispondenti a quelli delle preghiere quotidiane. Molte le librerie religiose. Come le agenzie di viaggio che garantiscono strutture con spazi non misti e piscine in cui le donne possono “preservare la propria modestia”. Da qui, da quartieri come Sparkbrook, viene un decimo dei jihadisti del Regno Unito. A Sparkbrook, il consiglio comunale a maggioranza laburista ha chiuso un occhio per anni sulla proliferazione dell’estremismo islamico, esattamente come facevano i socialisti a Molenbeek, dove hanno governato per mezzo secolo. A cominciare dal borgomastro Philippe Moureaux, che incluse, primo caso nella storia del Belgio, esponenti musulmani nelle liste comunali e regionali. Frequenti le visite alle moschee, i sussidi alle associazioni musulmane, la fornitura dei servizi alle scuole islamiche, la partecipazione dei politici al festival Eid El Kebir.

   

“Per la sinistra, i musulmani sono i nuovi proletari”, dice ancora Bruckner al Foglio. “La sinistra ha perso tutto: l’Unione sovietica, la classe operaia occidentale e il Terzo mondo, che si sta aprendo al mercato e all’occidente. Le resta l’islam radicale per il tramite multiculturale. Dopo la strage al Bataclan, il filosofo Alain Badiou ha detto che il terrorismo è una reazione al capitalismo”. Il burqa e la barba che proliferano nelle nostre società parallele non sono casuali. Il costume simboleggia la fedeltà a uno stile di vita, a una civiltà. Quando l’imperatore giapponese aprì il suo paese all’occidente, durante il periodo Meiji, adottò un frac. Atatürk fece la stessa cosa in Turchia. Vietò le barbe, i fez per gli uomini e i veli per le donne. “Il multiculturalismo ha provocato delitti d’onore, mutilazioni genitali femminili e legge della sharia”, ha affermato l’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey. Il multiculturalismo si è rivelato un gigantesco raccolto di dolore. Dal 2010 al 2014, in Inghilterra ci sono stati 11 mila casi di violenza legata ai “delitti d’onore”. In Italia c’è stata Hina Saleem, sgozzata e sepolta nell’orto di famiglia, a Sarezzo. Il padre, pachistano, l’aveva promessa in sposa a un cugino. Fu sepolta con la testa rivolta alla Mecca. A Pordenone, Sanaa Dafani è stata accoltellata a morte nel bosco, mentre era in compagnia del fidanzato, italiano. I giornali in Europa, per non disturbare il sonno multiculti, tendono sempre a derubricare queste esecuzioni a sfondo islamico alla voce “violenza domestica”. Il settimanale tedesco Spiegel scrive che almeno cinquanta donne musulmane siano state vittima di un delitto d’onore dal 2000 a oggi. A queste vanno aggiunte le “vergini suicide”, le ragazze che si uccidono per sfuggire a un matrimonio forzato. 

   

Un nuovo rapporto ha rivelato che giovani di origini straniere in Svezia sono soggetti in gran numero a “cultura dell’onore” e sono a rischio di omicidi d’onore per un totale di 240 mila persone. Lo ha spiegato il quotidiano svedese Aftonbladet. Astrid Schlytter, professore associato all’Università di Stoccolma ed esperto in materia, ha dichiarato: “Un terzo degli studenti nati all’estero o i cui genitori sono nati all’estero vive sotto norme d’onore”. Negli ultimi cinque anni solo a Londra il tasso di delitti d’onore è aumentato del 40 per cento. In Europa risultano “scomparse” migliaia di ragazze musulmane già cittadine europee. Tutte allo stesso modo: partono per un viaggio all’estero e sui banchi di scuola o sul posto di lavoro non tornano più. Downing Street stima che ogni anno avvengano circa tremila matrimoni forzati. In Svezia si parla di 70 mila ragazze musulmane non libere di sposare chi vogliono.

