Un gruppo di giovani della ong tedesca Jugend Rettet su un molo accanto alla nave Iuventa

Gioventù tedesca

Giulio Meotti

Nella “terra del latte e miele”, i bravi ragazzi abbracciano l’estremismo solidaristico e sanguinano per ogni migrante. Da Calais al Mediterraneo, alla ricerca dell’aurora dell’umanità. La redenzione

Nel suo ultimo film, “A most wanted man”, Philip Seymour Hoffman recita la parte di una spia tedesca, Günther Bachmann, a capo di un’unità di spionaggio che si occupa di terrorismo. Arresta una ragazza che difende gli immigrati clandestini. “Pacifista, avvocato di sinistra, famiglia benestante, padre giudice, tornatene da quei quattro ipocriti perbenisti del Sanctuary North. Ma nessuno vi taglierà la testa, nessuno vi farà saltare in aria i figli su una spiaggia a Bali o su una metro a Madrid e Londra”. La ragazza protagonista, interpretata da Rachel MacAdams, avrebbe tranquillamente potuto far parte della corazzata di giovanissimi tedeschi, universitari come lo studente di Scienze politiche Tilman von Berlepsch, figli della ricca borghesia tedesca come perseguitata dal proprio benessere, saliti a bordo della nave Iuventa, l’imbarcazione della ong Jugend Rettet fermata e indagata dalle autorità italiane per la condotta nel Mediterraneo. Jugend Rettet. Ovvero “la gioventù salva”. La missione di Jonas Buja, passato dal consiglio parrocchiale alla nave, assieme a Clemens Nagel, “rapper antifascista”.

 

Nel grande piatto
della bilancia dell'umanità, il Nord ricco non vale nulla.
E l'occidentale
è diventato uomo soltanto a spese
di tutti gli altri

Sul New York Times, il giornalista e scrittore tedesco Georg Diez ha definito il pacifismo “la nuova religione civile della Germania”. E’ senz’altro la nuova, grande passione della gioventù tedesca. Il filosofo Peter Sloterdijk, rettore della Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, ha scritto che “in Germania si crede che un confine esista unicamente per essere oltrepassato”. Sicuramente la pensa così questa bellissima gioventù contrita, radicalmente solidale, coltivatrice del rimorso, dall’esagerata esaltazione dell’“altro”, che pone l’umanità sofferente su un piatto della bilancia rispetto a cui l’altro, il nord ricco, sembra non valere nulla. Una gioventù per la quale l’uomo occidentale è uomo soltanto a spese dell’umanità, che coltiva un’aspirazione alla fratellanza universale, che si entusiasma per le cause straniere, che coltiva una militanza in cui si invera la nostalgia di un’umanità indivisa e la cui separazione in blocchi o etnie deve annullarsi a favore di un solo tipo umano.

Per questi tedeschi, i confini da abbattere sono un favoloso giacimento di dolore e speranze, la palpitante ebbrezza di un’aurora dell’umanità. Si fanno chiamare “Fluchthelfer”, coloro che aiutano i rifugiati, una espressione mutuata dal nazismo. La lotta di tutti gli uomini contro l’oppressione diventa la loro lotta.

 

Lo scorso 27 giugno, a Ventimiglia, un gruppo di attivisti tedeschi ha guidato quattrocento profughi verso il confine francese, per evitare lo sgombero emesso dal sindaco di Ventimiglia. Sono ovunque ci sia un valico, a terra come a Mentone, in mare come a Lampedusa.

Questi millennial tedeschi, ci dice un sondaggio di giugno della Zdf, sono “i più tolleranti d’Europa sull’immigrazione”. Non ci sono numeri concreti sul numero di attivisti che aiutano i migranti ma, come scrive la Deutsche Welle citando uno studio della Fondazione Bertelsmann, il numero va da 500 mila a un milione. Nessun altro paese al mondo fa altrettanto. E’ tedesca la fotografa che è andata nei campi di raccolta dei migranti in Europa, Herlinde Koelbl. Cinque delle sei ong che operano di fronte alla Libia sono tedesche, anche se battono bandiere di altri paesi: Sos Méditerranée, Sea Watch Foundation, Sea-Eye, Lifeboat e Jugend Rettet.

