Tribunale amministrativo regionale del Lazio

Dal Tap a Uber. La Giustizia amministrativa ce l'ha con lo sviluppo?

Maurizio Stefanini

Interviste a Vivani, Fantigrossi, Tedeschini, Ghiberti. Gli avvocati spiegano quanti investimenti perdiamo per colpa degli ostacoli frapposti dalla Pubblica amministrazione

6 aprile: il Tar del Lazio sospende l’autorizzazione all’espianto degli ulivi nell’area del cantiere di Melendugno, provincia di Lecce, dove si sta realizzando il gasdotto Tap. 10 aprile: la V edizione del Justice Scoreboard della Commissione Europea afferma che la giustizia amministrativa italiana è la più lenta di tutta la Ue dopo quella di Cipro, con una media di 1000 giorni per risolvere un procedimento amministrativo in primo grado, contro i 100 di Ungheria, Estonia, Bulgaria, Slovenia e Polonia. 20 aprile: il Tar respinge il ricorso della Regione Puglia sull’espianto degli ulivi, poiché il gasdotto è un’opera “dichiarata infrastruttura strategica, di preminente interesse per lo Stato”, quindi è il ministero dell’Ambiente il “titolare di una facoltà di controllo, in ordine al rispetto di quanto previsto nel decreto Via” sulla valutazione di impatto ambientale. E i lavori possono riprendere: salvo proteste e sit-in che sono subito ricominciati. In mezzo, il 7 aprile è stato disposto il blocco entro 10 giorni dei servizi offerti da Uber in Italia con la app Uber Black: in questo caso la decisione è del Tribunale civile di Roma, ma ribadisce quel che aveva detto un anno prima il Tar della Lombardia. Anche qui, però, l’11 aprile Uber ha ottenuto la sospensiva della sentenza.

 

Insomma, forse alla fine la Giustizia amministrativa non è che ce l’ha proprio con lo sviluppo. Ma non è che questi rallentamenti e andirivieni continui agevolino le cose. Amministrativista torinese esperto in diritto dell’ambiente, Claudio Vivani è un avvocato che dice al Foglio di avere l’esperienza diretta dei “miliardi di euro” che in Italia vengono persi in termini di mancati investimenti per colpa degli ostacoli frapposti dalla Pubblica amministrazione. Nel caso in particolare, però, secondo lui “è stata una forzatura mediatica dire che la Giustizia amministrativa aveva bloccato la Tap”. Al contrario: “la Tap nel suo complesso ha avuto un vaglio giurisdizionale positivo da parte della Giustizia amministrativa. A essere bloccato è stato un aspetto molto specifico del progetto, che riguarda il modo di fare alcune opere di raccordo attraverso l’espianto e ricollocazione dei 230 ulivi. È un dettaglio, relativo a due singole prescrizioni della Valutazione di impatto ambientale. Non entro nel merito se il Tar abbia avuto ragione o no, ma dire che voleva bloccare la Tap è una forzatura mediatica per cercare capri espiatori. Secondo la mia esperienza, al contrario, per lo meno in fase cautelare è molto efficiente: qui ad esempio ha agito subito, e l’udienza di merito è stata in capo a due settimane. Il problema, semmai, è nel vedere enti pubblici che fanno ricorsi contro enti pubblici: la regione che ha fatto ricorso contro il ministero dell’Ambiente! È un esempio di quell’estremo frastagliamento degli enti che, assieme alla scarsità delle risorse per farli funzionare, è la ragione vera dell’inefficienza della Pubblica amministrazione in Italia”.

 

E il rapporto de Justice Scoreboard? “Secondo me non bisognerebbe esagerare nel fare queste comparazioni tra realtà diverse. L’Italia ha un sistema di accesso alla giustizia amministrativa talmente aperto che ci sono decine e centinaia di migliaia di ricorsi. In certi paesi Ue i ricorsi di contano in poche decine. Ciò ha anche un risvolto positivo: è un segno di democrazia! Però certo che molte cause rallentano il sistema”. E non dimostrano anche che la Pubblica amministrazione non funziona? “Certamente, ma è anche un problema culturale: una cultura del litigio e della sfiducia verso lo stato. Lo vediamo per il fatto che la propensione al ricorso varia molto anche a seconda delle regioni italiane”.

 

Anche Umberto Fantigrossi, presidente dell’Unione nazionale avvocati amministrativisti, difende la Giustizia amministrativa italiana. “Sì, Prodi una volta disse che i Tar andavano aboliti perché bloccavano tutto e che sarebbe stato meglio avere un sistema di tipo anglo-sassone, con la sola Giustizia penale e civile senza quella amministrativa. Ma posso testimoniare che con me personalmente si è detto pentito per quella battuta, e in realtà poi in campo europeo e mondiale stiamo assistendo a un tipo di convergenza per cui anche il mondo anglo-sassone si sta dotando di sistemi di Giustizia amministrativa”. Anche Fantigrossi è d’accordo sull’idea che la Giustizia amministrativa venga spesso usata come capro espiatorio per le carenze di una Pa che “non riesce a fare atti seguendo procedimenti che coinvolgano tutti gli interessati. Si guarda il dito e non si vede la luna: il problema del consenso sulle opere pubbliche. Se si arriva a un giudizio vuol dire che qualcosa non è andato per il verso giusto. Senza i Tar non togliamo il conflitto, ma ci limitiamo a spostarlo nella società”.

