Mundus Furiosus: la nostra assurda remissività sulla questione bancaria

Carlo Torino

Al forum Bancaimpresa del Sole 24 Ore si parla di sofferenze e crisi bancaria. Nell'intimità della ragione era evidente che si fosse voluto tracciare uno scenario dei progressivi fallimenti di uno Stato che abdica al suo ruolo. Una inotllerabile cessione di sovranità su materie di rilevanza fondamentale per il benessere collettivo. Nessuno lo ha detto, ma in molti l'hanno pensato. 

Al forum “Bancaimpresa” organizzato ieri dal Sole 24 Ore a Milano, il tema delle sofferenze bancaria ha ancora una volta tenuto il campo. All’orizzonte nessuna particolare novità; e sulla questione i principali attori istituzionali rimangono profondamente divisi. Da una parte chi ritiene che il problema sia grave, certamente, ma non a tal punto da evocarne un carattere sistemico. La posizione di Banca d’Italia per intenderci. Dall’altra chi ritiene invece che sebbene la massa netta dei deteriorati sia gestibile, essa pesi in maniera determinante sulla redditività del settore, e per naturale conseguenza sulla generazione organica di capitale; primario indice di solidità patrimoniale.


Personalmente aderirei al numero di coloro i quali appoggiano quest’ultima visione. Gli attivi delle banche italiane si caratterizzano per un’eccessiva esposizione ai titoli del Tesoro, alimentando in caso di tensioni sui mercati quel nesso distruttivo tra conti pubblici e sistema bancario. Con una politica monetaria ultraespansiva si è potuto tratte grande giovamento da livelli nel costo di finanziamento degli attivi estremamente compressi; una fase congiunturale destinata ineluttabilmente a finire a mano a mano che le pressioni inflative si intensificano.
Di riflesso tenderà ad aumentare il costo per la copertura di quelle esposizioni deteriorate – che, ricordiamolo, non generano cassa per gli istituti. E' ragionevole dedurre che il regolatore europeo possa inoltre intervenire stabilendo valori di ponderazione più stringenti per questa categorie di attivi, venendo in tal modo a esercitare pressioni verso nuovi aumenti di capitale: resi sempre più ardui in uno scenario di ampliamento degli spread. L’esperienza avrebbe dovuto educarci a prevedere che le risposte della supervisione bancaria sono quasi sempre di natura prociclica: impongono cioè reperimenti di risorse patrimoniali proprio nei momenti più difficili. E la gestione di eventuali situazioni di crisi venutesi a creare, da parte delle autorità europee, risulta intollerabilmente lenta.


Si veda il caso del Monte dei Paschi: dopo sette mesi siamo ancora in attesa di un’intesa sull’ammontare della ricapitalizzazione preventiva; e un piano industriale, redatto pedissequamente con il solo scopo di ottenere quel via libera agli aiuti di Stato, insabbiato in Commissione europea. E ciò perché lo Stato si è privato del potere di intervenire sulle banche del Paese, preservando il corretto fluire del credito verso un’economia che poggia ancora su di un sistema essenzialmente bancocentrico. Questo perché lo Stato, accettando l’imposizione della normativa sul bail-in, si è privato di quei poteri che avrebbero (anni addietro) condotto alla costituzione di una bad bank pubblica, ove concentrare l’enorme massa di prestiti insolventi; rigenerando in tal modo i bilanci degli istituti di credito in maggiore difficoltà, e consentendogli di finanziare la crescita delle imprese. Questo perché lo Stato che, sulla questione, prende ordini in Europa, viene poi esso stesso ritenuto responsabile del perché non si sia potuto agire tempestivamente come hanno invece (spregiudicatamente) fatto americani, olandesi, tedeschi, irlandesi e spagnoli.


E forse il caso di rileggere le pagine, pregne di una oscura verità, del recente libro di Giulio Tremonti: Mundus Furiosus. Egli ci racconta con visione penetrante come abbiamo ceduto progressivamente sovranità sulle leve determinanti del nostro benessere economico. Come abbiamo consentito a che un universo autoreferenziale di burocrati venisse a imporci norme assurde che nei fatti delegittimano lo Stato nazionale innanzi ai suoi cittadini. Se esso non può intervenire a garanzia del benessere della sua popolazione, come può la sua classe dirigente pretendere rispetto e credibilità?