Com'è che i troll russi inneggiano all'indipendenza del Texas sul web

Eugenio Cau

Tra le pagine chiuse da Facebook perché gestite dalla propaganda russa ce n'erano alcune con obiettivo di destabilizzazione

Roma. La caduta in disgrazia politica della Silicon Valley – iniziata dopo le elezioni americane e culminata in questi giorni con le voci che una coalizione bipartisan vorrebbe trascinare Facebook davanti al Congresso per il suo ruolo nelle ingerenze politiche russe durante la campagna elettorale – si è concentrata soprattutto su elementi di propaganda. Ads contro un candidato (praticamente sempre Clinton) e a favore di un altro (praticamente sempre Trump), tentativi di sobillare proteste politiche, account fasulli che propalano meme. Questa è la propaganda più immediata, ma è interessante notare come le attività russe si siano spinte oltre. Come già succede in Europa, la Russia è accusata di portare avanti strategie di destabilizzazione più raffinate, che coinvolgono per esempio i movimenti secessionisti americani.

 

E’ già stato ampiamente riconosciuto, per esempio, il collegamento tra il movimento Calexit, che voleva la secessione della California dagli Stati Uniti, e l’Anti-Globalization Movement of Russia, associazione finanziata da Mosca. Come il nostro Matteo Salvini, il fondatore di Calexit ha visitato più volte Mosca, con annessi selfie sulla Piazza Rossa, e ha perfino dichiarato di voler aprire un’ambasciata dello stato indipendente della California nella capitale russa. Meno conosciuto è il ruolo della Russia nei movimenti indipendentisti del Texas. Come con Calexit, le stesse associazioni vicine al Cremlino coltivano rapporti con i rappresentanti del Texas Nationalist Movement – e qui entra in gioco Facebook.

 

Il giornalista Casey Michel, in un articolo pubblicato su Medium pochi giorni fa, ha raccontato la storia di “Heart of Texas”, una pagina Facebook che al momento della sua massima popolarità aveva 225 mila iscritti e propagandava contenuti secessionisti facendo leva sul patriottismo texano e sui suoi simboli più celebri: gli stivaloni da cowboy, i cappelli a falde larghe, la difesa del Secondo emendamento e dell’uso di armi da fuoco, più citazioni celebri o riscritte di vari Padri fondatori. I meme accumulati in due anni di attività alternano frasi di orgoglio texano a slogan secessionisti: “Il Texas ce la può fare senza l’America ma l’America non ce la può fare senza il Texas”, oppure: “Texas, one state still under God”. Ma molti contenuti destano sospetto per i marchiani errori ortografici e grammaticali che contengono: parole scritte male, scivoloni con le concordanze, articoli inseriti troppo allegramente. Quando, nel ripulisti degli scorsi giorni, Facebook chiude “Heart of Texas”, è la stessa società a confermare (alla giornalista Natasha Bertrand di Business Insider) che la pagina probabilmente era collegata alla Russia e gestita da russi.

 

L’ironia è facile da vedere: una pagina Facebook estremamente seguita (la più seguita del suo genere) che promuove il sentimento patriottico texano con simboli considerati ultra americani e in ultima istanza la secessione del Texas dall’America era in realtà gestita da troll russi. Non ci sono conferme del fatto che gli autori di “Heart of Texas”, che si spacciavano per “liberi cittadini texani”, abbiano collegamenti diretti con Mosca, ma si sa per certo che la Russia ha tenuto rapporti stretti con i movimenti separatisti di varie parti d’America. Al contrario di altre pagine Facebook false che facevano presa sui sentimenti anti establishment per attrarre seguito e guadagnare con la pubblicità (si pensi per esempio allo scoop di BuzzFeed di qualche tempo fa, secondo cui un gruppo di giovani macedoni ha fatto fortuna grazie alla propaganda politica americana su Facebook) “Heart of Texas” non aveva pubblicità, e ha operato per due anni senza guadagnare un centesimo. Delle due l’una: o i suoi autori russi avevano a cuore le sorti del Texas indipendente, o facevano parte di un programma di destabilizzazione.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.