Il Rosario polacco più che all'islam manda messaggi alla vecchia Europa

Matteo Matzuzzi

Tra neo-costantinismo e presunte guerricciole al papa

Roma. Non era una marcia contro l’islam quella che sabato ha portato decine di migliaia di polacchi, forse anche un milione – le stime precise sono impossibili – , a pregare il Rosario lungo i 3.500 chilometri che fanno da confine al paese. L’iniziativa, partita dai laici, è stata poi appoggiata dalla Conferenza episcopale locale e basterebbe riascoltare le parole pronunciate dall’arcivescovo di Cracovia, mons. Marek Jedraszewski, durante la messa che ha aperto l’evento, per capire che l’intento era un altro da quello passato nella vulgata mediatica collettiva: “Preghiamo per le altre nazioni d’Europa e del mondo per capire che abbiamo bisogno di tornare alle radici cristiane della cultura europea se vogliamo che l’Europa rimanga Europa”.

 

Certo, c’erano anche gli xenofobi, quelli che temono l’invasione da sud e – soprattutto – da est. Ma qui c’entra di più la storia, che ha fatto della Polonia terra di conquista per secoli, squartata a più riprese come un cavallo al macello. Ma c’erano anche i marinai che al largo di Danzica fermavano le proprie imbarcazioni e si mettevano a pregare, armati solo di coroncina. “Noi vogliamo pregare per la pace e per la nostra salvezza. Ciascuno è qui con una motivazione diversa”, ha detto all’Associated Press una partecipante all’evento, peraltro trasmesso da Radio Maria dal primo all’ultimo istante. Fatto che, come altre volte accaduto in Polonia, ha fatto gridare allo scandalo, all’affermazione di un neocostantinismo alla periferia dell’Unione europea, con la sovrapposizione di politico e religioso, senza barriere o limiti. Neocostantinismo che, tra l’altro, è quanto di più lontano possa esserci dalla missione pastorale di Papa Francesco, che fin dall’insediamento ha mostrato idiosincrasia con tutto ciò che possa in qualche modo ricondurre il papato ai fasti del potere temporale.

 

E però che un milione di cattolici organizzi una catena umana di preghiera per il destino dell’Europa è un fatto che non può essere ridotto a espressione d’un fanatismo retrogrado. Specie in tempi come questi di secolarizzazione incalzante e così lontani da quella “Europa delle cattedrali” che tanto spazio aveva nel progetto fondativo di Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi. Un evento che, poi, non può essere ignorato se un intero episcopato si è messo in testa all’iniziativa, aprendo le chiese, invitando i parrocchiani a recarsi ai confini e facendo suonare a festa le campane. Qualche osservatore ha parlato di ennesimo capitolo d’una guerra mai dichiarata al Papa, che affonda le radici nel Sinodo sulla famiglia, con i vescovi polacchi in prima linea nell’opporsi a ogni novità in tema di morale sessuale, ribadendo a più riprese che loro difendevano il magistero del connazionale Karol Wojtyla. Altri, più banalmente, hanno definito la giornata di preghiera una mobilitazione contro l’accoglienza dello straniero. Gli organizzatori inorridiscono e ricordano che la loro unica “arma” è la corona del Rosario, sgranata nei giorni che precedono l’anniversario dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima, il 13 ottobre: “Crediamo – dicevano alla vigilia – che se il Rosario venisse recitato da un milione di polacchi lungo il confine del paese, potrebbe cambiare non solo il corso degli eventi, ma anche aprire il cuore dei cittadini alla grazia di Dio. Cent’anni fa Maria ha affidato ai tre bambini portoghesi un messaggio di salvezza: pentitevi e offrite riparazioni per i peccati contro il mio cuore e recitate il Rosario”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.