Foto LaPresse

Quel "purismo" di Erdogan che ha lacerato i rapporti tra Turchia ed Europa

Maurizio Stefanini

“E' in corso uno sforzo per recidere la storia e l’eredità turca dall’Europa". Due chiacchiere con lo scrittore Zafer Senocak

Roma. “Sono irritato. Sono profondamente irritato per questo scontro tra la cultura politica tedesca e quella turca. Ma è stato quel che hanno fatto i politici turchi negli ultimi anni a provocarlo”. Probabilmente il più noto scrittore turco-tedesco vivente, Zafer Senocak negli anni passati ha scritto molto per denunciare le incomprensioni della Germania e dell’Europa verso turchi e musulmani. Ma in questa conversazione con il Foglio, non ha dubbi, le colpe della crisi ricadono sul presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.

 

Ieri il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaüble, ha paragonato il regime di Ankara alla Germania dell’est, mentre il governo di Berlino ha denunciato le attività “assurde” della Turchia, dicendo ai propri cittadini e ai propri imprenditori di usare molta cautela, e di valutare di non andare nel paese. Troppa incertezza, troppo pericolo. Erdogğan accusa la Germania di un “doppio standard nell’approccio al diritto” in base al quale impedirebbe “che i terroristi vengano portati davanti alla giustizia” mentre accoglie “membri di gruppi terroristici che prendono di mir” la Turchia: il presidente turco ce l’ha con il gruppo che fa capo all’odiato Gulen, che secondo Ankara è riuscito a farsi accreditare molto in terra tedesca. In mezzo infatti ci sono i turco-tedeschi, il cui numero varia moltissimo a seconda delle stime, da un minimo di 2,5 a un massimo di 7 milioni di persone. Uno tra i più famosi di loro è appunto Zafer Senocak, scrittore, poeta, saggista, traduttore, writer in residence in varie università statunitensi, insignito tra l’altro del premio Adalbert von Chamisso della Fiera del Libro di Francoforte. Nato ad Ankara nel 1961 e residente in Germania dal 1970, proprio a partire dei problemi di identità dei turco-tedeschi aveva scritto nel 2011 un libro che è appena stato pubblicato in italiano: “Essere tedeschi. Qualche pensiero chiarificatore” (Oltre Edizioni, 176 pp., 18 euro). Lì ricorda come anche prima della recente ondata migratoria la Germania era sempre stata un modello per i modernizzatori turchi (molto belle sono le pagine dedicate a uno zio di sua madre capitano di cavalleria che durante la Prima guerra mondiale cadde sul fronte del Caucaso, lasciando un baule di libri in tedesco). Ma adesso, denuncia, “è in corso uno sforzo per recidere la storia e l’eredità turca dall’Europa e stabilire una ‘pura’ identità turca basata su alcuni aspetti dell’islam. Tutto il mio libro è un attacco a questa moda del ‘purismo’ che si è diffusa negli ultimi anni, non soltanto in Turchia”.

 

Nel 2011 il libro sembrava accusare gli europei di non rendersi conto di quanto la Turchia fosse ormai un paese secolarizzato, e di proiettare sui turchi fantasmi ormai appartenenti al passato. Ma adesso i fantasmi sembrano riaffacciarsi, con i 22 cittadini tedeschi arrestati in Turchia nell’ultimo anno, e il governo turco che accusa grandi imprese tedeschedi “appoggiare il terrorismo”. “La modernizzazione turca è stata una speranza per tutti coloro che volevano vivere in una società aperta e democratica – dice ŞSenocak – C’è stato un grande sforzo per affermare la Turchia come una storia di successo nel mezzo di una regione caotica e impoverita. Adesso questo modello turco sembra fallito, ma io voglio dire che la Turchia pluralista e ibrida non era solo un modello. E’ una realtà. La Turchia ha una lunga esperienza di modernizzazione, le memorie e le vite di molta gente sono ricche di storie come quelle che ho raccontato nel mio libro. Questa è la ragione per cui Erdogan ha così tanti problemi nell’imporre alla Turchia un rigido regime islamista. Purtroppo è però riuscito ad avvelenare l’atmosfera politica ed a rovinare le relazioni con i paesi occidentali, e metà della popolazione lo appoggia”. Ma di chi è la colpa di questa involuzione? Qualcuno sostiene che è stata l’Europa a radicalizzare Erdogan bloccando l’adesione all’Ue, ma Senocak dice che non bisogna perdere troppo tempo a caccia di colpe, “quel che a me interessa è raccontare le storie delle persone, per creare un’alternativa politica attraverso l’immaginazione. C’è ancora molta più realtà turca in una romanzo turco che non in un discorso di Erdogan”.

 

La questione tedesca ha delle sue peculiarità, dice lo scrittore, che hanno a che fare con i sensi di colpa storici del paese: “Il problema identitario dei tedeschi porta a una lingua ‘spezzata’ che i migranti hanno spesso difficoltà a comprendere. Ma per uno scrittore è affascinante osservare queste condizioni postnazionali, dove si toccano non soltanto le lingue ma anche le storie, le differenti esperienze e le mentalità”. Nel suo libro Senocak insiste sul fatto che l’identità si basa sulla lingua, non sulla fede, ma sarebbero ancora le stesse una Germania musulmana o una Turchia cristiana? “Ma davvero la religione è così importante, o si tratta di una fissazione dei media? Le foto di donne velate fanno molto effetto, ma rappresentano davvero la maggioranza dei musulmani? Secondo me, la maggioranza dei musulmani europei è costituita da non praticanti. La cultura è più della religione, e il futuro delle comunità migranti in Europa sarà deciso dall’economia, non dalla religione”.

 

Il libro però spiega pure che i migranti rimasti in Germania erano spesso quelli che avevano avuto meno successo, emarginati. Si spiega anche così la radicalizzazione jihadista della terza generazione di migranti in Europa? “Il jihadismo va in parallelo con i movimenti europei di estrema destra. E’ un movimento di ‘pura identità’ basato sull’illusione di un mondo chiuso legato a regole e frontiere stabilite. Non credo sia solo una reazione a un’integrazione fallita, ma è qualcosa di più complesso. Anni fa scrissi un libro che si intitolava ‘Lettere non scritte ai padri’, e che era una replica alla 'Lettera al Padre’ di Franz Kafka. Secondo me nella cultura islamica la violenza risultante dal fallito dialogo con il padre non si rivolge contro di sé come in Kafka, ma verso gli altri. Diventa una guerra tra comunità immaginarie”.

Di più su questi argomenti: