Foto tratta dal profilo Facebook di Norma Gimondi

L'Eroica e l'importanza di essere Felice (Gimondi)

Giovanni Battistuzzi

Il campione del ciclismo domenica ha corso, a 75 anni, la ciclostorica del Chianti, è caduto, si è rialzato, il prossimo anno ritornerà. Una passione che ancora esalta il popolo della bicicletta 

Gaiole in Chianti. Tra i tendoni del villaggio di partenza dell'Eroica all'improvviso una nuvola di persone si era mossa, camminava verso un'unica direzione quasi ignorando biciclette più o meno antiche, più o meno pregiate, più o meno esclusive. E' arrivato, si dicevano. E' lui?, si chiedevano. Sì, sì è lui, commentavano. Era il sabato e la corsa era ancora un groviglio di strade in attesa e di maglie ancora in borsa pronte per essere indossate. Era il sabato e la corsa era ancora un programma futuro, ma ormai prossimo. Era il sabato ed era appena arrivato Felice Gimondi.

  


Il racconto della corsa


  

Lui, il campione che riportò in tutto il paese l'attesa per il ciclismo che dopo la magnifica epopea di Fausto Coppi e Gino Bartali si era un po' attenuata. Lui, l'atleta eccezionale che per uno scherzo del destino si è trovato a gareggiare contro un semidio, contro un imbattibile, uno che aveva più fame di tutti, più talento di tutti, più tutto di tutti, Eddy Merckx, cioè il Cannibale, cioè 525 vittorie in nemmeno 1.800 gare, un'iradiddìo. Lui, l'uomo oltre il campione, perché questo colpiva, la sua umanità profonda, la capacità di accettare sorridendo un destino un po' beffardo, perché è chiaro che quando sei il più forte, trovarsene uno bestiale è un colpo basso del fato. Lui, il passionario, perché animato da un sentimento di amore e di rispetto profondo per la bicicletta prima ancora che del ciclismo. Un amore e rispetto che gli è esploso in faccia quando allo stand della Bianchi un signore gli si è avvicinato con una Chiorda degli anni Sessanta del tutto simile a quella con cui vinse la Parigi-Roubaix del 1966: "Non è la sua, ma quasi". "Vedo, anche perché su questa non sarei riuscito a pedalarci, ci pedalava un bisonte", la risposta. Un autografo, una foto. Come altre, mille altre. Perché attorno a Felice Gimondi si erano radunate decine e decine di appassionati. Uomini e donne, giovani e anziani, padri e figli. Perché attorno a Felice Gimondi c'era un mondo intero in processione, a rendere omaggio a un campione di un tempo, ancora amato, forse ancora più amato dei campioni di oggi.

 

Felice Gimondi era lì a sorridere e a stringere la mano a chiunque, con la solita semplicità di chi da Sedrina, val Brembana, poco più di una decina di chilometri a nord di Bergamo, è partito per conquistare il conquistabile nel mondo del ciclismo. Era lì a 75 anni appena compiuti a correre su una sua bici che lo aveva scorrazzato anni fa in giro per le gare, su un percorso che una gara non era, ma un'occasione per godersi ruote e pedivelle, strade di un tempo e biciclette di un tempo, la fatica che continua a essere di un tempo, perché non è mai cambiata, prende le gambe e si combatte con la testa.

 

Felice Gimondi ha girato i pedali, ha corso, con la sua solita eleganza, ha scalato e disceso. E' caduto. Perché lo sterrato è una dimensione strana, gravitazionale, richiama al suolo i suoi protagonisti. E' caduto e si è rialzato, pronto a ripartire, nonostante una spalla dolente e qualche botta in più. Gli hanno detto fermati, fatti guardare. Lui si è fermato e si è fatto guardare: microfrattura alla spalla. Una notte in ospedale, il ritorno a casa il commento alla moglie: "Bella corsa l'Eroica...il prossimo anno ci tornerò e arriverò sino al Castello di Brolio", riporta Pier Bergonzi sulla Gazzetta.

 

Perché la passione per la bici è questa: metter da parte le cadute, rimettersi in sella, darsi il via e guardare avanti, nonostante tutto.

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