Wikileaks consigliava il clan Trump. Quando le “forze antisistema” fanno Sistema

Daniele Raineri

Hacker e disinformazia. Così gli strateghi della destabilizzazione giocano tutti dalla stessa parte

Roma. Tout se tient. La giornalista Julia Ioffe sulla rivista americana Atlantic svela che il sito Wikileaks durante la campagna elettorale mandava messaggi a Donald Trump Jr per consigliarlo e spingerlo e proporgli nuovi pezzi della guerra d’informazione contro Hillary Clinton e questo dimostra ancora una volta che, appunto, tutto si tiene. 

 

La Ioffe ha letto i messaggi grazie all’inchiesta congressuale sulle ingerenze russe, e Trump jr ha subito reagito mettendo le immagini delle conversazioni (poche) su Twitter, visibili a chiunque, in modo da minimizzare (secondo la regola che se esponi per primo i panni sporchi sembrano meno sporchi). Sarebbe facile rubricare anche questa rivelazione come un episodio isolato, il figlio facilone del magnate newyorchese che si fa manipolare durante la contesa politica americana più importante. Ma qui siamo oltre, siamo all’ennesima epifania del Sistema, e Donald Jr e Wikileaks che si scambiano messaggi privati su Twitter per colpire meglio gli avversari del momento sono manifestazioni dello stesso fenomeno che sta curvando, o che tenta di curvare, il corso delle cose. La commentatrice Anne Applebaum aveva detto nel 2015 che “Siamo a quattro voti soltanto di distanza dalla fine dell’occidente come lo conosciamo: Brexit, presidenziali americane, elezioni in Francia ed elezioni in Germania”. Le prime due sono andate come sono andate, le altre – grazie ad ambienti meno vulnerabili, o forse grazie al fatto che ormai si cominciava a sospettare il trucco – invece no e quindi per ora viviamo in questo stato di sospensione. Ma servirebbe comprendere che, appunto, tout se tient, secondo una matrice che settimana dopo settimana diventa sempre meglio decifrabile. Gli hacker russi riescono a entrare nella posta elettronica del Partito democratico. Il sito Wikileaks collabora facendo da cassa di risonanza perfetta. Quando serve, scrive al figlio di Donald Trump per consigliare le mosse giuste da fare. Wikileaks chiede a Trump Jr di dare risalto al fatto che il sito ha appena messo online le mail di John Podesta, capo della campagna di Clinton, e un quarto d’ora dopo Donald Senior scrive su Twitter: “I media disonesti non stanno rilanciando questa notizia! E’ un sistema truccato!”. Non è un raccontino di bassa politica, è la rappresentazione plastica della “weaponization” – pardon per l’orribile parola inglese, ma rende bene il concetto – dell’informazione in questi anni di news rapidissime.

 

Il secondo punto che ancora fatichiamo a comprendere è che i bersagli di questo sistema sono tutti più o meno isolati, non si coordinano fra loro, non fanno squadra. La campagna del Remain in Gran Bretagna non agiva di concerto con Angela Merkel in Germania o gli anti lepenisti in Francia, non si raccordava con altri in altri paesi, non studiava un piano comune. Gli strateghi della destabilizzazione invece giocano tutti dalla stessa parte, ciascuno ha la propria convenienza particolare ma l’esecuzione è sinfonica: la campagna di disinformazione da parte del governo russo, il sito della trasparenza molto selettiva Wikileaks (mai fughe di notizie a proposito di Donald Trump, sempre e soltanto a danno dei suoi rivali), la campagna elettorale vittoriosa di Trump nel 2016, e prima ancora quella altrettanto di successo per la Brexit in Gran Bretagna, le cento versioni false sulle armi chimiche avanzate usate in Siria, e prima le cento versioni false sull’abbattimento del volo Mh17 in Ucraina, sono tutte manifestazioni diverse dello stesso fenomeno, la decisione deliberata di giocare sporco per buttare giù un mondo che si credeva solidissimo e invece era molto vulnerabile. E chissà per quanto ci porteremo dietro questo carico di disinformazione: non è un caso che i più vulnerabili, quelli che credono alle bufale antivacciniste tanto per citare un insieme preciso, siano anche i consumatori maggiori dei soliti canali di propaganda politica.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)