    

Da Gennevilliers, Parigi, a Sparkbrook, Birmingham, proliferano le énlcave dove hanno preso il potere i fondamentalisti islamici. "Solo nell'aspetto sembra di stare in Inghilterra, dentro quelle realtà si vive come in Arabia Saudita" 

Sono tante le “colpe” delle vittime dei delitti d’onore: il rigetto del velo, vestire all’occidentale, frequentare amici “infedeli”, convertirsi al cristianesimo, studiare, cercare il divorzio, mostrarsi “indipendenti”. Surijt Athwal è stata strangolata in Inghilterra perché aveva pianificato un divorzio, mentre Rukhsana Naz è stata uccisa perché aveva rifiutato un matrimonio combinato. La svedese Fadime Sahindal è stata uccisa a colpi di pistola perché si era avvicinata alla cultura occidentale. Hanno tagliato la gola all’inglese Heshu Yones perché aveva un fidanzato cristiano. In Germania Hatin Surucu è stata giustiziata con un colpo alla nuca perché si era tolta il velo. La tedesca Morsal Obeidi aveva appena sedici anni ed è stata uccisa perché “voleva essere troppo libera”. E’ uno dei grandi paradossi del multiculturalismo: in questo momento cinque paesi membri europei della Nato stanno combattendo in Afghanistan contro i talebani, che vanno per villaggi richiedendo alle famiglie le ragazze non sposate come mogli, mentre nella libera Europa accade lo stesso nei nostri ghetti. Non solo, ma i giornali inglesi hanno scritto di una “miniguerra civile surreale” in Afghanistan fra soldati britannici e cittadini inglesi di religione musulmana che hanno raggiunto le zone degli scontri per unirsi ai talebani. I figli del multiculti.

    

Benjamin Whitaker in un rapporto alle Nazioni Unite del 1982 ha inserito il matrimonio forzato, che imperversa nell’Europa multiculturale, tra le nuove schiavitù. Il Belgio è uno dei paesi più segnati dall’islamismo famigliare, tanto che la fondazione intitolata a re Baldovino ha diffuso nelle scuole una brochure: “Tempo di vacanze: tempo di matrimonio?”. In Francia sono migliaia le mariée de force, sposate con la forza. Il movimento Ni putes Ni soumises stima che solamente nell’Ile-de-France e nei sei dipartimenti a più forte popolazione islamica vi siano 70 mila adolescenti da 10 a 18 anni potenzialmente minacciate dai matrimoni forzati. Fadela Amara, leader di Ni putes ni soumises, ha detto che le donne delle periferie francesi hanno a che fare con il fondamentalismo islamico: “Negli ultimi dieci anni, la condizione delle donne nelle banlieue è peggiorata drasticamente. Si registra un aumento degli insulti contro le giovani donne in jeans, dei matrimoni forzati o combinati dalle famiglie, sempre più ragazze sono costrette a lasciare la scuola e assistiamo anche a una maggiore incidenza della poligamia”. La pittoresca città tedesca di Hamelin, che ha dato il nome alla fiaba del pifferaio, è stata teatro di un’orribile episodio di violenza dettata dall’onore, quando Nurettin B., nato in Turchia, ha tentato di uccidere una delle sue tre mogli. Il Max Planck Institute ha pubblicato uno studio sui delitti d’onore. Furono registrati due omicidi d’onore nel 1998 e dodici nel 2004. Nel 2016, però, ci sono stati 60 casi, un aumento del 400 per cento. E quest’anno sono già almeno trenta gli omicidi d’onore.

   

