Perché quelle foto con Maduro perseguiteranno Papa Francesco

Loris Zanatta

Il Pontefice si è tenuto alla larga dalla questione Venezuela, Parolin ha messo una pezza troppo tardi. Il regime ne approfitta

Le immagini che lo ritraggono insieme a Nicolás Maduro perseguiteranno a lungo papa Francesco: quelle festose dell’udienza del 2014, concluse con una benedizione davanti ai flash dei fotografi; quelle in Bolivia nel 2015, dove Maduro volle unirsi in un abbraccio al Papa dei governi bolivariani; e la breve e discussa visita in Vaticano del 24 ottobre 2016, dove di fare foto non era più aria e Francesco spalancò le porte del “dialogo” tra governo e opposizione: dialogo durato giusto il tempo di far scadere i termini costituzionali del referendum revocatorio richiesto dall’opposizione.

 

Già mi immagino le obiezioni stizzite degli eserciti pontifici, che tanto sprezzo provano per chi osa analizzare le idee e le azioni del Papa passandole attraverso il filtro cui, piaccia o meno, è soggetto ogni personaggio storico. Ecco, diranno: il solito paraocchi culturale, i vecchi pregiudizi ideologici; i critici del Papa non sanno di cosa parlano, non capiscono la dimensione spirituale del pontificato. Il Papa riceve tutti e Maduro era allora un presidente costituzionale eletto dal popolo! Cosa avrebbe dovuto fare? E il dialogo? Come può un Papa non perorarlo, anche a costo di fallire? La sua è una funzione profetica, non politica!

 

Alla base vi sono
le preferenze politiche
e le affinità ideologiche che Bergoglio
non ha mai celato
per i movimenti nazional popolari e l'indomabile antiliberalismo
che ne guida le simpatie e antipatie. Per questo
il Venezuela gli genera imbarazzi e per questo la sua azione diplomatica e pastorale non è stata efficace

Capisco l’irritazione, ma è ingenuo pensare che la diplomazia vaticana agisca in forma così angelicale, senza misurare implicazioni e conseguenze. La verità è che la natura autoritaria del regime chavista non è un fulmine a ciel sereno e benedirne il leader era una scelta impegnativa, un simbolo ingombrante, un eccesso di zelo. Di Maduro allora come di Chávez prima erano ben noti il viscerale odio antioccidentale, le persecuzioni politiche, l’occupazione delle istituzioni statali. Ed era altrettanto nota la pretesa di agire in nome di Dio, come disse Chávez in mille discorsi infarciti di riferimenti evangelici con cui si atteggiava a Cristo redentore degli umili.

Da laico, a me non importa se il Papa parla di Venezuela e cosa dice: credo che la soluzione della tragedia venezuelana dipenderà dai venezuelani e dalla loro capacità di rimettere in piedi le istituzioni civili e la fiducia sociale. La Santa Sede può fare ben poco e quel poco rischia di essere più d’intralcio che d’aiuto. Da storico, però, osservo che sul Venezuela il Papa balbetta. Ma se si è espresso una mezza dozzina di volte, urlano i suoi difensori? E’ vero, ma con frasi anodine che esprimevano “preoccupazione”: ci mancherebbe altro! Nemmeno l’ombra delle stoccate impartite a tanti governi europei. Come mai? Basti dire che Maduro ha buon gioco a profittarsene: il Papa, ha detto più volte, sta con noi, con gli umili, con il pueblo. Demagogia da quattro soldi, certo, ma cum grano salis: così facendo aspira infatti a insinuare un cuneo tra il Pontefice e la Chiesa venezuelana, tra clero chavista e clero antichavista. Sbaglia? Forse, ma a giudicare dall’abisso semantico che separa le parole del Papa da quelle dei vescovi venezuelani si direbbe che tale cuneo esiste eccome.

 

Che gli piaccia o no, insomma, il Papa rimane agganciato a Maduro: d’altronde il pueblo chavista è cattolico e le orde secolari militano nell’opposizione. Ma Maduro non è più solo il folklorico presidente cui lo spirito di Chávez si palesava in forma di uccellino, bensì l’uomo su cui gravano morti, torture, persecuzioni e tante altre cose di cui un giorno dovrà rendere conto. Se così è, c’è una ragione: alla base vi sono le preferenze politiche e le affinità ideologiche che Bergoglio non ha mai celato per i movimenti nazional popolari e l’indomabile antiliberalismo che ne guida le simpatie e antipatie. Per questo il Venezuela gli genera imbarazzi e per questo la sua azione diplomatica e pastorale non è stata efficace. Basterebbe un po’ di onestà intellettuale per riconoscerlo. Le chiavi con cui è solito interpretare il mondo non aprono alcuna porta in Venezuela. Anzi, è proprio lì che mostrano la loro inadeguatezza. Non è con il liberalismo che se la può prendere se il paese è andato a rotoli, né con la globalizzazione, con l’egoismo del primo mondo, con il demoniaco mercato e l’onnipotente finanza, con il cinismo consumista. I demoni che assillano l’universo ideale di papa Francesco, infatti, sono gli stessi contro cui combatte il chavismo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

 

Ma per fortuna c’è Pietro Parolin a cavare le castagne dal fuoco, contenere i danni, prendersi i fulmini: un diplomatico di grande scuola, che il governo chavista coprì infatti di ingiurie al tempo in cui fu Nunzio in Venezuela, contrapponendolo al Papa. A lui si deve il documento con cui la Santa Sede ha scaricato una buona volta Maduro e la sua costituente. I papisti hanno tirato un sospiro di sollievo e scaricato su noi critici la loro ansia: visto? Il Papa ha parlato chiaro, cosa volete ancora? Già. Sono il primo a celebrarlo. Ma è proprio così? Oppure quel documento è una improvvisata toppa sotto la quale fa capolino una catena di errori, a pensare bene, o di sconfitte, a essere realisti, in cui il pontificato è incorso?

 

L’impossibilità del dialogo

Lo fanno pensare tre elementi. Il primo è la tempistica: perché attendere il voto per l’assemblea costituzionale prima di dichiararne l’illegittimità, come già avevano fatto l’Unione europea e molti paesi latinoamericani? Finché il documento non è giunto a fugare i dubbi, la Santa Sede è apparsa sospesa tra i paesi liberal democratici e gli accoliti di Putin, in una specie di terza posizione. San Parolin ci ha messo una pezza. Il secondo sta nei silenzi del documento vaticano: perché il Papa non parla mai dei poveri venezuelani? Eppure la povertà è il suo cavallo di battaglia e i dati sulle conseguenze sociali delle deliranti politiche economiche chaviste fanno tremare le vene ai polsi. E la miseria cui l’ottuso anticapitalismo chavista ha ridotto il ceto medio non merita un cenno? No, mai. Infine c’è la questione del dialogo. Il documento vi accenna, ma chi dovrebbe dialogare con chi? Nell’ottobre scorso il Papa patrocinò il dialogo tra un governo che già violava la Costituzione e un’opposizione che alla Costituzione si appellava contro Maduro. Andò come doveva andare: tra la vittima e il carnefice vinse il secondo. Oggi la moneta del dialogo torna a tintinnare sul tavolo, ma di mezzo ci sono ormai i morti e tutto il resto: come pensare che il regime sia un interlocutore? Non lo è, difatti, e lo riconoscono anche coloro che nella chiesa esibivano una benevola neutralità verso il regime.

 

A dispetto di tutto ciò, Parolin ha dichiarato che il Vaticano non ha patito sconfitte e sta lavorando per una soluzione. Lo capisco: nei suoi panni direi le stesse cose. Ma è evidente che in Venezuela papa Francesco ha dato credito a chi credito non meritava, contribuendo a incancrenire la situazione più che a risolverla. Come mai? Per ragioni culturali. La crisi venezuelana espone infatti senza trucco la natura totalitaria dei populismi latinoamericani in cui una parte della Chiesa si ostina a vedere dei sani movimenti nazional popolari che promuovono il riscatto degli umili e proteggono le radici cristiane del pueblo dalla corruzione liberale. Ma ciò che è popolare alla luce del Vangelo può essere letale per la democrazia, il pluralismo, lo sviluppo, la giustizia sociale. Per questo le immagini sorridenti di Maduro e del Papa perseguiteranno a lungo Francesco.