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La trattativa segreta per convincere Castro a cacciare Maduro

Maurizio Stefanini

Sembrerebbe un piano fortemente voluto dal Vaticano. In cambio il regime dell’Avana potrebbe blindare le proprie forniture di petrolio dal Venezuela anche dopo un eventuale cambio di governo

Roma. Non solo Xi Jinping con la Corea del nord; non solo Putin con la Libia. Anche Raúl Castro è un “cattivo” su cui si starebbe facendo pressing per convincerlo a fare “l’onesto sensale” a Caracas, e favorire una transizione al post Maduro. E’ un piano che sarebbe voluto fortemente dal Vaticano, e in cambio al quale il regime dell’Avana riceverebbe la garanzia di blindare le proprie forniture di petrolio dal Venezuela anche dopo un eventuale cambio di governo.

   

L’ultima indiscrezione in proposito l’ha data domenica il Clarín di Buenos Aires, in un articolo a firma Sergio Rubin: proprio il vaticanologo che nel 2010 firmò a quattro mani con Francesca Ambrogetti “El Jesuita”, la prima biografia di Bergoglio. A luglio, di uno schema del genere aveva parlato anche il Financial Times, e l’anno scorso l’Abc di Madrid. In una serie di incontri segreti all’Avana, al presidente cubano sarebbe stato chiesto innanzitutto di ritirare i militari cubani che in questo momento stanno sostenendo il regime di Caracas: è la cosiddetta “Operación Bastión”, con almeno 4.500 soldati divisi in nove battaglioni. E poi Cuba dovrebbe garantire asilo allo stesso Maduro e a tutti i suoi fedeli che hanno timori per la propria sorte: un modello di cui fonti dell’opposizione venezuelana avevano parlato anche al Foglio.

   

Rubin spiega di non avere bene il quadro di chi stia svolgendo questa trattativa, ma insiste che dietro c’è sicuramente il Vaticano. Dice anche che il negoziato è ancora in piedi, ma apparentemente fermo per “mancanza di risposta del leader cubano”. In realtà il fratello di Fidel “sarebbe favorevole ad accedere alla proposta, ma si scontra con i settori più duri del suo partito”. Potrebbe essere letto in questa chiave il recente e misterioso episodio di un video filtrato, dove il primo vicepresidente cubano Miguel Díaz-Canel, parlando a una scuola di quadri del partito, attaccava duramente come “fonte di destabilizzazione della Rivoluzione” la strategia del disgelo con gli Stati Uniti che invece era stata così fortemente voluta da quel Raúl di cui dovrebbe essere l’erede designato. Peraltro, secondo Rubin, assieme ai falchi cubani un po’ di responsabilità ce l’avrebbe anche “una certa incapacità degli oppositori venezuelani a negoziare un’uscita”. Da ricordare che la recente decisione della Tavola di unità democratica (Mud) di partecipare alle elezioni regionali di ottobre è stata duramente contestata da personaggi come Antonio Ledezma e Corina Machado, che chiamano invece al boicottaggio.

  

Secondo il Financial Times, l’iniziativa del negoziato era stata dovuta al presidente argentino Mauricio Macri, al messicano Enrique Peña Nieto e al colombiano Juan Manuel Santos. Abc aveva invece menzionato come attori delle conversazioni l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), gli Stati Uniti, il Vaticano e Cuba. Il Vaticano non ha né confermato né smentito, ma Rubin ricorda che il segretario di stato Pietro Parolin ha cercato di coinvolgere anche Putin in una soluzione negoziata della crisi venezuelana. I movimenti sono parecchi, e sia il presidente dell’Assemblea nazionale sia il vicepresidente Freddy Guevara si sono appena recati in Europa per un tour che dovrebbe portarli a vedere Macron, Rajoy, Angela Merkel e Theresa May. Con loro avrebbe dovuto viaggiare anche Lilian Tintori, la moglie incinta del tenuto Leopoldo López. Ma l’hanno bloccata per un’accusa pretestuosa relativa al ritrovamento nella sua auto di una valigia di 200 milioni di bolivares. Per il governo si tratta di una prova di traffici e corruzione. In realtà, vista la tremenda inflazione venezuelana, al cambio sono poco più di 11.000 dollari: secondo lei, raccolti per pagare le cure di una nonna centenaria senza assicurazione medica.

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