Nel multiculturalismo prolifera la poligamia. Paesi come il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Francia riconoscono i matrimoni poligamici se sono stati contratti all’estero. Si stima che in Gran Bretagna esistano almeno 20 mila unioni poligamiche. In Francia la poligamia è stata ufficialmente bandita nel 1993, ma l’Economist scrive che “ci sono circa 200 mila persone, tra cui i figli, che vivono in 16-20 mila famiglie poligamiche”. La maggior parte sono di origine africana, in particolare del Maghreb e del Sahel, dove la poligamia è accettata. In Germania, è stato stimato che nel 2012, solo a Berlino, il 30 per cento degli uomini di origine araba era sposato con più di una moglie. Tutto viene fatto in clandestinità: ci si sposa legalmente, il secondo matrimonio si effettua solo in moschea. Secondo la Bild, in Baviera sono stati registrati 550 casi di spose minorenni e 161 di spose bambine sotto i sedici anni tra i richiedenti asilo alloggiati nei campi profughi. Il diritto europeo quasi sempre capitola di fronte al sopruso multiculti. La Corte d’appello di Bamberg ha riconosciuto la validità di un matrimonio tra una quattordicenne e suo cugino appellandosi al fatto che era stato contratto in Siria, dove non esistono limiti di età, e in più era già stato consumato. Le spose bambine sono state riunite con i loro mariti in Danimarca dopo che le autorità a settembre hanno invertito la loro politica di separazione. Il servizio di immigrazione danese ha deciso che forzare quelle coppie sposate a separarsi violava il diritto alla vita famigliare garantito dalla Convenzione europea sui diritti umani. Anche se si tratta di una bambina di dodici o tredici anni. A gennaio, dopo le segnalazioni della radio svedese, le autorità hanno dichiarato che almeno 70 ragazze sotto i 18 anni si sono sposate in centri per migranti gestiti fra Stoccolma e Malmo. La famosa parità di genere scandinava non va oltre il ghetto multiculturale. E i governi dialogano con l’islam “moderato” di cui sono espressione organizzazioni come l’Ucoi in Italia, il cui fondatore Hamza Piccardo, definisce “un diritto civile” la poligamia. Lo stesso vale per la mutilazione genitale. Nel mondo, secondo l’Unicef, sono oltre 125 milioni le donne vittime del taglio rituale che tende a “purificarle” preservandole dal sesso prematrimoniale. In Europa ci sono almeno mezzo milione di ragazzine che hanno subito questa pratica terribile. E il nostro cosiddetto “stato sociale” si rifiuta ormai di entrare in quelle case e in quei quartieri (Ayaan Hirsi Ali, da assistente sociale, raccontava questa resa alla violenza fisica in Olanda).

    

Il multiculturalismo si fonda sulla legalizzazione di un diritto della sharia parallelo ai sistemi europei. In Gran Bretagna ci sono cento tribunali islamici organizzati in base alla sharia. Corti islamiche sono state inaugurate a Bruxelles e Anversa, mentre in Germania il settimanale Spiegel ha pubblicato un’inchiesta dal titolo: “Il ruolo della legge islamica nelle corti tedesche”. La paura di “offendere” le minoranze islamiche porta spesso alla cecità. Il politico inglese Denis MacShane ha detto di non aver voluto indagare il caso di Rotherham perché, “da lettore del Guardian e liberal di sinistra”, aveva paura di “affondare il barcone multiculturale”. Cosa era successo a Rotherham, una città di 117 mila abitanti nel nord dell’Inghilterra famosa per il carbone? Dal 1997 al 2013, centinaia di bambini da undici a sedici anni con problemi mentali, emozionali o famigliari sono stati adescati e abusati da membri delle comunità pachistana. Alexis Jay, incaricata dalle autorità governative di far luce su quanto era successo, ha trovato responsabilità di polizia, politici e assistenti sociali che non hanno voluto, pur conoscendole, fermare le violenze. I funzionari “temevano di denunciare l’origine etnica di chi era coinvolto” finendo per essere definiti “razzisti”. Il sindaco di Rotherham, il laburista Roger Stone, ha dato le dimissioni.

    

