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Tutti i segnali che dicono che l'America si sta stancando di Trump

Claudio Cerasa

Il suggestivo (ma per nulla piacevole) evento dell’America che guarda l’eclissi di The Donald senza occhiali protettivi

Durante il suggestivo evento pubblico organizzato due giorni fa alla Casa Bianca per osservare l’incredibile spettacolo dell’eclissi solare, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha scelto di togliersi gli occhiali protettivi e ha deciso di compiere in mondovisione un gesto che quasi tutti i bambini del mondo sanno che è semplicemente dannoso fare: guardare a occhio nudo l’eclissi del sole. L’immagine folle del presidente degli Stati Uniti d’America che guarda come un bambino senza giudizio il processo che porta all’eclissi di sole è un’immagine che fotografa bene la traiettoria imboccata dal presidente americano. E senza troppi giri di parole, si può dire, con una ragionevole sicurezza, che lo spettacolo che da qualche tempo sta osservando l’America è simile a quello osservato due giorni fa dal presidente alla Casa Bianca: accanto al fenomenale show dell’eclissi di sole, l’altro show parallelo registrato negli ultimi giorni in America è stata la progressiva manifestazione dell’eclissi di Trump.

 

La miscela tra un Trump progressivamente commissariato dai suoi generali e un Trump progressivamente abbandonato dai suoi pezzi da novanta ha avuto l’effetto di stimolare sui giornali americani alcune considerazioni che vale la pena mettere insieme per provare a rispondere a una domanda chiave relativa ai prossimi mesi di Amministrazione Trump: fino a quando l’America potrà permettersi di avere un presidente che guida il paese più potente del mondo con la stessa autorevolezza e decisione con cui, come ha ricordato qualche mese fa David Brooks sul New York Times, un neonato potrebbe guidare una macchina? Alcuni importanti giornali americani, compresi quelli conservatori, da settimane chiedono alla classe dirigente repubblicana di mettere in moto una forte e immediata campagna politica per disarcionare Trump dal cavallo della Casa Bianca. Lo ha fatto pochi giorni fa la National Review, grande magazine conservatore, ricordando che un capo scadente a capo di un’Amministrazione scadente rischia di trasformare presto gli Stati Uniti in una potenza scadente. Lo ha fatto due giorni fa il Los Angeles Times (“Enough is enough”), che dopo la difficoltà incontrata da Trump nel condannare i gravi episodi di razzismo registrati a Charlottesville ha definito il presidente “un pericolo per la Costituzione e una minaccia per le istituzioni democratiche”. Lo ha fatto pochi giorni fa un importante commentatore conservatore su Foreign Policy, Max Boot, che mettendo insieme i principali passi mossi dalla presidenza Trump ha sentenziato che quella che stiamo vedendo oggi è “The Worst presidency ever”. Ma lo hanno fatto nelle ultime settimane in modo sempre diretto anche alcuni giganti dei media americani come Rupert Murdoch e Mike Bloomberg.

Il primo iniziando a veicolare sulle sue televisioni un numero sempre maggiore di critiche rivolte al presidente americano. Il secondo iniziando a far pubblicare dai suoi canali informativi delle analisi sempre più severe rivolte ancora al presidente americano.

 

L’ultima è arrivata ieri mattina con un commento pubblicato sul sito di Bloomberg di un importante analista americano, David Ader, che valutando le performance dell’indice S&p 500, l’indice che segue l’andamento azionario delle 500 aziende più grandi d'America, ha scritto che nel mese di agosto i mercati hanno offerto segnali preoccupanti per Trump: “Markets are losing their patience with Trump”. Nella sua analisi, Ader sostiene che lo scioglimento dei comitati di Consiglieri economici del presidente americano – il President’s Strategic and Policy Forum e il President’s American Manufacturing council – a seguito di varie dimissioni di alcuni membri dei comitati avvenute per manifestare dissenso dopo le affermazioni di Trump sull’estrema destra e sulle violenze di Charlottesville è la spia di una tendenza esplicita e in divenire del mondo del business rispetto all’Amministrazione Trump.

 

La pazienza è finita, sostiene Bloomberg, e la pazienza nei confronti del presidente americano è finita anche per una serie di pezzi da novanta dell’imprenditoria passati in rassegna ieri pomeriggio da Business Insider. Jamie Dimon, ceo di JPMorgan. Denise Morrison, ceo della Campbell Soup Company. Inge Thulin, ceo di 3M. Richard Trumka, presidente della AFL-CIO. Scott Paul, presidente dell’Alliance for American Manufacturing. Kevin Plank, ceo di Under Armour. Brian Krzanich, ceo di Intel. Kenneth Frazier, ceo di Merck. Bob Iger, ceo di Disney. Elon Musk, ceo di Tesla. Travis Kalanick, ex ceo di Uber. Sheryl Sandberg, coo di Facebook, Persino Peter Thiel, cofondatore di PayPal. Il Financial Times ieri ha ricordato che la partita sulla quale Trump tenterà di riconquistare il consenso di una parte della comunità finanziaria americana è legata alla riforma fiscale. La partita, come ha ricordato spesso il nostro Mattia Ferraresi su queste colonne, è però più che mai complicata e rischia di essere quasi impossibile, e se Trump dovesse fallire anche su questo fronte l’eclissi d’America potrebbe non essere solo quella osservata con curiosità due giorni fa sui cieli degli Stati Uniti e dal balcone della Casa Bianca.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.