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I musulmani moderati? Aiutiamoli a casa loro contro il fondamentalismo

Claudio Cerasa

Così come sarebbe stata una follia lasciare il dibattito sui migranti ai professionisti dei tutti politici, allo stesso modo sarebbe una follia lasciare il dibattito sul rapporto tra violenza e islam ai Salvini e ai trumpini italiani

Al direttore - In tutta questa brutta storia degli attentati di matrice islamica c’è un elemento che continuiamo a trascurare, sminuire, molto spesso negare. Un elemento che si chiama connivenza, copertura, in molti casi complicità, più o meno consapevole: questo l’atteggiamento che coinvolge molte persone nelle famiglie e nella prima cerchia di amicizie dei terroristi. E’ doloroso ammetterlo, me ne rendo conto, perché fa a pugni con tutto quello che vorremmo pensare e credere. Però è arrivato il momento di guardarla in faccia questa realtà, ben evidente in fatti e parole che riguardano molto da vicino i portatori di morte che hanno agito a Barcellona. Mi limito a tre impressionanti evidenze. La prima emerge con drammatica forza dai primi riscontri della polizia catalana, che ormai parla apertamente di una cellula di dodici terroristi al lavoro da mesi su un progetto di attentato devastante alla Sagrada Familia. Dodici, tutti in contatto tra loro e ben integrati nella comunità marocchina assai radicata in tutta la regione. Non è realistico credere che nessuno si fosse accorto di nulla. Non un collega di lavoro, non un amico al bar. Anche perché non stiamo parlando di spie addestrate dalla Cia o dal Mossad: si tratta di ragazzi invasati ed esibizionisti, quindi portati a vantarsi in qualche modo delle loro idee o intenzioni. La seconda evidenza riguarda l’impressionante testimonianza della madre di Mohamed e Omar Hycham, uccisi dalla polizia a Cambrils. Non una parola di condanna per quanto accaduto esce dalla bocca di questa donna, che invece impiega minuti su minuti per ripetere ossessivamente che erano dei bravi ragazzi, tutti casa e famiglia. Ebbene le parole di questa donna sono drammaticamente non credibili per un fatto elementare e incontrovertibile da millenni: le mamme sanno tutto dei figli e quando proprio non sanno intuiscono senza mai sbagliare. Infine c’è il ruolo dell’imam Abdelbaki el Satty, le cui funamboliche vicende si intrecciano con l’attentato ai militari italiani a Nassiriya (19 morti) e quello alla stazione di Atocha in Madrid (191 morti). In rete è disponibile la testimonianza di Nordden, l’uomo con cui ha diviso in questi mesi un appartamento a Ripoll. Anche qui nessuna evidenza dell’attività criminale che andava avanti da molto tempo, Nordden è solo preoccupato del fatto che il 28 dovrebbe partire per le vacanze in Marocco e non sa se la polizia lo lascerà uscire dalla Spagna. Potremmo continuare all’infinito, ma il discorso è chiaro. I terroristi si muovono in un contesto familiare, amicale e religioso che tende a non vedere (in molti casi) o addirittura ad aiutare (nei casi restanti), in modo più o meno diretto. Questa verità inconfutabile è ben nota agli investigatori, anche a quelli italiani, che ne parlano malvolentieri e che mai lo ammetterebbero pubblicamente. Ma che in forma riservata confermano tutto. E allora noi abbiamo il dovere di dirlo, con voce sempre più forte. Portare in piazza questo dibattito servirà a tutti, a cominciare dai musulmani europei che vogliono davvero lottare contro i terroristi e che spesso si sentono soli, drammaticamente soli.

Roberto Arditti

 

 
Giustissimo. E a questo andrebbe aggiunto un punto in più. Così come sarebbe stata una follia lasciare il dibattito sui migranti ai professionisti dei rutti politici, allo stesso modo sarebbe una follia lasciare il dibattito sul rapporto tra violenza e islam ai Salvini e ai trumpini italiani. Serve una grande svolta culturale e serve cominciare a chiamare le cose con il loro nome. Aiutiamoli a casa loro è uno slogan efficace per spiegare che il tema dell’immigrazione non lo si può affrontare se non si capisce che i confini dell’Europa devono essere collocati in Africa. Ma nell’aiutiamoli a casa loro andrebbe aggiunto un ultimo passaggio: aiutare a casa loro tutti quei musulmani che provano disperatamente a spiegare al mondo che l’unico modo per valorizzare l’islam moderato è non chiudere gli occhi di fronte alle efferatezze commesse in nome di dio, e di un dio in particolare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.