Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

E' in corso una campagna contro la Turchia, ci dice l'ambasciatore

Eugenio Cau

A un anno dal fallito golpe, Ankara non riesce a togliersi l’ossessione. Le accuse dell’Europa

Roma. Per la Turchia, il fallito golpe del 15 luglio di un anno fa, quando una parte dell’esercito cercò di prendere il potere bombardando Ankara, è un’ossessione che non si rimargina. Lo è per il presidente Recep Tayyip Erdogan, che da un anno esatto cita il tentato golpe praticamente in tutti i suoi discorsi, trasformandolo in un’arma retorica potente che gli ha consentito, dopo lo scossone, di consolidare ancora di più il suo status. Lo è per l’opposizione, che accusa Erdogan di avere approfittato del golpe per indebolire lo stato di diritto, ammassare potere e imprigionare i suoi nemici. Il capo del Chp, il Partito repubblicano e kemalista che è la principale forza anti Erdogan, le scorse settimane ha organizzato una lunga marcia a piedi da Ankara a Istanbul per chiedere giustizia dopo che le indagini post golpe erano arrivate a lambire la dirigenza del suo partito, e la sua protesta si è trasformata in un movimento di massa. Secondo il ministero della Giustizia turco, nell’ultimo anno 50.510 persone sono state arrestate e 169.013 sono in attesa di giudizio per sospetti collegamenti con la Fetö, l’organizzazione terroristica che secondo il governo fa capo al religioso esiliato Fethullah Gülen e avrebbe ordito il colpo di stato fallito. Ma il golpe è anche una ferita che non si rimargina nelle relazioni internazionali. Nell’ultimo anno il clima tra Ankara e i suoi partner occidentali si è fatto a volte ostile. Nei discorsi di Erdogan le citazioni del fallito golpe si annodano ad accuse all’occidente, da ultimo ieri in un’intervista alla Bbc, in cui il presidente dice che se l’Unione europea interrompesse il processo di ingresso della Turchia sarebbe quasi “un sollievo”, visto il suo comportamento “non sincero”, anche se la Turchia, ha detto, rimarrà “sincera ancora per un po’”.

Nonostante questo “non abbiamo intenzione di rinunciare alle nostre relazioni con l’Europa”, dice al Foglio Murat Salim Esenli, l’ambasciatore turco a Roma. “C’è un’interdipendenza tra noi. Dopo il tentato colpo di stato le relazioni si sono fatte sospettose, ma adesso siamo pronti a guardare al futuro con ottimismo”.

 

Il fallito golpe ha segnato il punto più basso dei rapporti tra l’occidente e la Turchia, già tesi dopo anni di polemiche. I turchi hanno subìto una delusione cocente quando hanno visto che l’Europa ha atteso il risultato degli scontri prima di dare il proprio sostegno alla parte vincitrice, come se quasi sperassero nella caduta di Erdogan (ma l’Italia è stata un’eccezione positiva, dice l’ambasciatore), e gli europei, d’altro canto, hanno visto nelle purghe dei mesi successivi la prova della discesa di Ankara verso l’autoritarismo. L’Europa ha iniziato a protestare per l’ondata di arresti, e la Turchia ha preso le critiche come prova ulteriore di un’alleanza ormai a brandelli. Oggi, i turchi sono convinti di essere vittime di una grande opera di demonizzazione: “La Turchia è un elemento fondamentale di stabilità non solo per la regione ma anche più in generale per l’Unione europea”, dice l’ambasciatore Esenli citando come esempi del “perfetto comportamento della Turchia” la gestione della crisi migratoria e la lotta al terrorismo. “Ma sentiamo che i nostri sforzi non sono apprezzati come dovrebbero, anzi: siamo perfino criticati”. Secondo l’ambasciatore, che riecheggia la retorica erdoganiana, se la reputazione di Ankara in occidente è ai livelli minimi da oltre un decennio è esclusivamente per fattori esterni: non c’è spazio per la riflessione autocritica nel discorso pubblico turco.  Per giustificare l’enorme numero di persone arrestate nel corso di questo anno in relazione al golpe, l’ambasciatore spiega che è un problema di prospettiva: “Il fallito golpe è stato un evento senza precedenti ed è comprensibile che si faccia fatica a empatizzare con le misure che abbiamo preso, e che comunque rispettano le garanzie di legge”. Ma da qui è partita una campagna antiturca che avrebbe molti responsabili: “Elementi dell’organizzazione Fetö si sono infiltrati nei media internazionali per gettare discredito sulla Turchia”, dice l’ambasciatore. “I media, le ong e certi leader hanno posto una cortina di fumo tra noi e l’Europa per non far vedere che abbiamo fatto grandi sforzi per risolvere i problemi non solo nostri, ma anche quelli degli europei”. E le decine di giornalisti imprigionati? Per il governo non c’è libertà di stampa che tenga: “Nessuna professione è immune”.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.