Donald Trump e Narendra Modi (foto LaPresse)

L'abbraccio di Modi all'America

Redazione

Trump vuole crearsi un club di leader nazionalisti, ma rischia la delusione

L’analisi minuziosa delle strette di mano di Donald Trump – sul fatto che Trump stringa o meno la mano a un leader internazionale, con quanta forza e per quanto tempo la stringa, quanta resistenza incontri e così via – è stata finalmente interrotta da Narendra Modi, espansivo premier indiano, che lunedì sul prato del Rose Garden ha usato la mano tesa di Trump come appiglio per un caloroso abbraccio tra i due corpaccioni di governo. Trump, famosissimo germofobo, ha subìto l’abbraccio indiano con terrore, a giudicare dalla smorfia disgustata che è apparsa sulla sua faccia, ma si è dovuto prestare alla scenetta: il primo ministro indiano è ospite d’onore alla Casa Bianca. Q   uesta è una costante che non è cambiata rispetto all’Amministrazione precedente: anche Barack Obama negli anni scorsi si era prestato agli abbracci di Modi e gli aveva reso tutti gli onori disponibili. Qui però finiscono le somiglianze, perché sull’India le due Amministrazioni americane soffrono due diverse miopie. Se Obama vedeva in Modi un importante alleato contro l’espansione in Asia della Cina (quest’alleanza non si è mai concretizzata davvero), Trump vede un membro di una più ampia alleanza di leader nazionalisti che, al contrario, comprende il presidente cinese Xi Jinping – e magari, quando la situazione sarà migliore, anche il russo Putin. Ma la strategia trumpiana di fare affidamento su uomini forti poco democratici anziché sui leader tradizionali ha già fallito: si veda proprio la Cina, su cui Trump contava per risolvere la crisi nordcoreana, e che invece ha dato al presidente americano una cocente delusione.

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