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Il governo inglese va all'attacco di WhatsApp, ma non può avere successo

Eugenio Cau

Sicurezza vs. Privacy, Silicon Valley vs. Intelligence

Roma. Amber Rudd, ministro dell’Interno britannico di grandi ambizioni, è volata in questi giorni nella Silicon Valley per parlare di WhatsApp. La app di chat, secondo la Rudd, è diventato uno strumento molto usato dai terroristi internazionali perché si serve di un sistema di crittografia end-to-end, vale a dire un sistema di protezione dei dati degli utenti (delle conversazioni, del contenuto delle chat e così via) che è impenetrabile perfino per la stessa WhatsApp. Facebook, che distribuisce WhatsApp (ma il discorso potrebbe essere esteso ad altre app come Telegram), ha fornito ai suoi utenti strumenti eccezionali di protezione di cui però i terroristi si sono approfittati per organizzare attentati e attacchi. In un op-ed sul Telegraph di martedì, la Rudd ha chiesto a Facebook di considerare la possibilità di togliere questa protezione alla “gente normale”, che non ha bisogno di sistemi di sicurezza estremi ed è più che contenta quando il servizio funziona bene e basta. Così, le agenzie d’intelligence britannica e non solo potrebbero sorvegliare i sospetti di terrorismo in maniera più efficace, ed eventualmente prevenire nuovi attacchi.

   

La crittografia delle app di chat è un vecchio pallino di Londra. L’ex premier David Cameron ne parlava già nel 2015; Rudd fece un appello contro la crittografia a marzo di quest’anno e a giugno, dopo l’attacco terroristico di Londra, fu il premier Theresa May a dire che non si può consentire, attraverso la crittografia, che internet sia uno “spazio sicuro per i terroristi”. L’ultima proposta di Rudd, come le precedenti, ha però provocato le proteste degli attivisti per la privacy e la libertà d’espressione, secondo i quali togliere la protezione a WhatsApp non risolve il problema, ma ne crea altri: la “gente normale” sarebbe alla mercé di hacker, ladri d’identità, partner violenti, mentre i cittadini di stati autoritari non sarebbero più al riparo dalle intrusioni dei loro governi. I terroristi, poi, se ben organizzati ci metterebbero un attimo a trovare un’altra app protetta, o a farsene una da sé.

  

L’argomento pro sicurezza e quello pro privacy hanno entrambi degli elementi di ragionevolezza, ma poggiano su ipocrisie di cui è bene tener conto. L’ipocrisia più grande probabilmente è quella delle compagnie tecnologiche, che usano la crittografia come un elemento di marketing e proteggono la privacy e la sicurezza dei loro utenti spesso basandosi sulle convenienze del momento. Facebook, Apple, Google e gli altri sono tanto assertivi nella protezione della privacy e dei diritti davanti ai governi occidentali quanto docili davanti a governi autoritari che possono dare l’accesso a mercati fruttuosi. Apple lo ha dimostrato giusto questa settimana quando, su richiesta del governo cinese, ha rimosso tutte le app usate da giornalisti e dissidenti per aggirare la censura online. Un partner cinese di Amazon ha annunciato martedì la stessa mossa, mentre indiscrezioni di stampa degli ultimi mesi mostrano che Facebook sarebbe ben disposto a collaborare con la censura se gli fosse garantita la possibilità di accedere allo sterminato mercato online cinese.

  

D’altro canto, per molti governi la guerra alla crittografia sembra diventata un modo per giustificare le proprie manchevolezze in ambito d’indagine. L’insistenza su: non possiamo vedere i messaggi WhatsApp dei terroristi non oblitera il fatto che spesso questi stessi terroristi erano già noti alle forze dell’ordine, e che l’attentato più terribile degli ultimi anni, quello del novembre 2015 a Parigi, fu organizzato senza sistemi di crittografia. Trattare la questione della privacy con leggerezza, inoltre, può portare a danni incalcolabili, come dimostra il caso della Svezia, dove il governo ha ignorato alcune basilari misure di privacy per velocizzare i lavori informatici dell’agenzia dei trasporti e ha finito per trovarsi con i dati sensibili di poliziotti, piloti di jet e comuni cittadini esposti al pubblico.

  

Insomma, il viaggio di Rudd nella Silicon Valley rischia di trasformarsi nell’ennesimo insuccesso, perché le posizioni della comunità tecnologica e del mondo politico sono troppo distanti tra loro e soprattutto troppo prese da interessi divergenti. Tra i due fuochi, il pubblico sembra incerto. Dopo ogni attacco terroristico in Europa o negli Stati Uniti i sondaggi mostrano che la maggior parte dei cittadini è pronta a cedere privacy e diritti in cambio di maggiore sicurezza, ma eventi opposti, come il caso Snowden nel 2013, fanno cambiare l’opinione pubblica radicalmente, fino a portare i fautori della sicurezza in minoranza. Il dibattito è ancora fluido, ma sembra che nessuno voglia discuterne seriamente. 

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.