LaPresse/Vincenzo Livieri

Il triangolo Noe: Pignatone- Carabinieri-Woodcock

Luciano Capone

Roma indaga anche il numero 2 del nucleo che a Napoli lavora sul caso Consip

Roma. Non è più un’indagine su un ufficiale di polizia giudiziaria, ma è un’inchiesta sull’inchiesta. L’accusa di aver depistato le indagini della procura di Roma sui probabili falsi del collega Scafarto per inguaiare Tiziano Renzi segna un salto di qualità nel lavoro dei magistrati romani, che ormai non guardano solo alle manipolazioni di un singolo ufficiale ma al metodo alla base dell’inchiesta Consip. Nel mirino della procura di Roma c’è sempre il Noe (Nucleo operativo ecologico dei carabinieri), stavolta si tratta di Alessandro Sessa, vicecomandante del reparto speciale che ha svolto le indagini Consip per conto del pm Henry John Woodcock e dei suoi colleghi della procura di Napoli, accusato di depistaggio. Il numero 2 del Noe è stato interrogato oggi dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Mario Palazzi, questa volta accompagnato dai suoi legali. L’ufficiale infatti era già stato ascoltato dai pm circa un mese fa come persona informata sui fatti in merito all’operato del suo sottoposto, il capitano Gianpaolo Scafarto, accusato di aver falsificato le informative. Due le manipolazioni inizialmente contestate. La prima riguarda l’attribuzione all’imprenditore Alfredo Romeo (accusato di corruzione) di un’intercettazione in cui si parla di un incontro con Tiziano Renzi, circostanza che avrebbe avvalorato l’accusa di traffico di influenze illecite nei confronti del padre dell’ex premier, e che invece si è scoperto essere dell’ex onorevole Italo Bocchino e riferita a Matteo Renzi (nulla a che vedere con l’inchiesta). La seconda manipolazione invece riguarda il coinvolgimento di fantomatici agenti dei servizi segreti che in realtà già si sapeva fossero dei semplici passanti.

   

Secondo gli inquirenti romani, il colonnello Sessa avrebbe riferito nel corso di quell’interrogatorio circostanze talmente inesatte da delineare l’ipotesi di depistaggio, un reato recentemente inserito che prevede una pena fino a 8 anni per “il pubblico ufficiale che compia azioni, finalizzate ad impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale”. Il vicecomandante Sessa aveva detto ai magistrati di non aver informato il comandante del Noe Serio Pascali delle indagini sulla Consip prima che la vicenda diventasse di dominio pubblico nel novembre del 2016, ricostruzione che sarebbe smentita da Scafarto che in un messaggio Whatsapp di giugno fa riferimento a informazioni di Sessa date al "Capo", probabilmente Pascali, che aveva rapporti con il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia. Sarebbe quindi potuto essere questo il canale attaverso cui è passata la fuga di notizie sull'inchiesta Consip per cui sono indagati lo stesso Saltalamacchia, il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e il ministro dello sport Luca Lotti.*

  

Sempre ieri i magistrati hanno interrogato ancora una volta, la terza, il capitano Scafarto per chiarire le ulteriori manipolazioni e omissioni emerse rispetto alle due inizialmente contestate. Dopo essersi in principio avvalso della facoltà di non rispondere, nell’interrogatorio successivo, pressato dagli inquirenti, Scafarto ha ammesso che le scelte investigative non sono state autonome ma concordate con il pm Woodcock: “La necessità di dedicare una parte della informativa al coinvolgimento di personaggi legati ai servizi segreti, fu a me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock”.

   

In questo contesto la posizione del pm napoletano si fa sempre più complicata, perché ad essere al centro dell’attenzione è un metodo d’indagine già visto all’opera in altre inchieste, come ad esempio quella sulla Cpl Concordia, che ha prodotto risultati simili: manipolazioni nelle informative e pubblicazione di intercettazioni che dovevano restare segrete. Nel caso Cpl Concordia c’è stata la pubblicazione delle conversazioni telefoniche tra il generale della Gdf Michele Adinolfi e Matteo Renzi, nella vicenda Consip di quella tra l’ex premier e suo padre Tiziano, intercettato dalla procura di Napoli nonostante fosse indagato a Roma. Entrambe le intercettazioni sono finite sullo stesso giornale, con la certezza per il caso della telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi che l’intercettazione fosse in possesso dei pubblici ministeri o della polizia giudiziaria: Woodcock e i suoi colleghi o i carabinieri del Noe.

    

Che qualcosa non andasse per il verso giusto in questo metodo d’indagine era evidente già quando la procura di Roma ha ritirato la delega al Noe per la ripetuta fuga di notizie, ma soprattutto dopo che ha messo sotto indagine il capitano Scafarto e adesso anche il colonnello Sessa per depistaggio. Ciò che lascia perplessi è che, nonostante le fughe di notizie, la pubblicazione delle intercettazioni e le azioni decise della procura di Roma, Woodcock non abbia ritirato la delega del Noe, un segno che tra pm e polizia giudiziaria l’intesa e la fiducia sono ancora forti.

    

Ma attorno a questo metodo si sta stringendo una tenaglia. Oltre alla procura guidata da Giuseppe Pignatone che spulcia ogni atto, c’è un fascicolo aperto al Csm per la fuga di notizie Renzi-Adinolfi e un’azione disciplinare nei confronti di Woodcock avviata dal procuratore generale della Cassazione. E chissà che il fascicolo non possa arricchirsi di altri elementi che stanno emergendo.

 

*Articolo modificato alle 13.45. In una prima versione era stato scritto erroneamente che il colonnello Sessa è indagato per depistaggio dell'indagine che riguarda Scafarto, invece si tratta del filone sulla fuga di notizie nell'inchiesta Consip

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali