Lo skyline dell’Aquila mostra una grandissima quantità di gru, da un po’ di tempo la ricostruzione del centro storico ha subìto un’accelerazione e attualmente la città è il più grande cantiere d’Europ

L'Aquila fenice

Luciano Capone
Dalle ceneri del terremoto alla ricostruzione d’oggi, passando per le inevitabili polemiche. Perché un balcone che crolla fa più rumore di una città che rinasce. Ma ancora per poco.

La leggenda vuole che la città sia stata fondata da 99 castelli, con 99 chiese e piazze, e per questo ha le 99 cannelle e la Torre civica suona 99 tocchi. Oggi è la città delle 99 gru, che volteggiano sui tetti del centro storico in una frenetica attività di ricostruzione in quello che è il più grande laboratorio edile d’Europa: circa 500 cantieri nel 2015, di cui 200 solo nel centro storico, in mezzo a strade strette, dov’è difficile montare impalcature e installare silos e gru. Camminando per le vie del centro si sente il rumore incessante di trapani, martelli a percussione, scavatori, ruspe, si vedono brulicare centinaia di caschetti gialli, si mastica la polvere – che stavolta è quella della riedificazione – si respira il fresco degli intonaci dei palazzi appena restaurati e prende forma il volto di una città sfregiata che forse sarà più bella di prima.

 

Passando un po’ di tempo all’Aquila ci si rende conto che il racconto del sisma del 2009 che ha distrutto una città intera e fatto oltre 300 vittime è stato ingeneroso. Tantissima attenzione nel sollevare i problemi riguardanti i costi eccessivi nella fase emergenziale, i guasti, gli scandali e i casi di vera o presunta corruzione e altrettanta distrazione nel sottolineare quanto si stesse facendo di buono nella ricostruzione dopo una catastrofe epocale. Ancora pochi mesi fa era sui giornali nazionali, con gran risalto, il crollo del balcone di un appartamento del progetto C.a.s.e., il tanto elogiato e allo stesso tempo criticato piano del governo Berlusconi che ha dato in pochi mesi 4.500 case a 15 mila famiglie destinate a tendopoli e baraccopoli, ma a costi giudicati eccessivi e con una serie di problemi come infiltrazioni e il cedimento di alcuni balconi. Non ha fatto altrettanto rumore e non ha suscitato lo stesso interesse una grande e difficile opera di ricostruzione e restauro che procede in maniera abbastanza spedita e che nelle previsioni verrà conclusa entro il 2020, in una decina d’anni dal sisma.

 

“Il nostro terremoto è stato raccontato nello schema pro Berlusconi e contro Berlusconi”, dice al Foglio Massimo Cialente, il sindaco  del sisma e della ricostruzione che si avvia verso la fine del suo secondo mandato. “Per Bruno Vespa, Canale 5 e il Giornale, tutto andava benissimo, per i giornali della sinistra invece tutto andava malissimo, fino alla Guzzanti che raccontò cose non vere. E in mezzo c’eravamo noi a giocare un derby che non ci riguardava, in cui non si vedeva la partita ma il colore delle maglie. Poi con la perdita di centralità politica di Berlusconi c’è stato meno interesse sull’Aquila, tranne quando se ne doveva parlare male”.

 

Cialente ha una lunga storia politica che parte dal Pci e continua nella sinistra post-comunista, ma in questa vicenda ha avuto rapporti di collaborazione e scontri feroci con tutti i governi, indipendentemente dal colore della divisa: “E’ stata una guerra, ho fatto il pazzo con quattro governi, ho preso botte, qualche volta ho dovuto dare il cu..., ma sempre pensando a un obiettivo: ricostruire la città e tenere qui gli aquilani. Nel 2010 gli sfollati erano 57 mila, sparsi fino alla costa, oggi sono circa 3 mila nuclei familiari, la periferia è ricostruita al 96 per cento, il centro storico dopo che mi hanno bloccato è ripartito da tre anni, ora ci sono 70 mila abitanti, ne abbiamo persi solo 1.500, l’università si è ripresa. Ho vinto la battaglia”. Il sindaco ha rappresentato la continuità in un contesto in cui tutte le istituzioni sono cambiate e non hanno dato certezze alla città, “Vado molto d’accordo con Berlusconi nonostante le discussioni e con Gianni Letta, sono pochi i politici che ci hanno aiutato: Bersani, Franceschini, Barca, Legnini. E Renzi ci ha dato i soldi che il governo Letta aveva bloccato. In questi casi non conta il colore politico ma le palle e la sincerità delle persone”, dice.

 

Ma sono tanti gli attori che hanno dato il loro contributo in questa battaglia. Un punto di svolta è stata l’istituzione dell’Ufficio speciale per la ricostruzione dell’Aquila (Usra), voluto da Fabrizio Barca, quando era ministro per la Coesione territoriale del governo Monti. L’Usra esamina le richieste di contributi e in poco tempo ha permesso un’accelerazione nell’istruzione e attuazione dei progetti. Dopo il sisma le case da ricostruire erano 56 mila per circa 55 mila abitanti, oggi il 75 per cento è tornato a casa e rimangono in assistenza circa 11 mila persone. Dal 2009 sono state istruite 27 mila pratiche per un valore di 4,3 miliardi, con un risparmio di circa il 10 per cento rispetto ai preventivi. Solo nella ricostruzione privata sono stati chiusi 21 mila cantieri e ne restano aperti 1.900. “Gli anni problematici derivano da un evento mai verificato, dall’unicità di un sisma che ha colpito un grande centro storico e ha bloccato una città intera”, dice al Foglio Raniero Fabrizi, capo dell’Usra. “Bisogna considerare che la ricostruzione del Friuli, ritenuta il migliore esempio, anche se molto diversa da quella dell’Aquila, è durata circa dieci anni ed è un obiettivo raggiungibile, visto che puntiamo a completare i lavori nel 2020”. 

 

L’innovazione che ha sbloccato la ricostruzione privata è il passaggio procedurale dalle singole unità agli aggregati introdotto dagli uffici speciali, che prevede una cooperazione da parte dei proprietari nell’affidamento dei progetti, eliminando così gran parte dei contenziosi. Inoltre non sembra, a parte qualche caso al vaglio della magistratura, che ci sia quel gran giro di tangenti che in tanti supponevano, al punto che secondo i dati dell’Usra le nuove procedure hanno permesso un risparmio del 23 per cento (circa 230 milioni) sui nuovi contributi concessi. “Non ci sono eccessivi problemi di corruzione, almeno questo è ciò che si vede – dice Fabrizi – ma se l’Anac di Raffaele Cantone buttasse un occhio non sarebbe male, il solo effetto di dissuasione sarebbe importante”. Anche in assenza di Super Cantone l’Usra funziona bene, la sua squadra di giovani, le procedure e le competenze elaborate sul campo sono un patrimonio che può essere utile per affrontare le future emergenze e la manutenzione di un territorio fragile come quello italiano, senza ogni volta dover partire da zero.

 

Passeggiando per le strade della città, in mezzo ai calcinacci e agli operai, Cialente rivendica con orgoglio i risultati di una ricostruzione che ha avuto cattiva stampa: “Mi sono fatto la nominata del sindaco che si dimette più volte, si è parlato di denunce e fango sul mio conto, mi hanno crocifisso per indagini sul mio vicesindaco, hanno messo in mezzo la mia famiglia con il ministro Trigilia che mi attaccava per mandarmi via”, dice Cialente aspirando la sua sigaretta elettronica che ha sostituito le 45 sigarette quotidiane dei periodi di maggior tensione, “ma qui abbiamo fatto meglio del Friuli, il mio desiderio prima di lasciare il comune è di essere esaminato. Chiedo una commissione d’indagine sul terremoto e una comparazione con gli altri, per vedere come si è speso e quanto per unità di persona. Per sapere quanti processi ci sono e per quali cifre, quante denunce vengono da avversari politici… Noi oggi portiamo dei risultati a cui non credeva nessuno e una commissione sarebbe utile per capire luci e ombre di tutte le esperienze e imparare cosa è giusto fare in queste emergenze”.

 


La Fontana delle 99 cannelle, monumento simbolo dell’Aquila, restaurata dopo il sisma del 2009


 

Naturalmente i problemi non mancano, nei corridoi del comune ci sono persone che si lamentano per i ritardi e le complicazioni burocratiche, gli uffici speciali devono coordinarsi con il comune e la soprintendenza dei beni culturali. Anche i muratori e gli operai non sono entusiasti di dover smontare e numerare ogni singola pietra o finestra marcia dei palazzi sottoposti a vincolo e aspettare il vaglio della sovrintendenza, ma sono le forse necessarie complicazioni per rimettere a posto un centro storico dal valore inestimabile. Attualmente circa il 75 per cento del patrimonio artistico-culturale è in fase avanzata di recupero, inclusi gli aggregati del centro sottoposti a vincolo, e attorno alla ricostruzione e in particolare al restauro le imprese stanno costruendo un importante know-how. Durante i recenti incontri di “Officina l’Aquila” sono state presentate le più interessanti opere di restauro, recupero architettonico e riqualificazione urbana, in una città che è un grande laboratorio a cielo aperto in cui si stanno sviluppando esperienze e conoscenze che potranno essere utilizzate a livello internazionale.

