Barcellona il giorno dopo gli attentati. LaPresse/Xinhua

I confini del nostro terrore

Redazione

La Finlandia, Barcellona, e quel concetto di “invasione” che dobbiamo capire

Che a Wuppertal, Nord-Reno Vestfalia, si sia trattato solo di una rissa al coltello, potrebbe anche essere. Ma alzi la mano chi non ha dovuto googlare per scoprire che Turku, dove ieri uno o più islamisti che urlavano “Allahu Akbar” e hanno accoltellato varie persone nella piazza del mercato (uno o due morti) è la quinta città finlandese con una grande enclave svedese, duecentomila abitanti e industrie. Europa insomma, occidente insomma. Qualcosa che ci riguarda, che dovremmo difendere, se soltanto riuscissimo ancora a capire la parola confine: la definizione di uno spazio che è fisico e perciò culturale, sociale.

  

Abbiamo letto, o noi stessi pensato, nei commenti del giorno dopo, un sacco di cose normali e banali su Barcellona: che è un simbolo del nostro stile di vita e la colpiscono per questo; che è la città di Vázquez Montalbán e di un periodo-Picasso, qualcuno s’è spinto a Gaudí. Ma è banale, appunto: non l’hanno colpita “simbolicamente” per questo. Ma semplicemente, terribilmente, perché è dentro ai nostri confini. E’ ora di cominciare a pensare che la guerra jihadista in corso – asimmetrica finché si vuole – è una guerra d’invasione. Nella rassegna stampa internazionale del Foglio che troverete in edicola lunedì c’è la segnalazione di un saggio pubblicato dal centro studi e ricerca Gatestone Institute di New York nell’ottobre scorso, che spiegava nel dettaglio le modalità, i contenuti e l’intensificazione della propaganda islamista contro la Spagna (“L’Andalusia è nostra, la riprenderemo”). Andalusia, cioè Spagna: “Negli ultimi mesi, lo Stato islamico e altri gruppi jihadisti hanno prodotto video e documenti che esortano i musulmani a riconquistare al Andalus”. Al Andalus è il paradiso perduto dove la Spagna della Reconquista ha torturato i musulmani e li ha bruciati vivi. Pertanto, “la Spagna è uno stato criminale che usurpa la nostra terra”. La rivogliono indietro. Punto e basta. Quanti altri luoghi “simbolo” del nostro stile di vita da #prayfor dovremo andare a cercare su Googlemaps, o nei ricordi delle nostre vacanze, prima di capire che c’è un mondo che è il nostro, che non è contendibile, che va difeso con le leggi, la forza e, se avanza tempo, con la cultura?

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