Il multiculturalismo fa rima con antisemitismo. Un caso, ad aprile, ha allarmato la comunità ebraica di Berlino. Un ragazzino per anni è stato “mobbizzato”, in quanto ebreo, dai compagni di origine turca e araba, fino al punto che i genitori hanno deciso di ritirarlo dalla scuola. Ha raccontato la Süddeutsche Zeitung che “non è un caso isolato”, come ha detto la ex presidente del consiglio centrale degli ebrei Charlotte Knobloch. In Francia a Sarah Halimi è appena successo di peggio. Lo scorso 4 aprile, questa signora ebrea è stata defenestrata al grido di “Allah Akbar” da un vicino. Numerosi intellettuali, come Alain Finkielkraut, Michael Onfray, Jacques Julliard, Elisabeth Badinter e Marcel Gauchet hanno pubblicato un testo sul quotidiano Le Figaro chiedendo a gran voce che “venga detta la verità” sul caso Halimi che ha sconvolto il paese due mesi fa. “La donna di 65 anni, pensionata e madre di tre figli, è stata torturata e uccisa in piena campagna elettorale. Colpevole solo di essere ebrea”. L’Agenzia ebraica si aspetta che 50 mila ebrei lasceranno la Francia alla volta di Israele entro il 2024. Cinquemila sono già partiti nel 2016, 7.900 nel 2015 e 7.231 nel 2014. Quarantamila ebrei francesi hanno lasciato il paese in dieci anni. La vita per loro, soprattutto dove la sinagoga si amalgama alla moschea, sta diventando impossibile.

    

In Italia c'è stata Hina Saleem. In Europa aumentano delitti d'onore, mutilazioni genitali, spose bambine e "vergini suicide". La donna musulmana è stata abbandonata nel multiculturalismo

Per assecondare le richieste della comunità islamica, spesso i governi europei arrivano a soluzioni creative che hanno dell’incredibile. “Le dipendenti non devono indossare una gonna o un vestito che arrivino sopra il ginocchio, e gli stivali al ginocchio sono inappropriati durante il lavoro al banco”. Questa la circolare interna giunta al personale degli uffici comunali di Nieuw West, 133 mila abitanti, uno dei più grandi fra gli otto distretti di Amsterdam, nonché uno dei più popolati da immigrati di fede musulmana. L’Olanda ha persino approvate blocchi di “case halal”, abitazioni islamicamente corrette. Sorgono nei quartieri Bos e Lommer ad Amsterdam, tranquilli caseggiati di periferia per giovani coppie sposate. Ma all’interno, il municipio le ha concepite per coppie musulmane religiose. Le sale da pranzo e le cucine, per esempio, sono divise fra la stanza degli uomini e quella delle donne, in modo da non generare “promiscuità sessuale”. Anche la Svezia sta portando alle estreme conseguenze il multiculturalismo. Due esempi su tutti. Alla Adolfsberg School di Örebro, a qualche chilometro da Stoccolma, si è pensato di tentare con le classi separate fra maschi e femmine. L’Eriksdalsbladet di Stoccolma, il più grande centro acquatico della Svezia noto come “l’arena nazionale del nuoto”, ha deciso di separare le donne da una parte e gli uomini dall’altra. Non era mai avvenuto prima. In Danimarca, invece, una scuola di Aarhus ha separato gli studenti sulla base del profilo etnico per evitare una “classe multiculturale”.

   

In Europa, il multiculturalismo porta sempre di più alla nascita di énclave vere e proprie, spesso ai margini delle grandi capitali. La più famosa è Molenbeek, a Bruxelles. Il giornale Bild e il magazine Focus, tra gli altri, hanno identificato in Germania più di quaranta “aree problematiche” (Problemviertel). Si tratta di aree con grandi concentrazioni di migranti, elevati livelli di disoccupazione e dipendenza cronica dal welfare, abbinati al decadimento urbano, incubatori di anarchia e islamismo. La Bild descrive queste aree come “ghetti in espansione, società parallele e aree senza uscita”. Ci sono aree simili nelle grandi città inglesi come Birmingham, Bradford, Derby, Dewsbury, Leeds, Leicester, Liverpool, Luton, Manchester, Sheffield, Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della capitale. In Francia sono chiamate “Zones urbaines sensibles”. Secondo il ministero dell’Interno francese ce ne sono 751 e ci vivono cinque milioni di musulmani. Come Sevran, 50 mila abitanti e 73 nazionalità diverse. In un video trasmesso di recente dall’emittente televisiva France 2, si vede come le donne sono letteralmente sparite dai caffè e dai bar di alcuni quartieri periferici musulmani della Francia. Il filmato mostra Nadia Remadna e Aziza Sayah, attiviste del gruppo “La Brigade des Mères” (La Brigata delle Madri), che entrano in un caffè del sobborgo parigino di Sevran, dove sono accolte con sorpresa e ostilità dai clienti esclusivamente uomini. E uno di questi dice loro: “E’ meglio aspettare fuori. Ci sono uomini qui dentro (…) In questo bar, non c’è eterogeneità”. Un altro avventore si rivolge alle due donne dicendo: “In questo caffè non c’è promiscuità. Siamo a Sevran e non a Parigi. Qui c’è un’altra mentalità. E’ come tornare a casa”. Il distretto di Kolenkit, ad Amsterdam, è considerato il “problema numero uno”. Poi, a Rotterdam, ci sono i quartieri di Pendrecht, Het Oude Noorden e Bloemhof. Utrecht svetta con la zona di Ondiep. In Svezia c’è il caso di Rosengaard, un progetto di case popolari alla periferia di Malmö pensato negli anni Sessanta per gli immigrati.