 

Oltre alla polvere, all’Aquila si respirano cambiamento e ottimismo che iniziano ad attirare osservatori esterni. Così può capitare di veder passeggiare per le strade del centro, con la testa per aria a scrutare le impalcature, un regista come Marco Risi che è in città per la preparazione di un film per la televisione pubblica sulla ricostruzione e che guarda ammirato i risultati delle facciate dei primi palazzi storici restaurati. Ciò che invece è al palo è la ricostruzione pubblica, a causa di un meccanismo che moltiplica il contenzioso, per l’ingorgo burocratico che si forma tra bandi di gara, appalti e ricorsi, con il rischio concreto che si vada verso una ricostruzione a due velocità, con le strutture pubbliche ancora imbracate e puntellate quando la parte privata sarà pronta per tornare a una nuova normalità.

 

Il vero simbolo della resilienza dell’Aquila è però l’università, un pilastro dell’identità e dell’economia della città: “Il 7 aprile non avevamo nulla del patrimonio logistico, avevamo perso 55 studenti, una cosa dolorosissima e una cicatrice che ci segna ancora adesso. Ma siamo ripartiti subito”, dice al Foglio Paola Inverardi, rettrice dell’Università dell’Aquila. Dopo l’emozione, la solidarietà, gli esami nelle tende e i corsi nelle sedi distaccate, il timore che l’università perdesse studenti e la città un pezzo della sua anima e della sua economia era forte. Per questo sono state adottate misure d’emergenza per frenare l’emorragia di iscritti, ad esempio eliminando le tasse universitarie, destinando soldi per gli affitti degli studenti e garantendo un flusso costante di finanziamenti all’ateneo. “Sono state misure utilissime – spiega la Inverardi – ma forse sono durate troppo a lungo. Abbiamo avuto una domanda drogata raggiungendo i 26 mila iscritti nel 2013, quando prima del sisma non arrivavano a 24 mila e mentre l’università italiana ha subìto un calo del 20 per cento delle iscrizioni. Lo scorso anno si pagava una sola rata e quest’anno accademico è il primo in cui si pagano tutte le tasse e nonostante qualche timore abbiamo subìto un calo di iscrizioni preventivato.

 

La città ha reagito in modo isterico guardando i numeri, ma poi ha compreso che un iscritto non è un vero studente, per l’economia della città non conta se non vive l’università. Con questa transizione si sta riducendo l’età media, ci stiamo normalizzando e ora abbiamo circa 19 mila e 500 iscritti, un numero più ampio rispetto alla media delle università della nostra dimensione”. La rettrice spiega che l’obiettivo principale dell’università era mantenere gli studenti, un po’ come per il sindaco era trattenere gli abitanti della città: “Le università sono soggetti a capitale umano: se lo preservi, la capacità produttiva e di ricerca rimane inalterata, al di là del calo dovuto al deficit di strutture e laboratori che però viene poi recuperato”. Anche Inverardi ritiene che la ricostruzione sia stata abbastanza efficiente e controllata, con casi residuali di corruzione: “C’è stato un racconto ingiusto – dice – chi aveva una visione lucida e onesta sapeva dall’inizio che la ricostruzione sarebbe durata vent’anni, perché non c’era niente. Possiamo criticare tutto, l’emergenza, le casette, la chiusura del centro, ma è facile giudicare col senno di poi. Probabilmente non è passata la vera dimensione del disastro e non ci si è resi conto che la ricostruzione è partita dalle periferie perché lì abitava il maggior numero di persone”.

