Francois Hollande (foto LaPresse)

In Francia i partiti perdenti sono sull'orlo della bancarotta

Francesco Maselli

Socialisti e gollisti hanno preso pochi voti, quindi gli spettano pochi soldi pubblici. E ora devono vendere le sedi

Roma. Il ciclone Macron ha strapazzato i partiti tradizionali, battendoli alle presidenziali e lasciandogli soltanto una manciata di deputati alle successive elezioni legislative. Il 2017 non rappresenta però solo una rivoluzione politica, perché il risultato elettorale di En Marche! potrebbe avere degli effetti collaterali ancora più profondi per socialisti e gollisti: rischia di mandarli in bancarotta. I partiti francesi traggono la maggior parte delle proprie risorse da un generoso contributo pubblico. Il sistema prevede due tipi di sovvenzione, entrambi calcolati sui risultati delle elezioni legislative. Il primo tiene conto dei voti espressi al primo turno, dove concorrono tutti i partiti: a condizione di aver ottenuto almeno l’1 per cento in un minimo di 50 circoscrizioni (che sono in totale 577), alla formazione politica vengono distribuiti 1,42 euro per ogni voto espresso. Il secondo è assegnato in base ai deputati eletti e iscritti al gruppo parlamentare: ogni deputato apporta 37.280 euro l’anno.

 

A causa della sconfitta
i gollisti hanno perso
25 milioni di euro
di finanziamento pubblico e "non sono
in grado di far fronte
al debito e alle spese
di funzionamento".
I socialisti sono messi ancora peggio:
con quasi 90 milioni
in meno saranno costretti a vendere
la sede storica
di Rue Solférino

Visti i risultati, il calo delle entrate è drammatico. Il partito di centrodestra Les Républicains ha raccolto solo la metà dei voti espressi e dei deputati eletti rispetto al 2012. I fondi pubblici disponibili sono diminuiti di un terzo; ciò comporta minori entrate per circa 5 milioni di euro l’anno. Una diminuzione complessiva di quasi 25 milioni di euro in tutta la legislatura non prevista dalla tesoreria del partito nemmeno nelle peggiori ipotesi. I repubblicani, che hanno un debito pregresso di circa 55 milioni di euro, avevano infatti incontrato i creditori prima dell’inizio della campagna presidenziale per rinegoziare i termini del rimborso. Le parti si erano accordate per un nuovo incontro dopo le elezioni, così da avere un quadro chiaro della situazione finanziaria degli anni successivi. Il calcolo fatto all’epoca, però, non aveva previsto i danni del “Penelopegate” e soprattutto la possibilità di arrivare terzi al primo turno delle presidenziali: la peggiore ipotesi possibile presentata ai creditori era una sconfitta con un risultato simile a quello del 2012, e quindi delle entrate stabili. Daniel Fasquelle, tesoriere del partito, ha ammesso preoccupato al Parisien che: “I fondi in meno corrispondono al debito annuale nei confronti delle banche, che ammonta a 5 milioni” e che deve essere rimborsato in 10 anni. Stando così le cose: “Il partito non è in grado di far fronte al debito e alle spese correnti di funzionamento” ha detto un funzionario di partito al Journal du Dimanche. La soluzione potrebbe essere vendere la sede di Rue de Vaugirard, comprata con un investimento di 40 milioni nel 2010. Solo una scelta del genere, per quanto drastica, permetterebbe di abbassare il debito, a meno di procedere a un licenziamento collettivo dei 90 dipendenti del partito. Una strada difficilmente percorribile, dicono da Rue de Vaugirard, che potrebbe, in alternativa, essere in parte affittata per aumentare i ricavi. Creditori permettendo.

 

I socialisti sono messi ancora peggio, tanto che la domanda non è più “se” sarà venduta la sede storica di Parigi, ma “quando”. Il partito è arrivato quinto alle elezioni presidenziali con un misero 6,5 per cento, e ha raccolto solo il 7,5 per cento e 30 deputati alle legislative. L’assegno ricevuto dallo stato ogni anno si è ridotto da 25 milioni a circa 7 milioni, insufficienti ad affrontare le spese necessarie al funzionamento, tenuto conto che il budget annuale si aggira intorno ai 30 milioni: “Siamo in una situazione comparabile a quella di un’azienda che vede il capovolgimento della sua situazione economica dopo una grave crisi” ha detto al Figaro il tesoriere del partito, Jean-François Debat.

 

La situazione finanziaria è così grave che il partito non ha i mezzi per organizzare “l’université d'été”, il tradizionale grande evento previsto a fine agosto che serve per definire la linea politica e far incontrare militanti e dirigenti. Al suo posto si terrà un piccolo seminario. Vendere la sede di Rue Solférino, nel Settimo arrondissement di Parigi, sembra l’unica soluzione. Il quartier generale dei socialisti è uno dei simboli della V Repubblica, comprato da François Mitterrand nel 1980, è stato spesso criticato per la sua lontananza dai quartieri popolari. Ma, per quanto i dirigenti del partito non lo abbiano ancora annunciato ufficialmente, sui giornali la vendita si dà per certa. Secondo il settimanale satirico Le Canard Enchaîné la sede vale 40 milioni di euro tenuto conto dei lavori di ristrutturazione, necessari viste le pessime condizioni dei locali: Martine Aubry, segretario dal 2008 al 2012, si lamentava spesso di aver dovuto far rifare i bagni del suo piano a sue spese. Non mancano le prese in giro: un utente di leboncoin.fr, il sito di annunci online più utilizzato del paese, ha messo in vendita “un monumento storico – ex sede del Partito socialista – causa cattivi risultati elettorali”. L’annuncio non specifica il prezzo, “perché il Ps non vale più niente”.

 

Dal canto suo Emmanuel Macron sorride: con quasi 22 milioni di euro l’anno, più di 100 per l’intera legislatura, il suo partito non avrà problemi a finanziare l’affitto della nuova sede. En Marche!, che finora ha usato un locale relativamente piccolo (1.000 metri quadri) a Rue de l’Abbé-Groult, vicino a Porte de Versailles, nel sud di Parigi, si trasferirà al 63 Rue Saint-Anne, nel Secondo arrondissement, a due passi dalla Borsa. Il costo dell’affitto, calcolano le agenzie immobiliari, è di 370.000 euro l’anno. Spiccioli.

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