Massimo Recalcati. Foto tratta da IIPR

Massimo Recalcati, alla ricerca del tabú perduto

Davide D'Alessandro

Lo psicoanalista lacaniano ha il merito di aver ricollocato al centro della scena una parola rimossa

Tabú. Per Garzanti linguistica è “ogni cosa su cui, per paura o per pudore, si preferisce tacere”. Il tabù segnala un limite invalicabile. Che ne è del tabú? Esiste ancora o è soltanto un lontano ricordo, un rumorino che resta sullo sfondo senza incidere più sulla nostra pelle, sulla nostra vita? Il merito dello psicoanalista lacaniano, Massimo Recalcati, e del suo libro, I tabú del mondo, edito da Einaudi, è di averlo ricollocato al centro della scena, di aver rimosso la… rimozione di una parola antica per invitarci a una riflessione profonda, per scavare dentro e intorno al non dicibile. La dedica è a Pier Paolo Pasolini corsaro, che si è misurato carne e sangue con i tabú del mondo, che sulla linea del tabú, al di qua e al di là, ha sostato godendo e soffrendo. Patendo.

Se c’è la legge, c’è il desiderio di infrangerla. Se c’è il limite, c’è il desiderio di oltrepassarlo. Qualcosa spinge l’uomo a provare, ad andare oltre, a sfidare. Pensiamo a Edipo. Scrive Recalcati: “Egli è solo un uomo. La sua ricerca della verità — come quella di tutti gli uomini — è un cammino necessariamente lento e faticoso. Egli paga la colpa del suo desiderio di sapere che non si frena di fronte a nessun limite. Se Edipo non avesse voluto sapere la verità della sua origine sarebbe rimasto padre, Re e marito. Egli non accetta la rimozione, la maschera, non si accontenta di quello che sa; vuole interrompere l'omertà borghese dell'Io, vuole andare sino in fondo”. Edipo va sino in fondo e a fondo. È nato per infrangere tutti i tabù.

La tentazione ci fa compagnia, talvolta ci accarezza, ci allieta, talaltra ci conduce alla croce. “Di questo cibo avrete caro”, dice Dante nel Canto XXII del Purgatorio e Genesi 3, 3 recita: “del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino, Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare altrimenti morirete”. Eppure l’uomo, di fronte alla proibizione, accresce in voglia e cede. E cade. E sconta la colpa.

Ma oggi, l’uomo, avverte ancora la colpa? Si sente ancora dilaniato dalla colpa? I lettini, o le poltrone, degli psicoanalisti ne avvertono sempre meno la presenza. E un uomo senza senso di colpa è un uomo che allarma. Tutto sembra essere diventato possibile, tutto consumabile, tutto vivibile, tutto godibile, tutto oltrepassabile. Ma se tutto è oltrepassabile, se il godimento è sfrenato e senza sosta, non viene meno il desiderio, la faticosa gioia di preparare l’incontro? Se tutto si risolve nella mela da addentare immediatamente e nella meta da raggiungere hic et nunc, che ne è del viaggio, della meravigliosa esperienza del viaggio? Che ne è del pensiero, se tutto diventa azione?

È un animale ferito, l’uomo. Ferito e morente, per dirla con Philip Roth. C’è sempre un “prima che sia troppo tardi” a spingerlo, a motivarlo, temendo che sia l’ultima occasione, l’ultimo treno. L’uomo è costruito per andare a vedere ciò che non può vedere, a sapere ciò che non può sapere, a toccare ciò che non può toccare, ma non è stato costruito per sopportare ciò che vede, ciò che sa e ciò che tocca. Lo scacco è l’uomo.

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