LaPresse / Roberto Monaldo

La gogna del padre

Luciano Capone

Gli orrori del processo mediatico a Mastella sono tutti nel dialogo tra il figlio Elio e l’ex iena Sortino

"Siamo qua. La mia famiglia non è questa. Io non sono il figlio del boss". Dopo l’assoluzione di Clemente Mastella e di sua moglie Sandra Lonardo e di tutti gli altri coimputati, più che riprendere le dichiarazioni dell’ex Guardasigilli o riflettere sui tempi lenti della giustizia – nove anni per un grado di giudizio sono veramente troppi, anche per gli standard italiani – è il caso di partire dalle parole del figlio, Elio Mastella, pronunciate all’epoca davanti alle telecamere. Perché mettono in mostra i problemi del processo mediatico, che procede in maniera indipendente rispetto a quello giudiziario, ed emette le sue sentenze per direttissima, cioè in tempi brevi e in diretta tv, senza possibilità di difesa. In quel caso, e per puro caso, il figlio più giovane della famiglia Mastella, destinato a passare sotto le forche caudine dei giornalisti, riuscì a difendersi e a reagire alla gogna.

   

Erano i giorni delle dimissioni del ministro della Giustizia, degli arresti domiciliari di sua moglie, la presidente del Consiglio regionale della Campania, i giorni del terremoto politico che ha poi travolto il traballante governo di Romano Prodi. Ceppaloni era diventata il centro del mondo, la “reggia” della famiglia Mastella veniva descritta come la villa di Scarface, con questa piscina a forma di conchiglia che in ogni racconto diventava sempre più grande. D’altronde gli atti dell’inchiesta descrivevano l’Udeur, il partito a conduzione famigliare del ministro della Giustizia, come un’associazione a delinquere: il “clan” Mastella.

   

Tutti i fari sono puntati su Ceppaloni, in particolare sulla villa del “boss”, dove è agli arresti donna Sandra, assediata dai giornalisti in attesa di una dichiarazione di Mastella, da cui dipendevano le sorti del governo. Dal viale di casa scende il figlio Elio, davanti a lui, tra i tanti giornalisti con telecamere, microfoni e taccuini in mano, c’è Alessandro Sortino delle “Iene”, che si è presentato con le arance per la madre Sandra, detenuta ai domiciliari. “Io prendo 1.800 euro al mese – dice il figlio di Mastella, all’intervistatore che fa domande sul suo lavoro – ho un contratto da metalmeccanico settimo livello, sono un ingegnere laureato con 110 e lode. Se sono il figlio del boss ditemelo”. E ancora: “Mia madre sta agli arresti domiciliari per non aver fatto nulla. Per aver detto cose che capitano a tutti”. Dopo le domande sulle sue case, Mastella jr passa all’attacco: “A me fa paura che vi mettete a spulciare. Tu ce l’hai un padre? – dice a Sortino – Io lo so che fa tuo padre e se lo dici fai pure tu una brutta figura”. La iena risponde che il padre è un commissario dell’Agcom. “E adesso lavori a Mediaset, forse è collegato? Capisci cosa voglio dirti?”. Quel servizio su Mastella non andò in onda per volere di Mediaset, si parlò di censura, e Sortino lasciò in polemica le “Iene”. Naturalmente Sortino non era un raccomandato, è un bravo giornalista che ha fatto bene a Tv2000 e ora conduce “Nemo”, un interessante programma sulla Rai. E proprio perché è una persona intelligente si è reso conto di cosa non va in un certo tipo di giornalismo prima dell’assoluzione di Mastella e sua moglie. “Ho capito che quel linguaggio è sbagliato – ha detto in un’intervista di un paio di anni fa a Panorama – Elio era una vittima. Stava male e io andai lì per scherzarci sopra. Non si fa. Purtroppo molto giornalismo televisivo si fonda su sangue che scorre e visceri al vento”. Quanto giornalismo è fatto ancora in quel modo?

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali