Tensione tra ebrei osservanti e palestinesi nelle strade di Gerusalemme (foto LaPresse)

2022, addio Israele

Giulio Meotti
Mancano sette anni alla distruzione dello stato ebraico. Non è un fantaromanzo, è l’ossessione apocalittica che unisce Isis e Iran. Lo Stato islamico ha appena pubblicato un libretto in cui spiega che “nel 2022 avranno fine i quarant’anni di pace di Israele”.

Di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il premier israeliano Benjamin Netanyahu la scorsa settimana non ha soltanto fissato negli occhi per quaranta secondi i rappresentanti degli altri paesi, mentre li accusava di essere rimasti in silenzio di fronte alla promessa iraniana di distruggere Israele. Netanyahu ha anche tirato fuori un libro in farsi, la lingua iraniana. L’autore è la Guida suprema Ali Khamenei: “Quattrocento pagine che illustrano in dettaglio il suo piano per distruggere lo stato di Israele”, ha detto Netanyahu. “Ha promesso, cito testualmente, che ‘entro 25 anni non ci sarà più nessun Israele’”. Khamenei iniziò a predicare la fine dello stato ebraico nel 1991, quando disse che “la questione palestinese è come un osso rimasto di traverso nella gola degli oppressori e non sarà risolta se non con l’eliminazione di Israele”. Il minuscolo stato israelitico da allora è al centro della sua guerra messianica, metafisica, che ne fa una preda prelibata per ogni disegno di conquista.

 

C’è una data che ricorre in maniera ossessiva nei proclami e nei discorsi dei leader del mondo arabo-islamico: il 2022. E’ l’anno della fine di Israele. “Entro il 2022, forse anche prima, Israele sarà distrutto”, ha appena declamato Hassan Rahimpour Azghadi del Consiglio supremo iraniano per la rivoluzione, il braccio destro di Khamenei. E’ come quando si guarda un vulcano che fuma e ancora non si sa che cosa succederà. Se e quando erutterà. E’ questo che accade quando posi lo sguardo sullo stato di Israele. Nel libro di Khamenei, di cui è stata appena pubblicata un’edizione in inglese, Israele viene definito “un albero malefico”, un “tumore di corruzione”, un “cancro”. Poi ci sono le previsioni sul fatto che l’entità sionista non supererà i quindici anni di vita.

 

Un anno fa il ministro dell’Interno di Hamas, Fathi Hamad, dichiarò che i palestinesi avrebbero liberato tutta la Palestina “entro otto anni”. Dunque nel 2022. Hamad ha fatto riferimento a “Hittin”, la cittadina in Galilea dove le forze islamiche del Saladino sconfissero i cavalieri crociati di Guido di Lusignano. Il movimento islamico palestinese ricorda tutti gli anni presso Tiberiade la storica vittoria del Saladino nei “Corni di Hittin”, quando il 4 luglio 1187 i suoi fiday (volontari della Guerra santa) letteralmente bruciarono il terreno sotto i cavalieri cristiani, già assetati ed esausti per una lunga marcia sotto il torrido sole estivo. I Crociati governarono senza sosta Gerusalemme, per 88 anni. Con la truce profezia del 2022, e partendo dalla sua fondazione nel 1948, Israele non supererebbe i 74.

 

Un libretto distribuito in tutto il mondo arabo e pubblicato in Siria porta il titolo “I nuovi Crociati in Palestina”. Recita così: “Se la storia si ripete non dobbiamo temere, avendo espulso l’occidente nei tempi antichi, gli arabi non avranno difficoltà a espellere questo assortimento di stranieri oggi”. E ancora quella data, il 2022.

 

Lo scorso maggio, in un’intervista sul canale libanese Nbn Tv, lo ha detto anche l’imam della moschea di al Quds a Sidone, Maher Hamoud: secondo i calcoli basati sul Corano, “la fine di Israele sarà nel 2022”. Della stessa opinione era lo sceicco Ahmed Yassin, il fondatore di Hamas, che al massimo aggiungeva cinque anni di vita allo stato ebraico, collocandone la fine nel 2027, quarant’anni dopo la prima Intifada. Il giornalista Huda al Husseini ha scritto che “da un incontro con i leader di Hamas sono stato sorpreso di scoprire che la maggior parte dei suoi membri sostiene che nel 2022 sarà fondato uno stato islamico in Palestina”. Un altro libro iraniano, pubblicato qualche mese fa, basandosi su scienze occulte, interpretazione del Corano e calcoli matematici, prevede che Israele sarà distrutto, sempre nel 2022.

 

Di recente anche lo Stato islamico ha pubblicato un libro di duecento pagine, in cui si afferma che “l’inizio della fine di Israele avverrà nel 2022”, due anni dopo la presa di Roma, il simbolo della cristianità. “Nel 2022 avranno fine i quarant’anni di pace e sicurezza di Israele, e contro di esso inizieranno le grandi guerre”. Il testo chiave di questa allucinazione islamica, dal titolo “Il crollo dell’impero israeliano nel 2022”, è stato scritto da un religioso palestinese, Bassam Nihad Jarrar, e spiega che Israele rappresenta “l’apice della corruzione e della barbarie”. Calcoli numerologici portano gli studiosi islamici a prevedere che Israele governerà per settantasei anni islamici (lunari), che equivalgono a settantaquattro anni solari. Dividono questo periodo in quattro quarti da diciannove ciascuno: il primo, fino alla Guerra dei sei giorni (diciannove anni dopo la fondazione dello stato) ha visto l’ascesa di Israele, conclusasi nel 1986, quando è iniziata l’ascesa musulmana che culminerà nella distruzione di Israele nel 2022. Il libro di Jarrar, pubblicato in arabo nel 1990, è stato ripreso da un editore di Londra, tradotto in inglese e ampiamente distribuito in Malesia nei primi anni Duemila. Da allora è un bestseller nel mondo arabo-islamico. Una data, quella del 2022, diventata quasi leggenda. Un giornalista siriano intervistato dalla televisione dell’Autorità palestinese ha affermato di essere venuto a conoscenza di un rapporto della Cia che aveva informato l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton che Israele non sarebbe esistito dopo il 2022. “Quello che sto per dire nessuno lo ha mai sentito, si tratta di una relazione presentata dalla Central Intelligence Agency all’allora presidente degli Stati Uniti Clinton. La Cia dice che ‘se le cose continuano così come sono, non pensiamo che Israele continuerà ad esistere dopo il 2022’”.

 

[**Video_box_2**]E’ questa la “dark obsession” del leader iraniano Khamenei in copertina sul settimanale Weekly Standard, con un articolo a firma di Ali Alfoneh e Reuel Marc Gerecht.

 

Si dice che l’ayatollah Khamenei abbia un appetito vorace per la trota e il caviale, che soffra di attacchi di depressione, che sia un un appassionato collezionista di pregiati bastoni da passeggio, che due dei suoi palazzi – Niavaran e Vakilabad – siano dotati di bunker nucleari in cemento in grado di sopportare un attacco nucleare. Ma Khamenei ha una passione quasi patologica verso Israele e gli ebrei. In gioventù divenne un devoto ammiratore di Sayyid Qutb, il teorico del jihad egiziano. E tuttavia le radici della sua antipatia per gli ebrei e Israele si trovano nella biografia della sua città natale, Mashhad. Nei salotti islamici che Khamenei frequentava al tempo, le correnti marxiste e nazionaliste che ritraggono Israele come strumento dell’imperialismo occidentale erano comuni; contemporaneamente, l’ayatollah Ruhollah Khomeini attaccava l’“influenza ebraica” nella corte reale Pahlevi. Nel maggio del 1963 il giovane Khamenei ricevette una lettera scritta a mano da Khomeini, da consegnare alle autorità religiose a Mashhad. Il messaggio diceva: “Preparatevi per la lotta contro il sionismo”. La principale fonte è una raccolta di citazioni nei discorsi di Khamenei dal 1979 al 2011. “Khamenei ha sempre evitato qualsiasi contatto personale con gli ebrei, trattandoli in pratica come se fossero intoccabili”, scrivono Gerecht e Alfoneh.

 

Nel marzo del 1973, Khamenei è un docente a Mashhad. Lì presenta la sua interpretazione di al Baqara (la mucca), la seconda e più lunga Sura del Corano, in cui il profeta Maometto discute il rapporto tra musulmani, ebrei e cristiani in un sistema politico musulmano. Khamenei attacca “l’opposizione degli ebrei al profeta”, “l’avidità degli ebrei” e “la magia nera dei rabbini”.

 

Il 5 Agosto 1980, Khamenei tiene uno dei suoi più famosi sermoni. “La nazione iraniana è l’avanguardia della lotta per la liberazione della Palestina… La rivoluzione iraniana ha raggiunto la vittoria entro i confini, ma fino a quando una piaga contagiosa, un tumore sporco chiamato Stato di Israele usurpa le terre arabe e islamiche, non possiamo sentire la vittoria e non possiamo tollerare la presenza del nemico nelle terre usurpate e occupate”. Khamenei aggiunge che “se ogni membro della grande comunità islamica di un miliardo di fedeli getta un secchio d’acqua contro Israele, Israele sarà annegato dal diluvio e sarà sepolto”.

 

L’appuntamento è fra sette anni a Gerusalemme. Per avere un assaggio di quello che la umma ha in mente per Israele, ad agosto Khamenei ha ordinato alle Guardie della rivoluzione di diffondere un video in cui si vedono soldati musulmani che guardano Gerusalemme e si preparano a conquistarla. La sequenza si apre con dei primi piani di quattro soldati dal volto coperto mentre si allacciano gli stivali e preparano le armi. Sulle divise sono visibili gli stemmi delle Guardie rivoluzionarie iraniane, di Hamas e di Hezbollah. L’inquadratura si allarga e mostra il gruppo di combattenti su una collina mentre scrutano Gerusalemme e la Moschea di al Aqsa in attesa dell’attacco. La clip porta il titolo “Preparazione alla completa distruzione di Israele da parte delle Guardie rivoluzionarie islamiche in Iran”.

 

Se si accosta l’orecchio a Israele come a una conchiglia di mare, si sente il rumore della solitudine. La sopravvivenza dello stato ebraico non è certa. Ma tutto per adesso indica il contrario. I cittadini israeliani vivono in media ottant’anni, quanto nella placida e pacificata Norvegia. Gli omicidi pro capite in Israele sono un terzo di quelli commessi negli Stati Uniti. La popolazione israeliana oggi è nove volte superiore a quella del 1948, l’anno della creazione dello stato e della guerra per l’indipendenza. Israele cresce annualmente più di qualunque paese industrializzato. E’ uno degli stati più ricchi, più liberi e meglio istruiti del mondo, dove la durata media della vita è più alta di quella della Germania e dell’Olanda, nazioni che hanno conosciuto l’ultimo conflitto settant’anni fa, mentre Israele è da settant’anni in guerra. La cosa più significativa è che gli israeliani sembrano amare la vita e detestare la morte più di qualsiasi altra popolazione del mondo.

 

Per il 2022, il mondo islamico sogna Israele come una nazione di case vuote e di tegole rovesciate. Ma, per adesso, le case di Israele sono piene di gioia e di bambini.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.