Adrien Quatennens (foto via YouTube)

Speranza impari da Adrien, il roscio di Francia

Giuliano Ferrara

Il deputato di France insoumise fa opposizione in nome di idee e non di insofferenze per gli abbracci di Pisapia

Si chiama Adrien Quatennens, ha 27 anni, roscio, deputato eletto a Lilla, dunque nel nord della Francia, Jean-Luc Mélenchon gli ha affidato il coordinamento della battaglia contro la riforma dell’articolo 18 per decreto voluta da Macron, è molto diverso da un Roberto Speranza, per dire, ma anche dai vari profeti d’apparato che infestano in Italia la sinistra della sinistra o come volete chiamarla, e non gli verrebbe mai in mente di occuparsi degli abbracci o dei cortesi saluti tra questa e quella componente della gauche, ha altro da fare e lo fa. Adrien ha stupito l’Assemblée nationale, riunita a Palais Bourbon, con un discorso competente di mezz’ora, da lui personalmente preparato e non sottoposto preventivamente all’approvazione di Mélenchon.

 

Come tutti i presidenti che hanno contato nella storia della Repubblica, Macron mette fretta al Parlamento, il cui ordine del giorno è notoriamente fissato dal governo. Così il giovane Quatennens ha dovuto riperticare in fretta e furia i saggi e gli esperti della campagna elettorale della France insoumise, Fi, approntare 120 emendamenti al Jobs Act del vincitore delle elezioni, e segnala che il loro numero non è ostruzionistico, loro non fanno ostruzionismo tribunizio e non sono andati a Versailles a battere le mani al nuovo presidente jupitérien perché non era il caso, ma sopra tutto perché dovevano prepararsi alla battaglia in aula. Così puntualizza Adrien.

In una bella intervista al giornale online trotskista intelligente, Mediapart, il deputato di Lilla spiega che quella di Macron è una linea socialmente dura, che la sua riforma del codice del lavoro punta a sopprimere alcune garanzie del mercato del lavoro (più chiuso e protetto del mondo), che il vero obiettivo è la contrattazione aziendale invece che per categorie lavorative o addirittura come diciamo noi confederale, perché il suo schema di società economica è liberale all’americana (di una volta), si distacca dalla tradizione francese (che ha iperprotetto i protetti e, su questo Adrien tende a glissare, lasciato nel brago i giovani non protetti, con risultati pessimi dal punto di vista dell’occupazione e dell’innovazione).

 

Ma non è la sua opinione che conta. Conta il metodo. Molto macroniano, pur essendo l’eletto un fiore della truppa messa insieme da un grande retore politico, un Bertinotti non solo umanamente ma anche politicamente riuscito, il suo mentore Mélenchon, l’opposto simmetrico del presidente eletto, anche lui però piuttosto jupitérien. Adrien dice che bisogna parlare a tutti i francesi, che bisogna parlare dei problemi del paese, che non ci si deve chiudere in una discussione di nomenclatura sul vecchio nucleo della France insoumise, che è il piccolo Parti de gauche all’origine della cavalcata presidenziale in cui la sinistra della sinistra, nella forma di un nuovo movimento politico, ha battuto in breccia i vecchi socialisti, portando il loro candidato Benoît Hamon al livello del 6 per cento.

 

Il suo scopo non è stupire per radicalismo, ma per competenza e significatività delle proposte alternative a quelle del governo, non vuole sputare in faccia ai sinistri e ai destri che hanno raggiunto il movimento vittorioso de La République en marche, vuole invece risultare convincente verso questa specie di Pd renziano francese o parti de la nation, vuole che affiorino le sue diverse anime, che nascano delle linee di discrimine intelligenti, politicamente utili non solo alla stesura dei testi parlamentari ma anche alla creazione di un nuovo stile politico nei rapporti complicati tra opposizioni minoritarie e una maggioranza rilevante e trasversale. 

  

Adrien non fa l’occhiolino all’opposizione della destra sociale o ai grillos francesi di Marine Le Pen o di Florian Philippot, se ne guarda bene. Ed è molto prudente sui sindacati, dice che bisogna andare alle loro manifestazioni ma la politica non la fa la Cgt di Martinez, il baffuto lottatore continuo, la politica ha le sue sedi istituzionali e di movimento.


A questo proposito, estendendo in modo ambizioso e propositivo il suo ruolo di portavoce per le questioni sociali, Adrien dice anche che la France insoumise è passata a 500 mila iscritti dagli 8 mila che erano nel Pg, e questo crea il problema di non fissare nel marmo un nuovo partito, con le sue dinamiche d’apparato, al punto che nella sua fantasiosa spericolatezza suggerisce di affidare la guida dell’operazione opposizione a un’assemblea creata ogni volta con il metodo del sorteggio, per evitare canali troppo rigidi, mucche nel corridoio e gruppi dirigenti polverosi dalla nascita.

   
Ecco. Suggerisco a Roberto Speranza e a molti altri del suo staff di leggersi l’intervista del roscio di Francia, sorteggio a parte che mi pare un po’ tanto, e di fare un pensierino sul fatto che si possono anche perdere con onore le elezioni, e si può aspirare alla guida dell’alternativa di opposizione, ma in nome di idee e non di insofferenze per gli abbracci di Giuliano Pisapia. Quelli come Montanari in Francia sono nelle catacombe. E ci restano.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.