 

Sono il volto idealistico della Germania
"società post eroica". Tolgono le croci dai resti del Muro di Berlino
e le portano a Melilla

La Sos Méditerranée è fondata dal marinaio tedesco Klaus Vogel. Il nonno paterno era un tipografo passato dal comunismo alla socialdemocrazia, mentre nel lato materno ha un nonno che stava nelle SA naziste, poi la Wehrmacht e il legame con Léon Degrelle, il collaborazionista nazista di Rexist. C’è la Sea Watch, fondata dai tedeschi Harald Höppner e Mathias Kuhnt. “Ci siamo resi conto che a soli centinaia di chilometri di distanza dalla Germania eravamo in procinto di costruire un nuovo e simile Muro” ha detto Kuhnt al Washington Post. “Più persone sono morte lungo le frontiere dell’Unione europea che durante i ventisette anni del Muro di Berlino”. Poco importa che il Muro di Berlino fosse un simbolo di oppressione politica. Tutto diventa muro da valicare.

Durante la trasmissione televisiva di Günther Jauch su Ard, Harald Höppner si è alzato dal pubblico e ha costretto ospiti e conduttore a osservare un minuto di silenzio per i migranti morti nel Mediterraneo. Il giorno dopo, la stampa tedesca saluta Höppner come “il Robin Hood dei profughi”, il “capitano speranza”. Negli anni Ottanta, i giovani tedeschi espiavano il senso di colpa nelle “marce della pace”. Oggi lo fanno nel Mediterraneo.

Demonizzano l’occidente, lo considerano per definizione delittuoso, fissano il Terzo mondo nella sua parte di perseguitato per meglio dimostrare che fra l’uno e l’altro non è possibile confine, eccetto l’infinito pentimento del primo, la sua apertura tramite lo smantellamento di ogni barriera. Nelle loro rivendicazioni, il “complesso di colpa” è quasi necessario, quasi che questa gioventù perdesse la propria integrità morale, se non ci fosse.

 

Era piena di giovani attivisti tedeschi l’isola di Lesbo, quando il mar della Grecia fu al centro dell’ondata migratoria. Come gli attivisti di Startup Boat, ong fondata da Paula Schwarz, bellissima venticinquenne berlinese attivista per i diritti umani e civili dei migranti. La barca pattugliava le acque greche, da un’isola all’altra. La polizia greca accusava ripetutamente gli attivisti tedeschi di incoraggiare i migranti a protestare dicendogli che ciò avrebbe suscitato la simpatia nell’opinione pubblica europea e in tal modo li avrebbe aiutati ad aprire i confini e a lasciarli procedere verso la Germania. Anche la rotta dei Balcani fu calpestata da centinaia di volontari tedeschi, come Maike Defeld della ong ForumZFD a Pristina.

Giovani attivisti tedeschi erano al campo di Calais, in Francia, ad aiutare i migranti a entrare in Inghilterra, mutuando le tecniche usate a Berlino est per far fuggire le persone nella parte occidentale. Hanno istituito campi in Grecia, tra cui il Pikpa, che aiuta le famiglie più vulnerabili, e la No Border Kitchen, gestita da giovani attivisti tedeschi che sfamavano i migranti nelle spiagge.

 

Al G20 di Amburgo hanno riempito le strade di "zombie", giovani ricoperti di cenere
per risvegliare "l'umanità" 

La nave Sea Eye è stata fondata dal giovane imprenditore tedesco Michael Buschheuer di Ratisbona, mentre dietro la Lifeboat c’è una società di Amburgo. E’ a Berlino che ha sede il Migration Hub Network, che coordina 2.300 progetti per i migranti in tutta Europa. Questi idealisti tedeschi sono lo specchio di una generazione che ha preferito l’umanitarismo al servizio di leva. Quando crollò il Muro, soltanto il dieci per cento dei giovani ritenne “importante” l’esercito: nel 1980, erano quasi il 40 su cento.

Oggi la Bundeswehr fatica a trovare reclute e lancia in continuazione bandi per volontari. Sono gli stessi attivisti, giovanissimi, che hanno ospitato André Shepherd, il primo soldato americano disertore durante la guerra in Iraq, cui diedero ospitalità gli attivisti tedeschi di Tim Huber e del Military Counseling Network. Si tratta di una organizzazione che spinge i militari tedeschi di stanza in Germania a fare obiezione di coscienza.

 

Sono giovani pacifisti di confessione mennonita, figli di quel terrificante bagno di sangue che fu la Guerra dei trent’anni e da cui emerse la geografia morale della Germania moderna: pietista da una parte, prussiana dall’altra. Non solo, ma all’interno dello stesso esercito tedesco si registrano numeri altissimi di giovani obiettori. Cinquecento in soli due anni. Già nel 1982, 60 mila dei 354 mila giovani tedeschi soggetti alla leva chiesero, e ottennero, di essere esonerati per motivi di coscienza: il 17 per cento. Nel 1983 furono 70 mila. Cifre sbalorditive, perché negli altri paesi occidentali, gli obiettori oscillavano tra lo 0,25 e il due per cento.

“Attraverso la doppia catastrofe delle due guerre mondiali, i tedeschi si sono trasformati da una società violenta in una società post eroica”, ha dichiarato Hans-Ulrich Klose, un rappresentante del Bundestag ed esperto di politica estera per i socialdemocratici. “Molti tedeschi dicono di essere quelli che hanno imparato le lezioni della storia e che gli altri sono quelli che devono ancora impararle”. La “società post eroica” è l’espressione coniata dallo scienziato della politica Herfried Münkler. Come scrive Konstantin Richter della Zeit, “l’esercito tedesco zoppica anche per la sua mancanza di sostegno pubblico. Nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, i tedeschi si sono trasformati in veri e propri pacifisti, godendo del loro ruolo a margine di conflitti globali. La maggioranza del pubblico tedesco sostiene la Bundeswehr come un’organizzazione quasi-umanitaria, una sorta di Medici senza frontiere con le pistole”.

 

Negli anni, le idee di estrema sinistra sono tornate a fare grande presa sulla gioventù tedesca, dopo che la vicenda della Baader Meinhof li aveva allontanati dall’estremismo anti sistema. Secondo uno studio recente della Freie Universität di Berlino, un sesto dei tedeschi ha opinioni “di estrema sinistra” e questa percentuale aumenta molto fra i giovani. “Sono anticapitalisti, hanno opinioni radicali su questioni morali come la giustizia, la solidarietà e l’antirazzismo”, spiega Dieter Rink, professore di studi urbani all’Università di Lipsia ed esperto esperto in materia sociale movimenti. “In passato sarebbero stati chiamati anarchici”. Oggi sono gli umanitaristi radicali.

Come il paramedico Sebastian Jünemann della Cadus, ong che opera nel Mediterraneo, che ha fondato con un gruppo di paramedici, graphic designer, biologi, ingegneri. Queste ong spesso prendono volontari dai nuovi hipster tedeschi. Come quelli di Connewitz, coi graffiti “Stop the nazis” e i “comitati antifascisti” di quartiere. Vanno a migliaia a protestare ai congressi della destra estrema dell’Afd: un anno fa, a Stoccorda, 400 giovani attivisti vennero arrestati negli scontri con la polizia, scandendo slogan come “Niente diritti alla propaganda nazista”. Ma sono gli stessi che hanno tirato una torta in faccia alla leader della sinistra tedesca Sahra Wagenknecht quando questa ha invocato misure di chiusura sull’immigrazione.

 

Molti antifascisti sono confluiti nel gruppo “No borders”, attivo a Calais, a Ventimiglia e costituito da attivisti tedeschi. Ricordano i più noti “black bloc”, non a caso nati in Germania. Sotto la spinta di questa gioventù tedesca umanitarista radicale, sono tornate in auge anche le “marce della pace”, rese famose negli anni Settanta e Ottanta per le proteste contro le basi della Nato, gli euromissili e l’alleanza con gli Stati Uniti. Ad aprile, migliaia di giovani tedeschi hanno protestato contro l’industria degli armamenti. Una militanza che si traduce spesso in gesti eclatanti. Come la “marcia da Berlino ad Aleppo”, tremila chilometri per tre mesi di camminata attraverso la “rotta dei migranti”. Lo scorso 6 luglio, in occasione del summit del G20 ad Amburgo, migliaia di questi giovani tedeschi si sono ritrovati per una scena da “Walking Dead”. Le strade di Amburgo brulicavano di “zombie”, ragazzi e ragazze ricoperti di cenere per un appello “all’umanità e alla responsabilità morale”. Oppure quando gli attivisti tedeschi andarono in Bulgaria per una distruzione simbolica del confine con la Turchia eretto a Lesovo.

Gli attivisti no borders hanno smantellato anche le croci bianche sulle rive del fiume Spree, vicino all’ex Reichstag di Berlino, messe lì per commemorare le persone morte cercando di attraversare il Muro. Le hanno rimosse dicendo che, invece di ricordare l’anniversario della caduta del Muro, si doveva protestare contro quella che definiscono la “disumana” politica europea sui rifugiati. “Mentre tutta la Germania si prepara a ricordare la caduta del Muro di Berlino, ci sono nuovi muri in tutta Europa”, gli attivisti scrivono sul loro sito web, che mostra le immagini di croci bianche nell’enclave spagnola di Melilla, al confine con il Marocco e nelle zone di confine in Bulgaria e in Grecia. Gli attivisti appartengono al Zentrum für politische Schönheit, il “Centro per la bellezza politica” diretto da Nina van Bergen, che ha definito la Germania “terra del latte e del miele”.

 

Dai giovani che portano illegalmente i migranti in auto dentro Schengen a quelli che creano applicazioni
per i migranti

Anche Israele, terra di mille barriere e confini sempre vigilati e sigillati, è al centro dell’attivismo con il movimento della “Flytilla”: giovani militanti, molti tedeschi, che arrivano con i voli Lufthansa per portare solidarietà ai palestinesi. Un sondaggio della Fondazione Bertelsmann, due anni fa, ha mostrato percentuali bulgare di giovani tedeschi che hanno una opinione fortemente demonizzante di Israele. E’ un’altra conseguenza di questo estremismo umanitario. Fra le iniziative di maggior successo di questi attivisti c’è il Collettivo Peng, fondato da Max Thalbach. Prima hanno lottato contro l’inquinamento atmosferico, poi la fase antinucleare, ora la solidarietà radicale ai rifugiati. Dicono di voler “affinare i denti della società civile”. Nei poster e nella campagna online, questo gruppo di attivisti e artisti di Berlino porta in auto i rifugiati attraverso le frontiere europee. “Per i principianti” solo i confini dello spazio Schengen, dove non ci sono controlli dei passaporti. Alcuni di questi giovani attivisti tedeschi hanno lanciato un’applicazione per smartphone per aiutare i richiedenti asilo a sbrigare la burocrazia tedesca e a trovare un letto. L’idea è nata a Dresda, la città della Germania orientale dove la destra di Pegida è più popolare. Altri hanno creato Alarm Phone, una linea telefonica che hanno diffuso nei campi per migranti al fine di soccorrerli meglio.

Non lo fanno per soldi, come ha scritto cinicamente una parte della stampa. Lo fanno perché credono davvero che debbano “salvare il mondo”, che non esistano più culture e confini, che loro sono la meglio gioventù, che questo debba fare la prima “società post eroica” della storia. E’ l’idea che i mali di cui soffre l’umanità a causa dell’occidente dipendano da un responsabile unico che siamo invitati a smantellare. Il migrante è il nuovo Cristo che porta sulle spalle l’umanità dolente. Me ne assumo la responsabilità più totale e assoluta. Ma così facendo, divento spesso anche il nemico di me stesso.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.