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Gogne e procure, i nostri veri poteri forti

Claudio Cerasa

Pm indagati, fughe di notizie, informative manipolate, intercettazioni nel ventilatore della melma. Lo “scoop” sui Renzi e l’autogol manettaro. Il caso Consip sta diventando la Caporetto del giustizialismo italiano

L’Italia del buonsenso, se davvero avesse un po’ di buonsenso, piuttosto che indignarsi per l’incredibile vicenda legata al caso Consip, che ieri ha registrato un’ultima appassionante puntata con la pubblicazione sul Woodcock quotidiano di una serie di intercettazioni tra Tiziano Renzi e Matteo Renzi, dovrebbe avere il coraggio di ingaggiare un buon architetto e far costruire un gigantesco monumento di fronte al ministero della Giustizia in onore (Dio li benedica) di alcuni contemporanei eroi italiani: il procuratore di Napoli Henry John Woodcock, il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto e il giornalista del Fatto Marco Lillo, il quale con lo “scoop” di ieri relativo alle intercettazioni tra Renzi senior e Renzi junior ha aiutato a fare un po’ di chiarezza su quello che sta succedendo, davvero, intorno al caso Consip.

Proviamo a riassumerlo brevemente – e capirete da soli perché il caso Consip sta diventando la Caporetto del giustizialismo italiano.

 

Il 4 marzo la procura di Roma sceglie di revocare ai carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) le indagini sul caso Consip, alla luce delle “ripetute rivelazioni di notizie coperte da segreto” istruttorio. La procura di Roma lo fa “per un’esigenza di chiarezza”, perché “gli accertamenti fin qui espletati hanno evidenziato che le indagini del procedimento a carico di Alfredo Romeo e altri sui fatti (poi) di competenza di questa procura sono state oggetto di ripetute rivelazione di notizie coperte da segreto sia prima che dopo la trasmissione degli atti a questo Ufficio, sia verso gli indagati o comunque verso persone coinvolte a vario titolo, sia nei confronti degli organi di informazione”. Passano alcuni giorni e la procura di Roma spiega esattamente in che senso la procura di Napoli ha peccato in chiarezza. Lo si scopre il 12 aprile, quando la procura comunica che il capitano del Noe, Gianpaolo Scafarto, è accusato di falso ideologico per aver alterato la trascrizione di un’intercettazione contro Tiziano Renzi e accreditato la possibilità che i servizi segreti spiassero l’inchiesta. Per essere ancora più chiari: il capitano del Noe attribuì ad Alfredo Romeo una frase che provava l’avvenuto incontro fra l’imprenditore e il padre dell’ex presidente del Consiglio ma l’analisi dei nastri (voluta dalla procura di Roma) rivelerà che la frase incriminata sarebbe stata pronunciata non da Alfredo Romeo ma da Italo Bocchino. E non solo. La procura di Roma accusa Scafarto anche di aver fatto altro: aver deliberatamente manipolato l’informativa in un passaggio chiave allo scopo di accreditare falsamente un’attività di disturbo dei servizi segreti – e dunque implicitamente di Palazzo Chigi – sulle indagini che l’Arma stava conducendo sull’imprenditore Alfredo Romeo e sui suoi rapporti con Tiziano Renzi, padre dell’allora presidente del Consiglio. Falso anche questo. Ma c’è di più.

 

