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C'è una valle in Catalogna che non ne vuole sapere di indipendenza

Maurizio Stefanini

Se voi vi staccate dalla Spagna, noi ci stacchiamo da voi, dicono ad Aran, dove si parla occitano e tutti si sentono mezzi francesi

Roma. “Barcellona ladrona! Se la Catalogna se ne va dalla Spagna, noi ce ne andiamo dalla Catalogna!”. Il grido risuona nella Valle di Aran: 11.000 abitanti su una superficie da 633,60 chilometri quadrati. Con il 20,4 per cento appena di affluenza al referendum indipendentista del 9 novembre 2014 e il 24,44 a quello dello scorso primo ottobre, è la zona meno indipendentista di tutta la regione.

 

Composta da nove comuni e inclusa nella Provincia di Lleida, la Comarca è retta da un Conselh Generau d’Aran con in testa un Sindic: definizioni non in spagnolo e neanche in catalano ma in occitano, perché è quella la lingua ancestrale della Valle, anche se ormai lo spagnolo è diventata la più parlata. Con tutti gli sforzi che a Barcellona fanno per promuoverlo, il catalano è solo al terzo posto per uso. Proprio questa è una delle principali lagnanze degli aranesi verso la Generalitat. E’ vero che il dialetto aranese è riconosciuto come terza lingua ufficiale della Catalogna e quinta della Spagna. E’ vero che anche in aranese erano scritte le schede del referendum: spiegava già Dante che l’occitano è la “lingua d'oc”, e infatti c'erano le opzioni òc/non accanto al sí/no che accomuna spagnolo e catalano. Ma secondo i valligiani, “lo stanziamento di Barcellona per tutelare l’aranese è solo di 60.000 euro”: una miseria, rispetto ai milioni che sono invece spesi per sostenere la stampa catalana, e perfino per promuovere il catalano nella Comunità Autonomica di Valencia.

 

La Unidad de Arán, principale partito locale di opposizione, dice anche che “dal 2011 abbiamo l’autogoverno congelato. Ci devono 8 milioni di euro arretrati, il bilancio del Conselh si è ridotto del 10 per cento mentre quello della Generalitat è salito del 4 per cento solo nel corso del 2017”. Il bello è che a queste proteste così simili a quelle di Barcellona contro Madrid le rispose che arrivano sono spesso sorprendentemente simili a quelle che Madrid dà a Barcellona. “Volete separarvi? Cominciate col restituire i soldi che vi abbiamo dato!”, gridò nel 2009 la pasionaria dell'indipendentismo catalano ed ex deputata Pilar Rahola a un giovane aranese. Nella Valle rispondono che siccome hanno un reddito pro capite più alto che nel resto della Catalogna, semmai sono loro che con le loro tasse finanziano gli sciali altrui.

 

Unica area della Catalogna al di là dello spartiacque dei Pirenei, oltre che per la lingua anche per la geografia Aran è più vicina alla Francia del sud che al resto della Catalogna. Fino a XX secolo inoltrato d’inverno si doveva passare per la Francia per arrivarci, e di questo tra il 19 e il 27 ottobre 1944 approfittò un gruppo di repubblicani spagnoli esuli che avevano combattuto nel Maquis francese per tentare di rovesciare Franco iniziando appunto per l’invasione di Aran: una storia che Almudena Grandes ha raccontato nel romanzo “Inés e l’allegria”. Tuttora per le emergenze mediche e per l’istruzione superiore gli aranesi fanno affidamento sopratutto su Tolosa. D’altra parte anche le comunicazioni terrestri lato spagnolo sono più agevoli attraverso l’Aragona, e la principale risorsa della Valle è un’industria turistica che ruota attorno a una stazione sciistica frequentatissima dalla buona società di Madrid, a partire dai reali, e anche da baschi e valenzani; ma invece in gran parte ignorata dai catalani.

 

Dal 2015 una legge riconosce però ad Aran un’autonomia speciale, compreso il “diritto del popolo aranese di decidere del proprio futuro”. Carta canta, e il Conselh è stato convocato appunto per prendere una decisione. Tra le opzioni un referendum locale, il passaggio all’Aragona, diventare una Comunità Autonomica spagnola per conto proprio, addirittura un’indipendenza stile Andorra. Insomma: tutto, pur di non entrare nella Repubblica catalana di Puigdemont.