 

Ed è più o meno la stessa riflessione di Cialente: “L’unica colpa che ho è quella di non aver fatto pesare abbastanza al paese la vera tragedia dell’Aquila. Negli altri drammatici terremoti sono state colpite piccole comunità, ma il cervello è rimasto intatto. Napoli, Avellino Udine, Bologna sono rimaste in piedi, qui è cascato il capoluogo. Se altrove sono stati colpiti gli arti, qui è stato un ictus”, spiega il sindaco che nella sua vita precedente faceva il medico. Sono passati sette anni dal sisma, forse si poteva fare di più e meglio, ma molto è stato fatto. Soprattutto se si considera che in una ricostruzione non bisogna guardare solo alla quantità di fondi erogati e di edifici rimessi a posto, ma anche alla qualità della spesa. E all’Aquila ci sono dei progetti di grande innovazione. Uno è il progetto Incipit dell’università, che prevede la costruzione di una Man (Metropolitan area network) attraverso un anello in fibra ottica ad alta capacità che collega i principali siti e istituti della città per sperimentare e fornire servizi avanzati.

 

Un altro progetto, che non ha termini di paragone al mondo, almeno per una città storica, è la costruzione dello “Smart tunnel”, un’infrastruttura che non si sarebbe potuta realizzare senza la catastrofe che ha distrutto e paralizzato la città. Si tratta di una galleria sotterranea lunga circa 17 chilometri, all’interno della quale passeranno i principali servizi, dall’acqua agli scarichi fognari, dalla luce alla fibra ottica, tutti già predisposti per il collegamento a ogni edificio. Il tunnel è di circa due metri per uno e mezzo, permette il passaggio dei tecnici e quindi di intervenire per riparazioni, manutenzione o per posare nuove infrastrutture di rete senza dover bloccare le strade e toccare la pavimentazione. “E’ un’opera unica, per di più in una città medievale, che guarda ai prossimi trent’anni. Qui passeranno tutte le funzioni vitali di una città, le arterie, i vasi linfatici, i fasci nervosi, su cui sarà facile intervenire”, spiega Cialente con un vocabolario preso dalla sua formazione medica.

 

Infrastrutture innovative come lo Smart tunnel si inseriscono in un ambiente in cui fioriscono eccellenze nel campo della ricerca come il Gran Sasso Science Institute (Gssi), una scuola di dottorato internazionale, da poco nominata “università speciale” dal governo. Eugenio Coccia, direttore del Gssi, all’epoca del sisma era direttore dei laboratori del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e racconta com’è nata l’idea di creare il Gssi: “Dopo il terremoto abbiamo ospitato nei laboratori del Gran Sasso le lezioni di fisica e con la Inverardi ci è venuta l’idea di fare qualcosa per l’Aquila, mettere a sistema le migliori risorse dei laboratori e dei dipartimenti per costruire un polo d’eccellenza in quella che è una città della conoscenza”, dice il prof. Coccia al Foglio nel suo studio nel palazzo dell’ex Gioventù italiana del littorio, ora sede del Gssi. “In una riunione del luglio del 2009 con il Mef e l’Ocse è stata accettata la nostra idea di una scuola sperimentale di alta specializzazione, che è stata istituita qualche anno dopo da Barca con una legge che garantiva fondi per tre anni. Dopo il triennio ci sarebbe stata una stabilizzazione solo dopo la valutazione dell’Anvur sulla base dei risultati”.

 

La scuola nasce sul modello di eccellenze come la Normale di Pisa o la Sissa di Trieste, parte con una struttura snella che si appoggia sull’Infn per la parte amministrativa e con contratti a tempo determinato per docenti di primo piano come il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia e lo stesso Coccia. Al Gssi già il primo anno arrivano oltre 500 domande di giovani dalle migliori università del mondo per 40 posti in quattro aree di ricerca: fisica astroparticellare, matematica, informatica e urban studies. Qui si lavora sulla frontiera della ricerca e si è costruito un tassello della “scoperta del secolo”: le onde gravitazionali. Tra i circa mille scienziati di tutto il mondo che hanno partecipato alla ricerca collettiva che ha dimostrato l’esistenza delle onde ipotizzate cento anni fa da Albert Einstein, ci sono otto ricercatori del Gssi, tra cui lo stesso Coccia e altri sette giovani italiani, pakistani, indiani e cinesi. “Per me che ho passato 35 anni della mia vita in queste ricerche è stato un momento indimenticabile”, dice Coccia, spiegando con una battuta ai profani cosa significhi una scoperta del genere, “se da Galileo in poi abbiamo iniziato a vedere l’universo, oggi abbiamo acquisito la capacità di ascoltarlo, perché possiamo percepire le vibrazioni dello spaziotempo”.

