Manifestanti a Barcellona (Foto LaPresse)

The day after. I conti con la realtà economica di cui i separatisti catalani non parlano

Daniele Raineri

Dazi doganali, rischi per l'occupazione e gli investimenti, una contrazione del pil locale che potrebbe arrivare fino al 30 per cento. E poi l'iter per essere riammessi in Ue, che ripartirebbe da zero

Roma. Poniamo che la Catalogna ottenga la separazione dalla Spagna, grazie a un referendum che dal punto di vista della legge è stato un atto eversivo e con valore nullo. A partire da quel momento la regione sarebbe fuori dall’Unione europea e comincerebbero i primi guai. I catalani separati non vogliono stare fuori dall’Unione per tutta una serie di vantaggi e quindi dovrebbero far partire da zero (da fuoriusciti) l’iter per chiedere l’adesione, come altri paesi – per esempio l’Albania e la Serbia – ma l’ammissione richiederebbe il voto unanime di tutti i paesi membri ed è assai probabile che la Spagna si opporrebbe. I catalani non hanno una risposta precisa a questo problema inaggirabile e dicono che Bruxelles alla fine non potrà lasciare fuori una repubblica indipendente che conta circa sette milioni di abitanti, ma è abbastanza chiaro che l’Unione europea tende a scoraggiare e a trattare con durezza queste iniziative distruttrici – esattamente come sta facendo con il Regno Unito che nel giugno 2016 scelse la Brexit, però con un referendum vero – perché non vuole che gli stati si frantumino in uno sciame di staterelli. Quindi è possibile che la nuova repubblica catalana resterebbe per un periodo di tempo indeterminato fuori dall’Unione europea. Il che porta conseguenze economiche serie.

 

Senza accesso al mercato comune, spostare le merci costa di più perché alle frontiere si pagano i dazi, che sono previsti dalle leggi, e questo vuol dire che rispetto a prima i beni che arrivano dall’estero costano di più e i beni che vanno all’estero devono essere venduti a un prezzo inferiore per essere competitivi. I dazi non sono inevitabili, ma è chiaro che la Spagna abbandonata sarebbe il primo partner commerciale ed è possibile che non offrirebbe condizioni di favore. Secondo i dati di Cnbc, almeno il 30 per cento delle esportazione catalane sarebbero dirette naturalmente verso la Spagna: in questo caso i dazi colpirebbero un mercato enorme, con possibili ricadute sull’occupazione. Vengono anche meno tutta una serie di garanzie e di protezioni finanziarie di cui non ci accorgiamo mai perché siamo troppo occupati a pensare all’Europa come a una matrigna, ma che aiutano a tenere lontana la pressione degli speculatori. Inoltre c’è da contare che l’incertezza scoraggia gli investimenti da fuori – perché i rischi sono più alti al di fuori di un sistema stabile. Per non parlare dell’accesso ai fondi europei, per esempio quelli dedicati alla ricerca. Sul breve termine ci sarebbero da pagare dei costi, di cui però si sente parlare pochissimo in queste giornate molto riempite dalla brutalità poliziesca di Madrid.

 

I separatisti sostengono che la Catalogna è svantaggiata perché attraverso il prelievo fiscale i catalani consegnano al governo centrale spagnolo più soldi di quanti poi ne ottengono indietro sotto forma di servizi, in pratica pagano troppo. Ma se i catalani si staccheranno da un sistema così organico e interconnesso come è l’economia europea, soffriranno una perdita economica che sarà più grave. Secondo i dati dell’istituto italiano Iai (Istituto Affari Internazionali), oggi i catalani in media pagano duecentoventi euro in più ogni anno rispetto a quanto ricevono (che è una cifra molto bassa e normalissima in tutti gli stati avanzati, dove è pacifico che ci siano zone leggermente più sviluppate e zone leggermente in ritardo), ma secondo il ministro dell’Economia spagnolo con la separazione rischiano una contrazione del pil locale che potrebbe arrivare fino al 30 per cento. Se anche fosse una stima da correggere al ribasso, sarebbe comunque un risveglio molto brusco, considerando che intanto la Spagna è in ripresa e negli ultimi due anni ha registrato una crescita del pil superiore al tre per cento (da quanti anni in Italia non si cresce sopra al tre per cento?).

 

Una repubblica catalana fuori dall’Europa sarebbe anche fuori dall’euro, con tutti i problemi che ne derivano, a partire dalla prima scelta che toccherebbe fare: usare un’altra moneta e rischiare un’inflazione molto brusca oppure usare l’euro dall’esterno, quindi senza nessun titolo per negoziare a Bruxelles? Ma allora in questa seconda ipotesi tanto valeva restare nella Spagna e non essere privati della sovranità monetaria.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)