    

Il multiculturalismo ha facilitato la proliferazione di scuole islamiche estremiste nel cuore dell’Europa (a Milano ci fu il caso della scuola di via Quaranta). A Lilla sorge il Lycée Averroès, al secondo piano di un edificio dall’aspetto fiammingo che ospita la Lega islamica del nord, sopra alla moschea al Iman e alla libreria musulmana. E’ la prima scuola superiore privata musulmana in Francia. Nata nel 1994, quando a Lilla un gruppo di studentesse furono espulse dal liceo Faidherbe dopo che si erano rifiutate di togliersi il velo in classe, la scuola venne scossa dalle dimissioni di uno dei suoi insegnanti, Sofiane Zitouni, che l’aveva fatto scrivendo un editoriale durissimo sul quotidiano Libération. Zitouni accusava la sua scuola di essere infarcita di “antisemitismo, settarismo e islamismo”. Zitouni aveva definito la scuola “territorio islamico finanziato dallo stato”.
La King Fahd Academy di Londra, con i suoi 520 allievi e una retta annuale di 1.500 sterline, è la più prestigiosa accademia islamica del Regno Unito. Vi si usavano manuali in cui gli ebrei vengono definiti “figli di maiali e scimmie”. Lo si è scoperto grazie a Colin Cook, insegnante musulmano della King Fahd che ha accusato i sauditi di fomentare la violenza contro i “cristiani maiali”. Il professore è stato licenziato dopo aver protestato per il tipo di lezioni impartite agli studenti. Un dirigente della scuola gli aveva risposto: “Questa non è l’Inghilterra, è l’Arabia Saudita”. Due anni fa la polizia inglese ha lanciato l’operazione “Cavallo di Troia” a Birmingham, volta a sventare un complotto per islamizzare le scuole pubbliche promuovendo il salafismo radicale attraverso la nomina dei dirigenti scolastici, l’assunzione degli insegnanti con legami estremisti o l’imposizione di rigidi valori islamici. Una King Fahd Academy ha dovuto chiudere l’anno scorso in Germania sempre per sospetto di indottrinamento islamista. La prima scuola secondaria islamica in Belgio ha aperto a Schaarbeek (Bruxelles). Come spiega il quotidiano francofono La Libre Belgique, la scuole accoglie 660 allievi e porta il nome di “La Vertu” (la virtù). Un professore dell’Università di Vienna, Edna Aslan, in uno studio di trenta pagine commissionato dal ministero dell’Interno rivela anche l’esistenza di 150 asili islamisti nella capitale austriaca. Diecimila bambini educati all’odio dei “kuffar”, gli infedeli, da parte di gruppi di salafiti, Fratelli musulmani e altri islamisti.