 

Dopo i primi tre anni di prova e di risultati eccellenti, per il Gssi è arrivata la valutazione dell’Anvur: “All’inizio probabilmente c’era qualche perplessità, anche per la tendenza a non aprire nuove università, ma dopo aver visto la nostra attività didattica e scientifica il giudizio dell’Anvur è stato positivo. Le lezioni da noi sono tutte in inglese, siamo forse l’unica università aperta 24 ore su 24 e i nostri ricercatori hanno vinto premi e finanziamenti internazionali”, dice Coccia. E così si è proceduto alla legge di stabilizzazione che a partire da quest’anno trasforma il Gran Sasso Science Institute in un’università speciale. La città da un lato sta cercando di ripristinare il patrimonio storico e l’identità cultuale, dall’altro sta tentando di cambiare pelle e trasformare la sua struttura economica. Quando il terremoto scuote la città, l’Aquila viveva già una crisi figlia della fine del modello economico delle partecipazioni statali: con la chiusura dell’Italtel e con essa di quello che era il polo elettronico, l’economia era diventata sonnacchiosa, basata sul pubblico impiego, alcune fabbriche e una rendita sviluppata attorno all’università.

 

Ora, anche grazie alla norma che prevede la destinazione del 4 per cento dei fondi per la ricostruzione a interventi a favore delle attività produttive, si iniziano a vedere scommesse in settori innovativi e ad alta specializzazione. Un esempio è l’investimento da 46 milioni di euro, nato da un accordo tra Invitalia e Accord Phoenix (10 milioni pubblici e 36 privati) per realizzare un nuovo stabilimento per lo smaltimento e il recupero di rifiuti elettronici. Ma un caso più rilevante è quello che riguarda il polo chimico-farmaceutico – storicamente presente all’Aquila con multinazionali come Dompé, Sanofi Aventis e Menarini – che si sono riunite in Capitank, un consorzio che riunisce grandi aziende, pmi e mondo della ricerca per creare una Pharma Valley: “Il polo raggruppa 56 organizzazioni tra grandi aziende, piccole e medie imprese, università e istituti di ricerca per creare un indotto nel settore chimico-farmaceutico”, dice al Foglio Ercole Cauti, direttore di Capitank. “L’obiettivo è costruire un polo d’innovazione, attrarre investitori e far lavorare insieme impresa e ricerca per creare sviluppo e innovazione. In questi anni abbiamo realizzato attività e progetti per 120 milioni e il grosso è proprio all’Aquila con 80 milioni di investimento in contratti di sviluppo e ricerca da parte di Dompé e Sanofi Aventis”.

 

Naturalmente non sono tutte rose e fiori, spesso i finanziamenti si perdono in tanti rivoli e in obiettivi non sempre utili, tanto che in un monitoraggio della presidenza del Consiglio è stato evidenziato come molti interventi per lo sviluppo non hanno “collegamento, coerenza e convergenza verso una comune strategia”. Inoltre la ricostruzione della città non finirà con il ripristino degli edifici privati e, chissà quando, di quelli pubblici, perché c’è da intrecciare un tessuto sociale che è stato spazzato via dal terremoto, c’è una nuova generazione che è cresciuta con la ricostruzione e non conosce la vita “normale” della città presisma. Il timore di molti è che una volta rimessa a nuovo la città verrà la parte più difficile, far ritornare le persone a vivere nel centro storico, far aprire le attività commerciali e ricreare una vita sociale che in questi anni si è spostata in altri luoghi della città. Qualche attività è nata per merito di imprenditori pionieri che hanno aperto locali nel cantiere del centro storico e nel fine settimana, la sera, si vedono migliaia di giovani per strada e nelle piazze fuori dai locali.

 

Ma gli altri giorni il centro è semivuoto e tanti aquilani non credono che sarà facile farlo rivivere. Cialente invece ne è certo: “Sarà una città bellissima, tra le prime 50 d’Europa, faranno la corsa per venire qui, avremo un centro storico fantastico, con lo smart tunnel saremo all’avanguardia, l’Aquila sarà la prima città con le scuole pubbliche con insegnanti madrelingua inglese a partire dalla materna, crescerà il turismo che adesso quasi non esiste e arriveranno industrie grazie ai progetti per il rilancio economico, si spera anche con l’arrivo di una nuova classe imprenditoriale da fuori”. Un vecchio detto dice che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce e dall’Aquila fa più rumore un balcone che crolla di una città che rinasce. Ma ancora per poco.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali