Così l'impeccabile brocardo di Ilaria D'Amico ci libera dall'eterno Davigo

Giuliano Ferrara

“Meglio un corrotto che lo stato rotto”, ha detto la giornalista. D'altra parte la corruzione è un fenomeno universale e in quanto tale bisogna conviverci. Esiste da sempre, esisterà sempre, basta leggere gli epigrammi di Marziale

La corruzione ci ha cambiati, in peggio. Non solo perché è un male, anche perché è percepita da oltre vent’anni come un male assoluto. Ilaria D’Amico è sfuggita alla regola. Come abbia fatto non so. Gli ebrei la chiamano chutzpah, faccia tosta in un senso metafisico, quella cosa per cui un imputato chiede la clemenza della corte per aver ucciso i genitori dicendo che è orfano. In prime time Ilaria ha rintuzzato il venditore di anticorruzione, di onestà, di purezza che risponde al nome di dottore Davigo, uno che ha coltivato questo contrabbando di bellurie con la sua iniziativa in magistratura, militante e poi sindacal-politico-televisiva, senza mai deflettere dal compito, e sempre tra gli applausi di un pubblico inebetito dal concetto dell’anticorruzione totale: escludere per gli italiani ogni altro orizzonte che non fosse la lotta alla corruzione, la sua red line, la grande diga. E’ un quarto di secolo circa che va avanti questo gioco. Poi è venuta Ilaria D’Amico e ha detto una cosa così sonora, così semplice, così vera che fa riflettere, anzi fa contorcere le viscere stesse del cervello, e invita a disfarsi seduta stante del davighismo, fratello gemello del dipietrismo. Ha detto: “Meglio un corrotto che uno stato rotto”.

  

 

E’ elementare. La corruzione è un fenomeno universale e in quanto tale bisogna conviverci. Esiste da sempre, esisterà sempre, basta leggere gli epigrammi di Marziale. E’ una nozione classica, con forti e dimenticate radici nella fede giudaico-cristiana, antico e nuovo Testamento. “Sradicare la corruzione” è un progetto borghese-giacobino che si ammanta di profetismo, e tutti i regimi totalitari ne hanno regolarmente fatto un totem. Poi la corruzione è un reato penale. Va perseguita e sanzionata come gli altri reati, nel quadro della responsabilità personale e attraverso un giusto processo costituzionale che escluda torture come la custodia preventiva cautelare in carcere. Va combattuta con le riforme della Pubblica amministrazione e altre riforme, che possono restringerne l’arco di inferenza nella vita pubblica, e con un severo controllo a partire dal consenso e dall’autogoverno democratico-liberale alle cui leggi sono sottoposte le classi dirigenti in regime di alternanza tra forze diverse alla guida del governo. Ma non si può per decenza fare di corruzione e anticorruzione la linea guida della vita in comune dei cittadini, appendere alla lotta alla corruzione una concezione delirante del diritto, mescolare il tema inestricabilmente alla lotta politica sulle questioni decisive, quelle sì, della vita nazionale, europea, mondiale. Se tutto è filtrato dalla lotta alla corruzione, si corrompe l’occhio che filtra e il risultato finale è che lo stato si rompe, le cose vanno di male in peggio, i corrotti alla fine la fanno franca e la corruzione ingombra la mente, lo spirito della vita pubblica con risultati barbarici.

 

“Meglio un corrotto che lo stato rotto” è l’equivalente etico del famoso brocardo giuridico garantista “meglio un colpevole in libertà che un innocente in carcere”. L’opinione pubblica dovrebbe essere liberata dal ricatto della dinamica perversa di corruzione e anticorruzione, che ha dato prova di non risolvere alcun problema, tanto meno la sanzione delle attività corruttive. E ci ha peggiorati facendoci pensare in modalità captiva, prigioniera, automatica, irriflessa. Si può essere e si è grondanti di indignazione da mane a sera contro la corruzione e al tempo stesso incapaci di sanare l’istruzione pubblica, regolare i mercati senza soffocarli, fare l’Europa, ridurre le diseguaglianze, incrementare il benessere e la responsabilità sociale, onorare la cultura e il tempo che ci è dato di vivere. E’ quello che succede, specie nel medio talk-show, con l’eccezione brillante, spontanea, intelligente, libera della bella Ilaria D’Amico. Detto come l’ha detto lei, il suo brocardo è impeccabile.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.