Raffaele Cantone (foto LaPresse)

Come Anac dovrebbe conciliare la cultura della legalità e quella dell'efficienza

Redazione

Moralità, allarme permanente, ruoli atipici sui contratti pubblici. In una lettera al Corriere, Giulio Napolitano spiega perché l'Autorità guidata da Cantone è un "jolly istituzionale" che rischia di alterare la concorrenza 

In una lettera al Corriere della Sera, Giulio Napolitano, ordinario di diritto amministrativo all’Università di Roma Tre, sviscera il problema del ruolo atipico dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che nel 2014 è stata dotata dal legislatore anche delle funzioni di vigilanza sui contratti pubblici: “Da allora – scrive il figlio dell’ex presidente della Repubblica – l’Anac è diventata, nella pulp fiction della vita italiana, ‘il signor Wolf’ che ‘ risolve problemi’, se necessario anche con mezzi un po’ sbrigativi”, trasformandosi così in un “jolly istituzionale: una carta che il legislatore ha giocato in circa una ventina di provvedimenti legislativi in meno di tre anni”.

  

“L’apice del problema – spiega Napolitano – lo si è raggiunto l’anno scorso con il recepimento delle direttive in materia di appalti e concessioni e l’adozione del nuovo codice dei contratti pubblici”. Qui all’ente guidato da Raffaele Cantone è stato assegnato un ruolo di “dominus della disciplina”, con “poteri anche atipici”, senza “pari negli ordinamenti degli altri Paesi europei”. Il problema è che questo porta “a un’evidente distorsione del peso degli interessi pubblici in gioco” – in rapporto all’allocazione delle risorse, all’esecuzione dei lavori, alla parità nella concorrenza.

  

“Fino a che punto – si domanda il giurista – il sistema amministrativo e quello economico possono sostenere questo stato di allarme permanente, in cui ogni controllo pubblico è esercitato nel sacro nome della lotta alla corruzione da un’autorità che si presenta come portatrice di una moralità superiore?”. È quanto ci chiedevamo su queste colonne il 20 aprile, quando scrivevamo che “dai tempi di Matteo Renzi, che aveva voluto Cantone, i poteri dell’Anac si erano allargati al punto di paralizzare all’origine ogni opera pubblica, compresa la ricostruzione delle aree terremotate. Non solo. Era diventata una sorta di passe-partout dei giustizialisti, in nome della legalità s’intende, tirata per i capelli dalle banche alla Rai alla microburocrazia a ogni livello”.

  

Il Foglio si è più volte occupato dei poteri affidati all'Anac di Raffaele Cantone. Quella che il professore Sabino Cassese, con una formula piuttosto efficace, aveva definito “il gendarmone” Anac: organismo anticorruzione così “sovraccarico”, da un lato, e così poco “indipendente” dall’altro (poco indipendente dai governi di fatto, anche se magari non nelle intenzioni). Dopo una lunga intervista del direttore di questo giornale con Cantone, ci chiedevamo se il ruolo che Renzi pensava per il magistrato fosse non solo di combattere la corruzione ma di moralizzare il paese.

   

Secondo Napolitano, infatti, l’alterazione del ruolo di Anac è evidente anche nel dibattito pubblico seguito alla “contestata abrogazione della norma” che attribuisce superpoteri all’Anticorruzione in materia di intervento e prevenzione (il comma 2 dell’articolo 211).

   

Per Napolitano bisogna iniziare a fare ordine: se è giusto che l’Anac rivendichi il suo rafforzamento sul piano organizzativo, deve d’altro canto nascere accanto ad essa “una distinta – e meno messianica – Autorità per i contratti pubblici”, un secondo collegio “composto anche di esperti di mercati e contratti”, in maniera da “assicurare la virtuosa convivenza tra la cultura della legalità e quella dell’efficienza”.

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