Il 12 maggio Scafarto viene interrogato per cinque ore in procura a Roma (presente anche Giuseppe Pignatone) e nel corso dell’interrogatorio cede e ammette l’indicibile: “La necessità di compilare un capitolo specifico, inerente al coinvolgimento di personaggi legati ai servizi segreti, fu a me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock che mi disse testualmente: al posto vostro farei capitolo autonomo su tali vicende, che io condivisi”. Scafarto dice esattamente quello che avete letto: fu Woodcock a “rappresentare come utile” l’inserimento nell’informativa Consip dei dettagli (rivelatisi poi farlocchi) sui servizi segreti. Il romanzo potrebbe concludersi così, e ci sarebbero già molte ragioni per costruire un monumento al valore per i campioni delle manette rimasti ostaggi del circuito mediatico-giudiziario da loro stessi alimentato, ma il problema è che la storia non è finita. Scafarto è lo stesso capitano del Noe lavorò in un’altra favolosa inchiesta denominata “Cpl Concordia” e all’interno di quell’inchiesta si sviluppò una trama simile a quella alla quale stiamo assistendo oggi: un giornale (chissà quale) pubblicò l’intercettazione di una telefonata fra il comandante interregionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi e Matteo Renzi e quell’intercettazione (penalmente irrilevante) più che portare acqua al mulino dell’inchiesta (l’inchiesta fu archiviata subito dopo il trasferimento delle indagini a Roma) portò acqua esclusivamente al mulino del processo mediatico (fu in quell’occasione che Renzi, da segretario del Pd, espresse giudizi critici sull’allora premier Enrico Letta).

 

Basterebbe questo, ma lo scoop di ieri del Fatto – Matteo Renzi intercettato mentre chiede al padre di raccontare tutta la verità sui rapporti con Alfredo Romeo – ha avuto il merito di aprire un nuovo meraviglioso capitolo del romanzo manettaro e così ieri mattina la procura di Roma decide di aprire un fascicolo “per violazione del segreto istruttorio e per pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale in relazione alla intercettazione di una telefonata, risalente al 2 marzo scorso e pubblicata sul Fatto Quotidiano, tra Matteo Renzi ed il padre Tiziano alla vigilia dell’interrogatorio di quest’ultimo nell’ambito dell’inchiesta Consip”.

Le indagini andranno come andranno ma a prescindere da quello che sarà il giudizio finale della procura di Roma sui quattro amici al bar che gravitano attorno alla procura di Napoli si può dire che l’inchiesta sulla Consip sta diventando per molte ragioni il perfetto manifesto del cortocircuito mediatico.

 

I rapporti patologici tra alcune procure e alcuni organi di stampa. L’incapacità dell’opinione pubblica nel considerare le veline delle procure non delle verità assolute ma delle verità parziali. La trasformazione degli indagati in colpevoli fino a sentenza definitiva. La scelta di alcuni giornalisti di vestire i panni dei cagnolini al guinzaglio delle procure. L’arma del garantismo utilizzata dai giustizialisti solo quando a essere indagati sono gli amici manettari. E infine l’utilizzo meticoloso delle intercettazioni come veicolo finalizzato a creare un’atmosfera, “un contesto ambientale”, ovverosia un’attenzione mediatica intorno a un’indagine che altrimenti faticherebbe a finire sulle prime pagine dei giornali. Ci si potrebbe deprimere di fronte agli ingredienti del circo mediatico giudiziario ma in realtà mai come oggi bisogna gioire: grazie alle imprese degli amici della procura di Napoli, in Italia potrebbe finalmente emergere in modo chiaro una maggioranza non più solo silenziosa intenzionata a ribellarsi contro la repubblica del pettegolezzo e contro la dittatura delle intercettazioni.

 

I veri poteri forti (senza quasi) sono questi, caro Ferruccio de Bortoli: sono coloro che possono decidere in modo indiscriminato il destino di un essere umano solo inserendo il suo nome in un brogliaccio telefonico e premendo quando desiderano loro un bottone rosso dell’infamia nazionale chiamato gogna. Un paese che non riesce a capire l’orrore di trascrivere (e poi commentare) intercettazioni penalmente irrilevanti è un paese senza speranza. Un paese che inizia invece a capire l’orrore di un sistema giudiziario che permette di dare in pasto ai giornalisti intercettazioni che non si dovrebbero leggere è un paese che ha la speranza di fare un passi in avanti imparando a distinguere prima di tutto che differenza c’è tra chi spaccia per libertà di stampa la libertà di sputtanare. I tempi per una grande e trasversale rivoluzione garantista contro la repubblica del pettegolezzo sono maturi. E se lo sono bisogna ringraziare di cuore gli amici della procura di Napoli. Cin cin.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.