Berlino omaggia le vittime dell'attacco terroristico Attacco a Westminster. Foto Sipa USA

I "musulmani moderati" che scelgono Berlino

Giulio Meotti

Sono i Voltaire tedeschi. Ma hanno tutti bisogno della scorta sotto la porta di Brandeburgo

Roma. Seyran Ates ha della Germania una visione che è l’esatto contrario di quella che aveva un altro tedesco, il Premio Nobel per la letteratura Günter Grass: un bagno intasato, “continuiamo a tirare l’acqua, ma la merda torna sempre a galla”. Per Seyran Ates, la Germania è invece una benedizione della libertà.

    

Per questo Ates aveva pensato che non ci fosse posto migliore di Berlino per aprire la Ibn Rushd-Goethe, la prima “moschea liberale”, aperta a donne senza veli, omosessuali, atei, sufi, tutti coloro che l’islam fondamentalista vuole mettere a tacere o, peggio, eliminare. Ma terminati i flash dei fotografi, per Ates sono arrivate le minacce di morte. E sei agenti della polizia tedesca sono oggi a sua protezione. Ates non è nuova alle minacce. Chiuse il suo studio legale a Kreuzberg, il quartiere turco di Berlino, sospendendo la collaborazione con i due consultori che offrivano assistenza alle donne musulmane dopo che, fuori dal metrò, venne aggredita dal marito di una cliente che voleva divorziare. Le gridò “hure!”, puttana. Seyran Ates si è beccata anche una pallottola alla gola (i segni di quell’attentato se li porta ancora dietro). I lupi grigi volevano mettere a tacere questa splendida dissidente islamica nata a Istanbul e cresciuta a Berlino. Ma Ates non era destinata a finire come il giornalista armeno Hrant Dink. Il proiettile si fermò tra la quarta e la quinta vertebra. Ates ci ha messo cinque anni per riprendersi dalle ferite.

   

Una settimana dopo l’inaugurazione della “moschea liberale” di Berlino, la stanza di preghiera era già vuota, col numero di fedeli pari al personale di sicurezza messo a loro protezione. Contro Ates sono arrivate fatwa dall’Egitto e dalla Turchia, tanto che il presidente Recep Tayyip Erdogan, stando a quanto ha scritto il quotidiano Welt am Sonntag, avrebbe chiesto al governo tedesco di chiudere la moschea liberale. “Riceve trecento lettere di sostegno al giorno, ma tremila di minacce”, ha fatto sapere l’avvocato di Seyran Ates. Ma la sua sorte non è unica.

  

La Germania ospita molti musulmani davvero “moderati” che devono vivere sotto la protezione della polizia, non i tipi dalla lingua biforcuta come Tariq Ramadan, che ha appena giustificato la mutilazione genitale femminile (“fa parte della nostra tradizione”), e neppure i capi delle comunità islamiche occidentali, così rassicuranti in tv. Sono invece i giornalisti e gli attivisti che sfidano il terrore e che, senza una protezione, si trasformerebbero in martiri moderati. Come Hamed Abdel-Samad, scrittore egiziano protetto dalla polizia tedesca e che in Italia ha appena pubblicato Fascismo Islamico (Garzanti). E’ rimasto sotto scorta per due anni il sociologo tedesco Bassam Tibi, reo di auspicare un “Euro islam”. E’ sotto scorta la politica socialdemocratica, Ekin Deligöz, che aveva lanciato questo appello: “Alle donne musulmane come me dico che nascondere il proprio volto è un segno di inferiorità e di sudditanza: mostrarlo è invece una conquista e un segno di sicurezza delle proprie idee”. Come Fatma Bläser, l’autrice del romanzo Hennamond, vittima di un matrimonio forzato e che gira le scuole con la polizia per sensibilizzare i giovani. Il mese scorso ha chiesto la protezione della polizia Zana Ramadani, autrice del libro The veiled threat. Non si muove senza scorta Mina Ahadi, che ha fondato il Consiglio degli ex musulmani, ovvero coloro che hanno abbandonato l’islam compiendo “apostasia”, un reato passibile di pena di morte. La stessa condizione per Necla Kelek.

  

Quando Can Dündar, il più coraggioso giornalista turco, corsaro direttore di Cumhuriyet (l’unica testata turca che ha espresso solidarietà con Charlie Hebdo), ha lasciato Ankara alla volta della Germania, non avrebbe mai immaginato di aver bisogno anche a Berlino della protezione della polizia. Con la differenza che, in Turchia, i poliziotti perquisivano la sua casa in cerca di articoli compromettenti, mentre a Berlino sono a guardia della sua abitazione.

  

Questi musulmani vengono spesso paragonati a Voltaire. Ma lo scrittore francese non si fece un milione di nemici che, riconoscendolo in tv, avrebbero potuto scambiarsi informazioni per pianificarne la decapitazione sugli Champs-Elysées. E’ quello che può invece succedere ai Voltaire dell’islam sotto la Porta di Brandeburgo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.