 

Ma non siamo anche di fonte a una sindrome Nimby di chi dice no a tutto per principio? “Ragione di più per operare in modo da lasciare Nimby con meno argomenti possibili”. Invitando a guardare in proposito a certe esperienze francesi, Fantigrossi insiste che comunque i Tar sono molto più efficienti che il resto della pubblica amministrazione, anche se sono rallentati dalla carenza di almeno il 30 per cento degli organici. Ma non è un problema se l’organismo più efficiente della Pa è quello che blocca? “È così: il vero disastro in Italia è la Pubblica amministrazione, non il suo giudice. Se non ci fossero i Tar, staremmo in balia della funzione pubblica”. Fantigrossi suggerisce però che un modo per sveltire potrebbe essere quello di riportare ai Tar locali tutta la lista di competenze “nazionali” ora accentrate nel “collo di bottiglia” del Tar del Lazio, “che infatti scoppia”.    

 

Anche Federico Tedeschini, docente di diritto pubblico alla Sapienza e avvocato amministrativista, è d’accordo sull’analisi che “in una situazione di disfunzione amministrativa così diffusa, è chiaro che poi tutto il peso delle disfunzioni arriva in  testa ai tribunali amministrativi”. Però ritiene che intanto per disintasare la Giustizia amministrativa si potrebbe “normalizzare il ricorso alla sanzione pecuniaria per lite temeraria”: “ci sono una serie di cause che vengono fatte soltanto per trattare con l’Amministrazione, che bisogna scoraggiare”.  L’idea di abolire il diritto ammnistrativo per adottare l’idea del diritto comune di tipo anglo-sassone non lo vede di principio ostile. “Ma attenzione, bisogna realizzare il diritto comune in tutti i suoi aspetti, non in un pezzo. Il diritto comune, che ha come base realizzata la certezza del diritto, si fonda sul principio del precedente, che in Italia non esiste”. Secondo lui, però, meglio ancora sarebbe lasciare il diritto amministrativo e nel contempo introdurre il principio del precedente nella Costituzione: “non solo per il giudice amministrativo ma anche per quello penale, civile, militare”.

 

Così, secondo lui, si risolverebbe il problema dell’arbitrarietà dei giudici italiani. Ma probabilmente non il caso Uber: “vuole sapere perché in Italia Uber non può funzionare liberamente come accade in tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale? Perché in Italia c’è un eccesso di regolazione dell’attività dei tassisti. Basterebbe che non Uber fosse sottoposta alle regole dei tassisti, ma i tassisti fossero liberati da un eccesso di regole e potessero funzionare come Uber e questo non succederebbe. Ma purtroppo l’Italia è un paese fondato sulle corporazioni, fin dai tempi dei liberi comuni”.

 

Qualche “modesta proposta” ce l’ha anche Fabio Ghiberti: anche lui avvocato torinese, che concorda comunque sull’idea che in Italia il problema non sono tanto i Tar, ma la Pubblica amministrazione nel suo complesso. “Il problema è soprattutto il rispetto dei tempi nelle autorizzazioni, che costa al paese miliardi e miliardi di euro.  Le leggi con i termini perentori ci sono, ma se vengono violate non c’è nessuna sanzione. Il rimedio risarcitorio non è fattibile perché bisognerebbe dare la prova diabolica che se quel procedimento amministrativo si fosse concluso il funzionario mi avrebbe dato l’autorizzazione. Il che non è scontato. C’è uno squilibrio. Se il cittadino deposita una dichiarazione fiscale in ritardo, rischia addirittura un processo penale. Se un funzionario ci mette 15 anni a darmi una risposta non rischia nulla, perché secondo l’articolo 328 comma secondo del codice penale se è messo in mora da un cittadino che sollecita una decisione gli basta spiegare la ragione del ritardo entro 30 giorni. Quando la norma entrò in vigore, nel 1990, il ministero della Funzione pubblica spiegò subito ai funzionari: se vi mettono in mora scrivete che avete tardato per complessità dell’istruttoria,  o per effettuazione di accertamenti, o per elevato numero di cause. A volte, ormai, rispondono addirittura con un timbro”.

 

Lavorando a una proposta di riforma giudiziaria per il movimento La Marianna, Ghiberti ha pensato a due sanzioni. “Prima: di carattere amministrativo, una sanzione pecuniaria progressiva per ogni giorno di ritardo in capo al funzionario. La potrebbe erogare l’Autorità nazionale anticorruzione: perché è un ente terzo, e perché è proprio l’inefficienza della Pubblica amministrazione a far venire la voglia di pagare mazzette per velocizzare i percorsi.  Seconda: riforma del 328  comma secondo. Individuata una soglia di massima tollerabilità di anni due di inerzia, si abbandona la sanzione amministrativa e si sfocia nell’azione penale”.

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