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Meno tasse per l'Isis

Daniele Raineri

I sussidi sociali non fanno cambiare idea ai simpatizzanti dello Stato islamico che vivono tra noi

Roma. L’attacco di Manhattan propone per l’ennesima volta due problemi rimasti insoluti e che però sono legati assieme. Il primo è che i paesi occidentali ancora non sanno che fare con i simpatizzanti dello Stato islamico che vivono nelle loro città e possono diventare letali da un momento all’altro ma si comportano in modo abbastanza neutro da sfuggire alle misure di sicurezza. Il secondo è che c’è una cattiva interpretazione delle ragioni per cui i simpatizzanti dello Stato islamico stanno dalla parte dello Stato islamico. Andiamo con ordine. I giornali inglesi in questi giorni raccontano che il governo – conservatore e di destra – sta lavorando a un piano chiamato “Operazione contenimento” per neutralizzare in modo benevolo tutti gli estremisti che vivono in Gran Bretagna e che secondo i servizi segreti inglesi sono circa ventimila. Tra questi ci sono anche i 425 tra uomini, donne e bambini tornati dalla guerra in Iraq e Siria. Il punto di partenza è che non tutti gli estremisti possono essere eliminati sul campo di battaglia, non tutti possono essere sorvegliati dai servizi segreti oppure imprigionati – e anche quando lo sono il problema non è risolto, perché le celle possono diventare centri di conversione e proselitismo. Per esempio, uno dei due assassini del soldato Lee Rigby a Londra sta convertendo all’islam alcuni compagni di carcere.

 

Il programma britannico, che dovrebbe partire l’anno prossimo, prevede tutta una serie di misure per favorire il reintegro degli estremisti nella società e la collaborazione tra polizia, intelligence, assistenti sociali e psichiatri. L’idea di fondo è che se i simpatizzanti avessero una vita più facile, tornerebbero più facilmente al contratto sociale, quello per cui salire su un vagone della metro con una bomba è male. Una serie di controlli a intervalli regolari dovrebbe assicurare un certo grado di sorveglianza sui soggetti sottoposti alla de-radicalizzazione. Il problema è che questa base teorica porta a risultati mostruosi. Per esempio una delle misure del programma è l’avanzamento nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari. In teoria, se hai un comportamento da simpatizzante del terrorismo – per esempio celebri su Facebook una strage dello Stato islamico – potresti scalare la graduatoria più velocemente degli altri richiedenti. Facile immaginare la reazione pubblica in questo caso.

 

Il secondo problema è il radicale fraintendimento delle motivazioni dei simpatizzanti. Lo Stato islamico non è un movimento guidato da ragioni di protesta sociale, è un gruppo combattente guidato da un messaggio religioso e profetico che risuona a prescindere dalle condizioni di chi ascolta. Le ragioni per cui lo Stato islamico è dilagato nell’Iraq centrale in questi anni non era l’assegnazione di case migliori o la necessità di assistenza sanitaria gratuita, ma stabilire il primato dell’islam sunnita – come inteso da loro – e l’uccisione o la sottomissione dei gruppi religiosi diversi. Concedere borse di studio, assistenza medica, alloggi popolari non cambia i termini della questione. Per esempio, pochi sanno che gli ideologi dello Stato islamico assegnano ai diversi gruppi che abitano il mondo ruoli diversi: gli infedeli hanno il compito di creare nuova tecnologia utile, i musulmani devono combattere a maggior gloria di Dio, come se ci fosse una “razza padrona” e una “razza schiava” (ma qui non si parla di razze, ovviamente, si parla di religione). Se questa è la linea, è tutto da dimostrare che dei benefici materiali possano neutralizzare la pericolosità dei simpatizzanti. La controprova è in un pezzo uscito sabato scorso sul quotidiano francese Le Figaro, che racconta come il 20 per cento dei combattenti francesi andati a combattere in Siria e in Iraq ha continuato a ricevere i soldi dei sussidi sociali. Le famiglie si presentavano alla cassa con i loro documenti e poi glieli spedivano attraverso intermediari, di solito in Turchia. Gli investigatori francesi dicono che almeno mezzo milione di euro è partito dalla Francia verso le zone di combattimento tra la metà del 2012 e la metà del 2017. Per ora hanno identificato 190 mittenti e più di 210 intermediari turchi e libanesi. Il rischio è quello di replicare il caso di Amedy Coulibaly, l’attentatore che prese in ostaggio un negozio kosher a Parigi nel gennaio 2015 e che era riuscito a pagarsi l’acquisto delle armi con i sussidi sociali. Il meccanismo spiegato dal Figaro suona come un ammonimento: gli uomini dello Stato islamico possono semplicemente prendere i benefit sociali elargiti dal welfare occidentale senza per questo cambiare profilo ideologico. Sayfullo Saipov, l’uomo che due giorni fa ha ucciso otto persone a Manhattan in nome dello Stato islamico, lavorava negli Stati Uniti dal 2010, aveva ottenuto una carta verde, parlava inglese e non parlava arabo – che è la lingua ufficiale dello Stato islamico – ma lo stesso è diventato un estremista.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)