Chris Froome (foto LaPresse)

Un'auto sperona Froome. E questa volta la scusa della fatalità non regge

Giovanni Battistuzzi

Il campione britannico è stato buttato a terra da una automobile indispettita dalla presenza di una bicicletta in strada. Non è il primo caso e non sarà probabilmente l'ultimo. Un problema che non si combatte con le sanzioni

Forse quella di Michele Scarponi è stata una tragica fatalità. Il sole basso, un riverbero di troppo, una curva senza vista e l'impatto fatale. Chi era alla guida del furgoncino Scarponi lo conosceva, in molti dicono che quando guidava era persona rispettosa e attenta. Un errore, una distrazione, il fato? Chissà.

 

Sicuramente quanto successo oggi a Montecarlo invece fatalità non lo è stata. Chris Froome si stava allenando per le strade fuori dal Principato quando un'automobilista spazientito dalla presenza nella carreggiata della bicicletta del ciclista britannico, l'ha affiancato e speronato, poi è scappato senza prestare ovviamente soccorso. Per il tre volte vincitore del Tour de France qualche escoriazioni e una bici da buttare.

E' andata bene questa volta a Froome. Molto bene. E' riuscito a essere soltanto un nome nuovo nella lista di quei oltre duemila nomi che ogni anno perdono la vita in bicicletta in Europa.

 

Una lista che si aggiorna qualche volta per imperizia dei ciclisti, quasi sempre per colpa degli automobilisti, quasi mai per fatalità. Perché non c'è caso o sorte nel centrare una bicicletta mentre la si sorpassa (38 per cento delle morti sulle due ruote a pedali), o nel non dare precedenza (27 per cento), oppure nel non rispetto dei limiti di velocità (22,5 per cento). Non c'è fatalità soprattutto se si considera quanto detto vent'anni fa dall'ex presidente olandese conservatore Ruud Lubbers: "La mobilità sarà la sfida del futuro, una sfida che si può vincere in un solo modo: far convivere mezzi a motore e biciclette. E questa convivenza può avvenire solamente tramite la diminuzione dei limiti di velocità e la creazione di un senso condiviso di rispetto delle norme. Per fare sì che ciò accada non serve inasprire le sanzioni, serve lavorare sulla consapevolezza che l'auto è un mezzo utile, ma non il solo, e soprattutto che può essere potenzialmente mortale".

 

Una lezione che evidentemente ancora non è stata recepita da molti. Una lezione che difficilmente verrà recepita con le ultime leggi che il Parlamento ha prodotto, quella sull'omicidio stradale e il progetto di legge denominato "Salva i ciclisti", che sanziona che modifica il codice della strada introducendo il divieto di "sorpasso di un velocipede a una distanza laterale minima inferiore a un metro e mezzo". Una norma concettualmente giusta ma del tutto inefficace e di difficile applicazione. E non solo in Italia.

 

"Leggi del genere non servono. Certamente non danneggiano, ma non risolvono i problemi. E' la presenza all'interno della sede stradale delle biciclette a creare i presupposti per una convivenza tra queste e le auto", dice al Foglio Silvana Rossin, ricercatrice della facoltà di urbanistica della Hongo University di Tokyo. Com'è possibile? "La mobilità è flusso, è un insieme di regole scritte e non. Per le prime c'è il codice della strada, per le seconde è un insieme di buon senso e abitudini. Per questo motivo le piste ciclabili extra carreggiata non sono una soluzione ottimale. Relegare le biciclette lontane dal traffico non risolverà alcunché, anzi. La non abitudine alla prossimità spaziale tra i due mezzi aumenterà i conflitti e l'intolleranza tra questi. E quando c'è conflitto e intolleranza tra i due, le biciclette avranno sempre la peggio".