    

A finanziare il multiculturalismo, con le moschee, con le università, con i progetti sociali nelle banlieue, sono i grandi poli mondiali dell’islam politico, il wahabismo con l’Arabia Saudita e il Qatar a nome della Fratellanza musulmana. C’è Doha, ad esempio, dietro al Tawhid Cultural Centre di Tariq Ramadan a Saint-Denis, nel cuore della banlieue parigina. L’Arabia Saudita ha promesso alla Germania di costruire una moschea per ogni cento migranti in cambio di aiuti economici. Khalid Masood, l’attentatore di Westminster, a marzo, aveva compiuto tre viaggi in Arabia Saudita. Scrive il World Affairs Journal che “i migranti musulmani europei marginalizzati e i loro discendenti, come i fratelli Kouachi, sono diventati i bersagli favoriti dei radicalizzatori wahabiti, come documentato in un’ampia relazione dell’Istituto Montaigne, un think tank francese”. Così un terzo dei musulmani francesi rigettano oggi la laicità in favore della sharia. Percentuali simili si trovano in quasi tutti gli altri paesi europei.

    

Nel multiculturalismo, a guadagnarci sono gli estremisti, i salafiti, e sono in uscita i dissidenti, gli autentici riformatori liberali dell’islam. Come Ayaan Hirsi Ali, esule in America; come Sooreh Hera, olandese-iraniana che si è autocensurata; come la turca Seyran Ates, avvocato, pestata per il suo lavoro con le donne. Il multiculturalismo, serrando i ranghi attorno alle differenze e alle minoranze, ha rinverdito i fasti del delitto d’opinione, consentendo a gruppi militanti in lotta contro l’“islamofobia” di trascinare in tribunale decine di giornalisti e scrittori. “L’islamofobia è una parola inventata durante il caso di Salman Rushdie per chiudere ogni dibattito sull’islam e per impedire ogni critica”, ci dice ancora l’intellettuale francese Pascal Bruckner, che sei mesi fa è andato a processo (poi è stato assolto) con l’accusa proprio di “islamofobia”. “Se fai oggi una vignetta su Maometto, ti condanni a morte. Puoi farne sul Papa, ma non su Maometto. I terroristi hanno vinto! Il Canada ha appena approvato una mozione che impedisce la critica all’islam. Siamo di fronte a una nuova esegesi del Corano. Ironico. L’occidente è colpevole di tre mali: schiavitù, colonialismo e imperialismo. Ma ci siamo distanziati da quella storia, abbiamo fatto mea culpa, nei libri di scuola, al cinema, ovunque. Mi aspetto che l’islam faccia altrettanto per l’occupazione araba della Spagna e per l’occupazione ottomana dell’Europa orientale. Ma non sento alcun rimorso. Parliamo anche della schiavitù nel mondo arabo. Un grande poeta, Adonis, ha detto che l’Isis è la fine dell’islam. Ascoltiamo queste voci”.

   

Il multiculturalismo venne non a caso lanciato in un momento di affondamento demografico. “L’Europa è in preda a una grande crisi, non facciamo più figli, siamo come pronti a scomparire, e questo è un sintomo della stanchezza occidentale”, continua Bruckner. “La Germania ha accolto un milione di persone dal medio oriente, in Italia ne stanno arrivando a centinaia di migliaia. Ma questo funziona soltanto se non credi che esista la cultura occidentale”. Abbiamo consentito che i fanatici islamici si lanciassero alla conquista di milioni di musulmani europei. Poi gli stessi fanatici hanno usato i loro neofiti per continuare sull’occidente il lavoro che avevano avviato così bene all’interno dei loro stessi ghetti. “Ho sentimenti contrastanti sul futuro dell’Europa”, ci dice concludendo l’intervista Pascal Bruckner. “Da un lato ci sono queste reazioni sentimentali malate dopo ogni attentato, come in Svezia, con le candele e i fiori. Ma c’è anche la rabbia, che non è vendetta. Noi francesi in questo siamo messi meglio degli inglesi. A un giornalista del New York Times che attaccava la Francia, dopo che il mio paese ha bandito il burqa, ho fatto presente che lo aveva messo fuori legge anche il Marocco. E’ islamofobo pure il re del Marocco? Tutti i morti che abbiamo avuto in Europa spero ci facciano risvegliare sul nemico che abbiamo di fronte. E’ il nuovo fascismo”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.