L'Affaire Boschi e l'attendibilità delle fonti

Carlo Torino

La visibile assurdità di certe tesi alquanto superficiali, lascia sorgere dubbi legittimi sul criterio selettivo applicato da chi, nel riportarle, dissimulasse forse intenzioni difformi dal puro spirito di cronaca

La questione delle presunte ingerenze da parte di Maria Elena Boschi sul caso Banca Etruria, sta assumendo un carattere francamente surreale. Che cosa avrebbe chiesto l’attuale sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio all’allora amministratore delegato del gruppo Unicredit? Di valutare una possibile acquisizione della banca aretina? La quale - come già allora di dominio pubblico – versava in condizioni patrimoniali a dir poco pencolanti. Se in ciò si esaurisce l’impianto accusatorio, occorre dir subito che non vi sono speranze che possa tener banco.

E la ragione risiede nel fatto che su questa base bisognerebbe delegittimare l’intera dirigenza della Banca d’Italia, della Bce, nonché delle autorità di vigilanza e supervisione comunitarie, che pure indirizzavano verso soluzioni di questo tipo.
Si potrebbe a ragion veduta opporre che tali istituzioni sono “indipendenti” dal Governo, e svolgono funzioni di natura regolamentare; e con ciò stesso dunque legittimate a esercitare le dovute pressioni. La politica, secondo questa impostazione di pensiero, dovrebbe rimanere fuori da tali questioni e lasciare alle libere forze di mercato di trovare un loro equilibrio naturale.

Sebbene seducente, da un punto di vista squisitamente filosofico, la debolezza di questa tesi è evidente; in quanto essa equivarrebbe all’abdicazione delle responsabilità della politica innanzi alle conseguenze sociali che il fallimento tout-court di un istituto di credito possa ingenerare e per i risparmiatori, e per il tessuto produttivo locale. E’ questo il ragionamento che ha portato l’autorità di supervisione Europea - di impostazione ideale fortemente liberoscambista – a legittimare in taluni casi l’intervento dello Stato nel capitale di banche in dissesto.


Dunque la questione di Banca Etruria andrebbe posta su un piano radicalmente differente dalla strumentalizzazione macabra dei Cinque Stelle; peraltro prive di qualsiasi presupposto documentale, e destinate presto a svanire. Se una rappresentante del Governo chiede a un banchiere di valutare l’acquisizione di un istituto in crisi, in quanto comprensibilmente preoccupata delle possibili ricadute sociali (difficile ritenerle sistemiche nella fattispecie); non dobbiamo con ciò inorridire e gridare allo scandalo. Lo stesso de Bortoli ha dichiarato di non trovarvi alcunché di strano in una per così dire naturale dialettica verticistica.


E risulta inoltre inverosimile poter credere che la sottosegretaria si fosse in quell’occasione profusa nel suggerire specifiche soluzioni tecniche al problema: notevolmente complesso. La verità vera è un’altra: e cioè che le condizioni patrimoniali della banca versavano in condizioni di assoluta devastazione: con un’incidenza delle sofferenze sul totale degli attivi ben oltre il quaranta per cento; tassi di copertura minimi, e un’eccedenza di titoli di Stato Italiani – conseguenza evidente dell’utilizzo irresponsabile del programma Ltro concesso dalla Bce.


Ma torniamo dunque al punto iniziale: che cosa avrebbe chiesto Maria Elena Boschi a Federico Ghizzoni? Di valutare possibili soluzioni di intervento? E per giunta in tono informale, tant’è vero che non vi fu un seguito concreto. Sarebbero queste le “pressioni” del Governo? Se cosi’ fosse verrebbe fatto di concludere che o l’esecutivo non godeva affatto di qualsivoglia capacita’ di influenza (ipotesi dubbia); o che le doti personali di persuasione dell’allora Ministra fossero alquanto scarse; qualora - s’intende - la richiesta avesse avuto un concepibile fondamento tecnico. Per conseguenza si inclinerebbe a ritenere che la conversazione avesse assunto toni per dir cosi’ esplorativi, e che Unicredit si sia limitata a mostrarsi disponibile a valutare l’opzione di un’acquisizione diretta – che si sapeva essere del tutto irragionevole - essenzialmente per non dispiacere al Governo; lasciando poi che la cosa morisse col tempo.


Altra natura assumerebbe invece la questione qualora la Ministra avesse chiesto espressamente a Ghizzoni di patrimonializzare Etruria senza una preventiva svalutazione delle sofferenze. Fattispecie che avrebbe ineluttabilmente condotto Unicredit a registrare una maxi-perdita nell’eventuale investimento, lasciando in tal modo che le responsabilità della gestione aretina venissero celate. Ipotesi, questa, del tutto illogica. Non si capirebbe infatti quale istinto di autodistruzione possa muovere un ministro della Repubblica a propugnare una causa cosi’ ridicolmente irragionevole; la Boschi null’altro ne avrebbe tratto se non infondere nel suo interlocutore la convinzione della sua scarsa competenza.


Il fatto inoltre che de Bortoli non dubiti minimamente dell’attendibilità delle sue fonti, ci pone naturaliter nella posizione di domandargli per quale motivo quelle stesse fonti non l’abbiano informato a tempo debito circa la gestione piratesca di numerosi istituti di credito minori – non solo di Banca Etruria. E come mai, nella sua posizione, egli non abbia reso edotta di questi fatti la pubblica opinione. Avrebbe con i suoi buoni uffici di grande giornalista - come amiamo ricordarlo - risparmiato ai contribuenti qualcosa come venti miliardi di Euro. La parola e’ sacra; e le parole sono pietre. A chi dunque l'onere della prova?