Una manifestazione contro la decisione di abolire il sistema Daca (foto LaPresse)

Trump spezza i sogni dei "dreamers", ma non ci mette la faccia

L'Amministrazione mette fine al sistema di tutele per i clandestini entrati negli Stati Uniti quando erano minorenni

New York. Oggi l’Amministrazione Trump ha annunciato, come ampiamente previsto, la chiusura del Daca, il programma varato da Barack Obama che protegge i clandestini entrati negli Stati Uniti quando erano minorenni, i cosiddetti “dreamers”. L’ordine esecutivo del 2012 che ha permesso a 800 mila stranieri di essere protetti dalle procedure di rimpatrio sarà gradualmente abbandonato nell’arco di sei mesi, periodo durante il quale la Casa Bianca ha chiamato il Congresso a varare una legge ad hoc. Le possibilità di un accordo legislativo sul tema sono prossime allo zero, e del resto era stata l’inconcludenza del Congresso, unita alle esigenze elettorali del momento, a convincere Obama nel 2012 a usare il potere esecutivo. A dare l’annuncio è stato il procuratore generale, Jeff Sessions, e la scelta stessa dell’ambasciatore della notizia è significativa. Per competenza, la formalizzazione spettava al segretario per la Sicurezza nazionale, mentre per la rilevanza politica della decisione sarebbe stato naturale che il presidente intervenisse, lui che non perde occasione per occupare spazi televisivi.

 

  

La scelta di lasciare che il procuratore “bersagliato”, come lo ha definito Trump, articolasse la decisione indica innanzitutto la volontà di nascondere la scelta politica dietro argomenti legali. Sessions ha detto che il Daca è un “atto unilaterale”, “esercizio incostituzionale” in “disaccordo con i principi della separazione dei poteri”; ha parlato di una “amnistia” comminata abusando del potere presidenziale e umiliando i rappresentanti eletti dal popolo, ha invocato autorità accademiche per provare la correttezza dei ragionamenti legali. Con la fine di questo provvedimento, ha detto Sessions, “l’ordine costituzionale viene ristabilito”, e in un momento di lirismo abrasivo ha delineato i disastri sociali che provvedimenti politicizzati come questi generano: “Quando la rule of law è esposta alle voglie della politica si tendono a creare società segnate dalla corruzione, dalla povertà e dalla sofferenza umana”.

 

La seconda ragione per cui Sessions è stato scelto come volto della decisione è che l’ex senatore dell’Alabama è il rappresentante naturale di una posizione oltranzista contro l’immigrazione che avvince ancora molti nella base trumpiana. Il presidente ha dichiarato incostituzionale il Daca durante la campagna elettorale, quando era il momento di galvanizzare i sentimenti xenofobi e anti immigrazione, ma poi ha cambiato tono sui “dreamers”, includendoli nella grande famiglia americana e promettendo che li avrebbe giudicati con un “big hearts”. Il ritardo di una manovra a lungo annunciata si spiega con la posizione ondivaga del presidente. Sessions invece non si è mai mosso dalle sue posizioni, e da una rapida conta dei funzionari della Casa Bianca e dei componenti del gabinetto si evince facilmente che le idee del procuratore generale sono maggioritarie. Stephen Miller, consigliere del presidente che proviene dalla corte dell’ex senatore, è stato il più vociante fra gli oppositori del Daca, mentre non c’è stata una vera forza di contrasto da parte di Ivanka Trump e Jared Kushner, i maggiori indiziati alla Casa Bianca per perorare la causa dei “dreamers” . Sessions non voleva che il dipartimento di Giustizia si trovasse nell’imbarazzante posizione di dover difendere un ordine esecutivo che giudicava incostituzionale. Lo stesso John Kelly, già segretario per la sicurezza nazionale e oggi capo di gabinetto, aveva detto che se “il Daca arriva in tribunale potrebbe non sopravvivere”, svelando le perplessità di un uomo d’ordine e buonsenso giustamente considerato un contraltare alle voci più intransigenti. La strategia suggerita da Kelly e messa in pratica da Trump era: rimandare il problema. La base avrebbe rumoreggiato un po’, ma nel turbinio quotidiano non si sarebbe notato granché. Senonché in giugno una decina di stati, capitanati dal Texas, hanno presentato un esposto che minacciava di contestare la legittimità del Daca in un aula di tribunale. E’ stato il casus belli che ha scatenato lo scontro frontale caldeggiato da Sessions, che oggi ci ha messo la faccia.