Nella foto, che è copertina del libro, Giambattista Tiepolo: “L'Olimpo e i continenti, Asia” (1753) – Residenz, Würzburg

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Davide D'Alessandro

L’innominabile attuale ha il suo punto d’appoggio su ciò che ineluttabilmente frana, ma c'è una prova del fuoco da sostenere per sperare

L’ubi consistam dell’ultimo libro di Roberto Calasso consiste nell’età dell’inconsistenza. Non è un gioco di parole. L’innominabile attuale, che fece la sua apparizione in La rovina di Kasch del 1983, ha il suo punto d’appoggio su ciò che ineluttabilmente frana, dopo aver perso le basi, i sostegni, i riferimenti, i nutrimenti della tradizione, della trascendenza, del sacro. Non è scomparso, il sacro, ma è divenuto altro e ci viene restituito dal mondo liquido in forme e dimensioni nuove e inaspettate: “Il divino è ciò che Homo saecularis ha cancellato con cura, con insistenza. Lo ha anche espunto dal lessico di ciò che è. Ma il divino non è come una roccia, che tutti inevitabilmente vedono. Il divino deve essere riconosciuto. E il riconoscimento è l’atto supremo verso il divino. Atto spontaneo, momentaneo, non trasponibile in uno stato”.

Se in qualcosa bisogna pur credere, o puntare, la società crede, o punta, soltanto in sé stessa. L’uomo post-qualcosa  o, meglio, post 1933-45, è soggiogato da bolle, da schiume, da panna montata ad arte, persino con i crismi della scientificità, a tavolino. Dentro gli edifici, i capannoni, le lande silenziose e senza insegne dell’America che conta, tra San Francisco e Palo Alto, l’America vera che detiene il potere vero, reale, sniffando virtuale, si muovono, operano e preparano mutazioni continue esseri che non comprendono l’essere, che giocano a dadi con l’essere, con le vulnerabilità dell’essere, che hanno occupato stabilmente l’anima dell’essere, sradicandolo dalla pienezza, dalla sostanza, mettendone in discussione persino la morte, la fine. Lo vorrebbero vivo in eterno per mangiarselo in eterno.

Per Calasso, l’uomo uscito frastornato, obnubilato da quei dodici anni di autoannientamento quasi riuscito, non si è più ripreso. Ha messo i piedi nell’età dell’inconsistenza, ne è stato fagocitato, ha smarrito le coordinate. L’uomo turista, terrorista, secolarista, hackerista, fondamentalista, transumanista, algoritmista, digitalista. Questo è l’uomo che attraversa le pagine di un libro diviso in tre parti, ma unito da ciò che è ormai incerto, labile, inafferrabile. Per Calasso, “la sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano”.

Si può vivere così? Evidentemente sì, sempre si può vivere, basta avere ossigeno per respirare, qualcosa da mettere sotto i denti e un tetto sotto cui riparare. Ma il senso? Conta ancora il senso? Dare senso, trovare senso, indicare un senso. È possibile vivere immersi in una schiuma che tutto copre, che tutto avvolge, e dare senso, trovare senso, indicare un senso? Ci sono libri, autori, uomini-altri, che si possono incontrare per strada, sugli scaffali delle librerie, parte di una "costellazione clandestina", con i quali tentare di riprendere l’ordito, di tessere una tela che forse presto, prima che prenda forma, risulterà già sfrangiata, ma che altro resta a chi a quel senso non rinuncia, a chi, senza quel senso, fatica a compiere i propri passi quotidiani?

L’innominabile attuale va nominato, gli va dato un nome, va conosciuto e frequentato. Bisogna immergersi in quella schiuma, entrare in quei capannoni dove si scrive il libro del mondo che ci circonda, un libro che stentiamo a leggere e a comprendere, ma cercando di tenere la mente dentro e fuori, maturando una capacità di entrare e di uscire, di bagnarsi e di asciugarsi, senza mai lasciarci una parte di sé. Forse non basterà, forse non ce la faremo, forse saremo destinati a naufragare, forse siamo quel mondo ma, senza questa prova del fuoco, vivere che vale?