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Il pessimismo del Vaticano per la logorante crisi venezuelana

Matteo Matzuzzi

Libertà per i detenuti politici, apertura di un canale umanitario, rispetto dell’autorità del Parlamento, nuove elezioni. Perché senza l’accettazione di questi quattro punti, Papa Francesco non entrerà in gioco

Roma. Oggi il cardinale Pietro Parolin incontrerà in Vaticano una delegazione di Idea, l’Iniziativa democratica per la Spagna e l’America. Tema del colloqui: gli sviluppi della crisi in Venezuela, dove il numero dei morti negli scontri è salito a settantadue. Davanti al segretario di stato, che ben conosce quella realtà per essere stato nunzio a Caracas prima del ritorno a Roma nell’autunno del 2013, ci saranno (tra gli altri) gli ex presidenti della Bolivia e della Colombia, Quiroga e Pastrana. Sarà l’occasione per ribadire sì l’impegno della Santa Sede in relazione allo scontro tra le parti in causa, ma anche per riaffermare che un ruolo più diretto del Vaticano come “facilitatore” potrà concretizzarsi solo se saranno rispettate le condizioni che lo stesso Parolin aveva messo per iscritto nella celebre lettera inviata al governo e all’opposizione lo scorso 1° dicembre. E cioè se sarà data attuazione a quella che il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, definì in un’intervista con il Foglio “una magna carta della democrazia”: libertà per i detenuti politici, apertura di un canale umanitario, rispetto dell’autorità del Parlamento, nuove elezioni. Senza l’accettazione di questi quattro punti, il Papa non entrerà in gioco, al di là dell’ascolto di quanti gli hanno chiesto e gli chiederanno udienza e delle esortazioni a cercare un canale che possa porre fine alla violenta escalation. Di più, no: tutto Francesco vuole meno che essere strattonato da una parte o dall’altra, usato come sponsor improprio delle fazioni che si contendono il futuro del Venezuela e che in questi mesi hanno più volte (soprattutto il governo attraverso le sue numerose ramificazioni anche sociali) cercato di appropriarsi del sostegno della chiesa.

 

Va letta in questo contesto, ad esempio, la richiesta che don Numa Molina, parroco della chiesa di san Francesco a Caracas, ha fatto agli altri sacerdoti connazionali, e cioè di lasciar parte le battaglie politiche con tanto di bandiere e cori patriottici e minacce di morte ai nemici fatte dai pulpiti, sugli altari, davanti al tabernacolo. Don Molina ha criticato il “proselitismo per l’opposizione” che viene fatto all’interno delle chiese, auspicando che tali luoghi restino sacri ed estranei a quel che accade nelle strade. Una situazione complessa, dunque, la cui soluzione appare assai lontana.

Lo stesso Parolin, qualche giorno fa, parlava di notizie “non incoraggianti”, a sottolineare che le posizioni tra Maduro e gli oppositori erano sostanzialmente rimaste invariate, come se si trattasse d’una guerra di trincea. Logorante ma senza sbocchi. Mercoledì è intervenuto anche l’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, mons. Bernardito Auza, con una dichiarazione rivolta all’Assemblea generale dell’Organizzazione degli stati americani, che s’è svolta a Cancun. Auza ribadisce che alla crisi si può rispondere solo con un “negoziato serio e sincero” tra le parti. E – particolare non irrilevante – bisogna stare in guardia dai facili entusiasmi, come quello relativo alla convocazione di un’Assemblea costituente. Il rischio concreto, ha detto il diplomatico vaticano, è che un’iniziativa del genere possa “complicare la situazione e mettere a repentaglio il futuro democratico del paese”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.