La surreale storia di "Faccia da mostro", libero da vivo e arrestato da morto

Luciano Capone

Roma. È una specie di arresto per pericolo di fuga nell’Aldilà. In qualche modo è come se si insinuasse che la sua morte è in realtà il suo ultimo crimine, il suo depistaggio finale per impedire alla Giustizia di raggiungere la Verità. Morire così, senza un avviso agli inquirenti – lui che di avvisi di garanzia dalla magistratura ultimamente ne aveva ricevuti diversi – è veramente sospetto. Non è che l’hanno fatto fuori per zittirlo? Oppure lui, già così silenzioso, si è tappato da solo la bocca per non parlare più? Fatto sta che Giovanni Aiello, l’ex poliziotto in pensione ritenuto l’uomo delle trame nere degli ultimi decenni – deceduto lunedì tra i bagnanti sulla spiaggia calabrese di Montauro dopo un malore mentre rientrava con la barca – non viene lasciato in pace neppure da defunto. Anzi, i provvedimenti più restrittivi nei riguardi delle sue proprietà e del suo corpo li subisce adesso, da cadavere. Più che in un romanzo di Kafka sembra di essere in una commedia di Pirandello.

  

Negli ultimi anni, a causa delle deposizioni e testimonianze in serie di vari pentiti a intermittenza, Aiello è passato dall’essere uno sconosciuto ex poliziotto della Squadra mobile di Palermo a diventare un oscuro agente dei servizi segreti (sempre deviati). Il grande pubblico l’ha conosciuto con un nome da perfetto cattivo: “Faccia da mostro”. Lo chiamano tutti così, giornalisti e magistrati, a causa di una cicatrice sul volto per un colpo di fucile mentre era in servizio. Ebbene, “Faccia da mostro” è stato accusato di ogni nefandezza: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio all’omicidio di Nino Agostino, dall’assassinio di Ninni Cassarà al fallito attentato dell’Addaura, dalle bombe sui treni all’uccisione di un bambino, ora anche dell’uccisione di un medico, poi depistaggi, legami con la destra eversiva, Gladio, la massoneria e chi più ne ha più ne metta. Dove c’è un crimine di “stato-mafia” c’è lui: “Faccia da mostro”.

  

Più recentemente è finito al centro dell’inchiesta “’ndrangheta stragista”, su un presunto patto eversivo – quasi contemporaneo alla Trattativa – tra stato, mafia, ’ndrangheta e massoneria a inizio anni 90. Nessuna di queste accuse è stata mai appurata. Gli inquirenti non sanno neppure se sia mai stato un agente dei servizi, figurarsi il resto. Di lui si sono occupate quattro procure – Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio – e nessuna ha mai chiesto neppure un rinvio a giudizio, i pm (incluso il duro Nino Di Matteo) hanno chiesto solo archiviazioni. Mai disposta nemmeno una misura cautelare. Ora però la procura di Catanzaro, dopo aver sequestrato la casa, la barca e il telefono, ha bloccato pure il cadavere: “Faccia da mostro” non può essere cremato, neppure dopo l’autopsia. Così Aiello, che da vivo è stato lasciato il libertà, viene arrestato da morto. In assenza di prove valide ai fini processuali, si cerca come gli aruspici di scoprire i “segreti d’Italia” interrogando una salma. C’è già il precedente di Antonio Ingroia che, dopo 50 anni, aveva riesumato il cadavere del bandito Salvatore Giuliano, per scoprire che i resti erano proprio di Salvatore Giuliano. Dall’antimafia all’oltremafia.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali