Un F35 dell'aviazione israeliana (foto via Twitter)

Israele bombarda il sito di armi chimiche di Assad (sì, funzionava ancora)

Daniele Raineri

L'arsenale del regime siriano non è vuoto, come conferma l'Onu. Quelle richieste di Gerusalemme ignorate da Putin. I patti violati e l’ombra iraniana

Roma. A partire dalla fine di gennaio 2013 e con molta discrezione i jet israeliani hanno fatto quasi cento raid per colpire dentro il territorio siriano controllato dal presidente Bashar el Assad, hanno bombardato convogli che trasportavano missili verso il confine libanese, hanno fatto saltare in aria depositi di armi avanzate in mezzo al deserto e hanno ucciso comandanti del gruppo libanese Hezbollah alla periferia della capitale Damasco – e in un caso anche un generale iraniano che si era spinto troppo vicino al confine del Golan – ma l’operazione di ieri notte è stata differente. Poco prima delle tre del mattino, mentre vicino al confine c’era una esercitazione di terra di dimensioni enormi, quattro aerei israeliani hanno distrutto un sito che apparteneva al Centro per la ricerca e gli studi scientifici, un nome neutrale dietro cui si nasconde il settore dell’esercito siriano che a partire dagli anni Novanta s’è occupato di produrre le armi chimiche, già colpito da sanzioni internazionali. In teoria un accordo a tre fra Damasco, Mosca e Washington firmato nel settembre 2013 stabiliva che la Siria consegnasse tutte le sue armi chimiche perché fossero distrutte, ma il 4 aprile il regime è uscito di nuovo allo scoperto di fatto e dopo centinaia di bombardamenti rudimentali con il cloro – su cui la comunità internazionale chiude un occhio – ha colpito con il gas nervino il villaggio di Khan Shaykun e ha ucciso 90 persone. Il governo Assad non ha mai ammesso la responsabilità, ma due giorni fa è uscito il verdetto degli ispettori delle Nazioni Unite che conferma: quell’attacco è opera del regime.

 

Israele non ha mai creduto alla versione di Assad e già nel dicembre 2016 il ministro della Difesa Avigdor Lieberman disse a una riunione di ambasciatori occidentali che i raid aerei israeliani erano necessari per bloccare i trasferimenti di “armi di distruzione di massa” in Siria. Considerato che non si parla di nucleare, era l’ennesima conferma – che circolava molto in ambienti diplomatici – che il regime siriano aveva ingannato gli ispettori internazionali e aveva conservato una parte dell’arsenale (del resto era stato il regime stesso nel 2013 a stilare l’inventario).

 


  

 

La mappa che mostra il sito di Masyaf colpito oggi da Israele, Khan Shaykhoun, bombardata dal regime ad aprile, e la base militare russa di Khmeimim (mappa di Enrico Cicchetti) 

 


 

I jet israeliani hanno distrutto il sito a Maysaf, a est di Hama e vicino alla costa dove la presenza dei russi è più forte. La base aerea di Hmeimin, difesa da batterie di missili S-400 mandati dalla Russia che in teoria coprono tutto il territorio siriano, è a pochi minuti di volo. La settimana scorsa la Pravda, giornale del governo russo, ha pubblicato un resoconto molto interessante dell’incontro tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il capo del Mossad, Yossi Cohen, con il presidente russo Vladimir Putin a Sochi, sede delle sue vacanze estive. Netanyahu, secondo la Pravda, era in panico, implorava il russo di arginare lo strapotere iraniano in Russia. Putin, invece, non ha mai tradito emozioni e ha risposto che l’Iran è un partner strategico troppo importante. Due settimane dopo, gli aerei israeliani hanno fatto saltare la base siriana – sotto il naso dei russi o con il loro benestare?

 

Il raid è un segnale chiaro del governo di Gerusalemme contro il piano russo-americano che prevede la creazione in Siria di zone di tregua – che gli israeliani vedono più come “zone che l’Iran userà come piattaforma militare per lanciare la prossima guerra contro Israele”. Il capo di Hamas in Libano, Ali Barakah, ieri ha denunciato “l’attacco sionista” in Siria: segno che ormai l’inimicizia degli anni scorsi con Assad è dimenticata e la saldatura con l’Iran è di nuovo funzionante. Così, due giorni dopo la vittoria importante del regime e di Hezbollah contro lo Stato islamico declinante a Deir Ezzor, l’alba della cosiddetta “stabilità” portata da Assad è questa: Israele bombarda impianti per la produzione di armi chimiche, per ritardare una guerra con l’Iran. Del resto, se il regime di Assad fosse davvero una ragione di stabilità, non saremmo a questo punto.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)