Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Così le mosse di Macron svelano i suoi timori verso l'Italia

Alessandro Orsini*

Il presidente francese si è mosso per contenerci e in parte danneggiarci. In Libia, dopo avere rafforzato Haftar, ora Parigi vorrebbe le elezioni politiche. Ma qualunque sarà l’esito il paese rimarrà diviso

È lecito domandarsi se Macron sia amico dell’Italia ed, eventualmente, in quale misura. Gli italiani sono abituati a concepirsi come un piccolo paese, ma, se osserviamo le mosse del presidente francese per contenere l’Italia, scopriamo che siamo temuti come una grande potenza. La prima mossa di Macron è la più nota: ha cercato di danneggiare gli interessi dell’Italia, impedendo a Fincantieri di acquisire il controllo dei cantieri navali francesi di Saint-Nazaire, che ha nazionalizzato. La disputa è ancora aperta. Mercoledì 27 settembre, a Lione, Macron incontrerà Gentiloni per valutare come ricomporre la questione.

La seconda area in cui la Francia opera per contenere l’Italia è la Libia che continua a essere divisa tra due governi rivali, quello di Tripoli, il cui premier è al Serraj, e quello di Tobruk, il cui uomo forte è il generale Haftar. Il governo di Tripoli è l’unico ad essere internazionalmente riconosciuto, essendo nato con l’appoggio di Nato, Unione Europea e Stati Uniti durante la presidenza Obama. Con un gruppo di sostenitori così influenti, il governo di Tripoli avrebbe dovuto fare passi da gigante per acquisire il controllo della Libia. Eppure, si è verificato il fenomeno opposto. Il governo che ha fatto più progressi è stato quello di Tobruk. Per comprendere come sia stato possibile, occorre sapere che l’Unione Europea, anche quando assume una posizione comune, non opera in modo compatto perché è molto divisa politicamente. Queste divisioni tra i paesi europei balzano agli occhi quando si tratta di flussi migratori, ma sono molto più difficili da individuare quando si tratta di politica estera, che è materia complessa e, assai spesso, nascosta.

 

La Francia, pur facendo parte dell’Unione Europea, ha scelto, sin da subito, di appoggiare il governo di Tobruk nel tentativo di guadagnare posizioni in Libia a discapito dell’Italia. Nella fase iniziale, l’appoggio al governo di Tobruk era nascosto giacché la Francia non voleva operare apertamente in contrasto con le decisioni di Unione Europea, Nato e Stati Uniti. Tuttavia, lo strappo è diventato di dominio pubblico il 20 luglio 2016, quando tre soldati francesi sono morti dopo essere precipitati con un elicottero nei pressi di Bengasi, una città della Libia che, all’epoca dei fatti, il generale Haftar stava cercando di liberare dalle milizie islamiste. La caduta di quell’elicottero è stata una sciagura per l’Italia. Hollande fu costretto a rilasciare la seguente dichiarazione, con la quale riconosceva, di fatto, la violazione degli accordi internazionali: “I nostri soldati sono stati uccisi durante pericolose operazioni di intelligence”. Il governo di Tripoli, presa coscienza dell’appoggio francese al governo di Tobruk, andò su tutte le furie e accusò Hollande di avere violato la sovranità nazionale della Libia. Poche ore dopo, il portavoce del ministro della difesa francese, Stephane Le Foll, rendeva ufficiale che la Francia aveva inviato forze speciali in Libia con un ruolo combattente. Detto più semplicemente, i soldati francesi stavano combattendo al fianco di Haftar.

 

L’ammissione del governo francese fu un male per l’Italia perché, a partire da quel momento, la Francia ha iniziato a operare apertamente in favore di Haftar e questo ha reso più spedite ed efficaci le sue manovre politiche. Vi è, infatti, una differenza sostanziale tra le manovre strategiche nascoste e quelle manifeste. Qualunque governo si muova in segreto deve camminare di soppiatto e questo rallenta il passo e limita i movimenti. Una volta precipitato l’elicottero, la Francia è venuta alla scoperto e ha potuto procedere speditamente con il suo piano che consiste nel fornire una legittimazione internazionale ad Haftar.

 

Macron, in linea di continuità con Hollande, ha così invitato Haftar a Parigi per partecipare a un meeting con al Serraj, il 25 luglio 2017. L’Italia, non invitata, ha espresso il suo disappunto attraverso un comunicato del ministro degli esteri, Angelino Alfano. E così le esclusioni per l’Italia sono diventate due. La prima ha riguardato il meeting di Parigi e la seconda Fincantieri.
Fino alla presidenza di Obama, l’Italia si trovava in una posizione di vantaggio strategica poiché Obama aveva conferito all’Italia il compito di guidare la transizione in Libia per conto del blocco occidentale. Hollande, che ambiva ad assumere il ruolo dell’Italia nella transizione libica, era ormai alla fine del suo mandato e non aveva né la forza politica, né il tempo per contrapporsi a Obama.

 

Con l’ascesa di Trump, e l’elezione di Macron, la posizione dell’Italia è diventata più debole. Macron è un leader giovane e determinato, il quale, privo delle cautele di politici più esperti e attempati, non ha timori di condurre affondi politici contro l’Italia. Trump, dal canto suo, ha annunciato di avere una linea politica verso la Libia diversa da quella di Obama. Tale linea, ribadita anche dal segretario di Stato Rex Tillerson, si riassume nella parola: disimpegno. In sintesi, Trump, avendo altre priorità internazionali, come Siria, Corea del Nord, Cina e Russia, vorrebbe che i paesi europei gestissero la questione libica coinvolgendo il meno possibile gli Stati Uniti. Al termine di un incontro tra Trump e Macron, avvenuto a Parigi il 13 luglio 2017 per celebrare la festa nazionale della Francia, che coincide con il giorno della presa della Bastiglia, ovvero il 14 luglio, la Casa Bianca ha pubblicato sul proprio sito il testo integrale dei discorsi dei due capi di Stato. Macron ha voluto precisare che: “Il presidente Trump ed io condividiamo le stesse intenzioni riguardo alla Libia” e ha poi aggiunto: “Sulla Libia e sul Sahel, credo di poter dire che abbiamo la stessa visione”. Macron, dopo avere rafforzato Haftar, vorrebbe che le elezioni politiche in Libia si celebrassero nel 2018. Una cosa è certa: qualunque sarà l’esito di quelle elezioni, la Libia rimarrà divisa perché, essendo un paese debolissimo, è completamente soggetto alle spinte dei paesi stranieri che, come appare evidente, si muovono in direzioni opposte.

 

*Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS