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Il dramma nascosto del caso Consip

Claudio Cerasa

L’indagine sulle manipolazioni è diventata un’inchiesta sul circo mediatico-giudiziario. Esistono magistrati che si sentono investiti dal dovere di salvare il paese dalla minaccia del presunto dittatore di turno? Ipotesi di studio

L’impeachment, lo sappiamo, è la messa in stato d’accusa di una persona che detiene un’alta carica pubblica e che in casi specifici previsti dalla legge viene sospettata di abusi nell’esercizio delle proprie funzioni, allo scopo di provocarne la destituzione. Le accuse con le quali deve fare i conti in queste ore la presidenza degli Stati Uniti non è escluso, anche se non è scontato, che possano portare verso quella direzione. Ma se proviamo a mettere a fuoco bene il senso della parola impeachment, il pensiero non può che spostarsi rapidamente da Washington per tornare drammaticamente in Italia, in uno spazio geografico compreso tra il perimetro della procura di Roma e il perimetro della procura di Napoli.

 

Ci si può girare attorno quanto si vuole, e i giornali possono far finta che il caso non esista e che sia più importante parlare delle ex fidanzate di Brad Pitt, ma alla fine dei conti il famigerato caso Consip sta diventando qualcosa di simile a un atto di accusa contro una precisa condotta in alcune indagini giudiziarie.

 

L’inchiesta Consip oggi non è più soltanto un’inchiesta relativa ad alcuni casi presunti di corruzione e di turbativa d’asta ma è anche un’inchiesta finalizzata a dare una risposta a una domanda importante: nella magistratura esistono oppure no giudici che attraverso la loro attività di indagine possono incappare in abusi nell’esercizio delle proprie funzioni?

 

Henry John Woodcock va considerato innocente fino a prova contraria e al momento (che chic, noi garantisti) non esiste alcun tipo di prova che possa essere sufficientemente forte per dimostrare una sua qualche condotta illecita. Eppure l’impressione è che l’operazione a tenaglia portata avanti da una parte dal procuratore generale della Cassazione (che ha aperto un’azione disciplinare nei confronti di Woodcock sulla quale dovrebbero esserci sviluppi importanti entro la fine di luglio) e dall’altra parte dalla procura di Roma (che ha indagato due pezzi grossi del Nucleo operativo ecologico al quale Woodcock ha affidato la delega per svolgere le indagini sul caso Consip, accusando il vicecomandante del Noe, Alessandro Sessa, di depistaggio e il colonnello del Noe, Giampaolo Scafarto, di falso ideologico per aver manomesso almeno due prove nell’ambito dell’inchiesta Consip) sia destinata a diventare qualcosa di più di una semplice indagine su un particolare metodo di lavoro portato avanti da un procuratore della Repubblica o da alcuni carabinieri. La domanda alla quale proveranno a rispondere il procuratore generale della Cassazione e la procura di Roma non si può limitare a definire solo una presunta non correttezza procedurale.


Il pm Henry John Woodcock (foto LaPresse)


Al centro di tutto – essendo il protagonista dalla manipolazione subita il padre dell’ex presidente del Consiglio e dunque indirettamente anche l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi – c’è un problema più importante che le indagini potrebbero aiutare a definire con maggiore chiarezza: esistono o no magistrati che pur non facendo politica direttamente rischiano di far trasparire attraverso delle indagini la propria passione politica? Detto in modo più esplicito: la manipolazione dell’intercettazione con la quale il carabiniere del Noe (a cui Woodcock ha affidato la delega delle indagini sul caso Consip) ha sognato di poter arrestare il padre dell’ex presidente del Consiglio è avvenuta solo per una questione di distrazione o è avvenuta anche per una questione legata a un particolare ideale? Siamo certi che Woodcock, il capitano Scafarto e il vice comandante Sessa, usciranno senza una macchia dalle indagini incrociate coordinate dalla procura di Roma e dal procuratore generale di Cassazione. Così come siamo certi che sia solo un caso che il giornale maggiormente informato sulle indagini e sulle bufale contro il padre dell’ex presidente del Consiglio sia lo stesso che quotidianamente triangola con un movimento che porta avanti la sua battaglia contro l’ex presidente del Consiglio anche grazie ad alcune indagini manipolate.

Ma quale che sia l’esito dell’indagine della procura di Roma e del procuratore generale della Cassazione sul caso Consip è evidente che alcuni passaggi dell’inchiesta non possono che far tornare attuale una domanda chiave per capire uno dei cortocircuiti della nostra giustizia. La storia recente del nostro paese ci dice che il vero bubbone del circo mediatico-giudiziario non è rappresentato dai magistrati che svestono la toga e che si misurano direttamente con la politica e magari con gli stessi politici contro i quali hanno indagato da magistrati. Il vero bubbone è rappresentato da quei magistrati (non è certamente il caso di Woodcock) che fanno politica senza scendere in politica e che in qualche modo si sentono investiti da un dovere supremo che non è soltanto far rispettare la legge ma è salvare a ogni costo il nostro paese dalla minaccia del presunto dittatore di turno. A volte l’impressione che il magistrato non sia più soltanto bocca della legge – cosa che anche il ministro Andrea Orlando ha confermato la scorsa settimana chiacchierando con il Foglio a un convegno sulla giustizia – ma sia anche bocca della morale la si ricava da un intervento a un talk-show, dalla partecipazione a una campagna politica, dalla presenza a un convegno di partito. Altre volte la si ricava invece attraverso un’inchiesta viziata da un’ideale politico.

 

Ci auguriamo con il cuore che il procuratore generale della Cassazione non trovi nulla di sospetto sul dottor Woodcock e ci auguriamo di cuore che la procura di Roma abbia preso un gigantesco abbaglio sulle manipolazioni contro il padre dell’ex presidente del Consiglio di cui sono accusati i carabinieri delegati da Woodcock a indagare su Consip. Ci auguriamo davvero che l’indagine sul caso Consip torni a essere un’indagine sulla corruzione e sugli appalti. E non lo diciamo con ipocrisia ma perché sarebbe un dramma per l’Italia avere anche una sola prova capace di far ritenere colpevole di abusi un magistrato. Speriamo sia stato solo un abbaglio. Speriamo che il caso Consip serva a verificare storie di presunta corruzione e non invece a certificare che esistono indagini viziate sulle quali possano gravare pregiudizi politici che ci impediscono di osservare la giustizia con lo stesso spirito con cui gli americani stanno seguendo il caso Trump. “Il popolo sovrano – ha ricordato ieri su queste colonne Giuliano Ferrara – ha fiducia nei giudici, negli investigatori, nella polizia giudiziaria, e considera i funzionari e gli attori a vario titolo del sistema come una garanzia, un vero contropotere decisivo per dare il segno della serietà e della responsabilità a una democrazia che si organizza sulla sovranità del voto, ma non lascia all’esecutivo il potere di decidere di se stesso nei casi di comportamenti dubbi”. Chissà se alla fine del caso Consip potremmo dire lo stesso del nostro paese.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.