Foto LaPresse/Reuters

Le feluche studiano manuali di cremlinologia per interpretare Trump

Giulia Pompili

In Asia (ma non solo) i diplomatici cercano elementi per capire se si andrà alla guerra con Kim Jong-un oppure no

Roma. Nel novembre del 1984, quando il potentissimo ministro della Difesa di Breznev, Dmitrij Ustinov, non si fece vedere alla annuale parata militare nella Piazza Rossa, si cominciò a parlare di una sua possibile epurazione. Il 21 dicembre dello stesso anno due giornalisti britannici, corrispondenti da Mosca, avevano raggiunto il luogo dove avrebbe dovuto tenersi un famoso evento di scacchi, ma il torneo era stato cancellato e domandarono spiegazioni alla donna che stava lavando il pavimento del locale. Lei rispose che la sala serviva per le esequie del compagno Ustinov, deceduto il giorno prima per via di una polmonite contratta alla fine di ottobre. I due, successivamente, citarono la fonte anonima come quella di un “ufficiale sovietico”. L’episodio lo racconta il giornalista Patrick Cockburn nel libro del 1989 “Getting Russia Wrong: The End of Kremlinology”, e mostra come all’inizio degli anni Ottanta la segretezza fosse un’ossessione per i sovietici. Giornalisti, diplomatici, analisti e spie erano costretti a ricorrere a qualunque metodo per avere informazioni e interpretare mosse e strategie di Mosca. La cremlinologia – l’arte di studiare e decifrare ogni parola e immagine, anche la più insignificante, dell’ex Unione sovietica – fu poi abbandonata con le aperture di Mikhail Gorbachev, ma si usa ancora oggi per trarre informazioni dalla Corea del nord. E’ impossibile, infatti, fidarsi delle dichiarazioni ufficiali di Pyongyang, tra bluff, propaganda e montature, e gli analisti si avvalgono ancora dei vecchi metodi: chi siede alla destra di Kim Jong-un? Chi è stato promosso? Chi è sparito dalle fotografie ufficiali? E poi la decrittazione maniacale di ogni discorso pubblico, in originale e tradotto (il famoso “dotard” detto contro Trump). Non sempre ci si azzecca: spiega Cockburn che c’è sempre un 5 per cento di imprevedibilità o di interpretazioni sbagliate, e ne abbiamo avuto un esempio quando i servizi segreti non riuscirono a sapere per tempo della morte di Kim Jong-il, ma aspettavano che la Corea del nord collassasse. Giappone e Corea del sud sono abituati a usare la cremlinologia. Ma mai avrebbero pensato di dover usare lo stesso metodo con la Casa Bianca.

  

Otto mesi dopo l’arrivo dell’Amministrazione di Donald Trump, le ambasciate straniere a Washington non sono ancora in grado di capire se sono i tweet o il dipartimento di stato a fare la politica estera trumpiana. In generale, spesso gli Stati Uniti mandano segnali contrastanti e contraddittori, e questo rende difficile il lavoro anche per i paesi alleati. Il Washington Post ha raccontato lo sconforto dei diplomatici, costretti a rispolverare “una specie di cremlinologia”, interpretando le facce dei presenti e chiedendo ai collaboratori di Trump. E lo si vede soprattutto in Asia, dove la crisi nordcoreana e il nuovo linguaggio usato da Trump sono fonte di preoccupazioni serie. Per esempio, i giornali giapponesi hanno dato molta importanza alla frase pronunciata nella stanza ovale durante l’incontro con i generali: “Questa forse è la calma prima della tempesta”. Che potrebbe voler dire nulla, oppure tutto. Solo che a forza di interpretare, si finiscono per dare informazioni fuorvianti. Ieri il ministro della Difesa giapponese, Itsunori Onodera, parlando con i giornalisti ha detto: “Penso che Trump giudicherà a metà novembre” se davvero il dialogo porterà a dei risultati con la Corea del nord, altrimenti “è possibile che l’America prenda misure severe”. E’ finita con qualcuno che parlava di un attacco preventivo il 15 novembre. Ma forse non voleva dire nulla.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.