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In un anno di (non) Brexit la May è diventata volenterosa, l'Ue freddina

Paola Peduzzi

Juncker non considera "sufficiente" l'offerta di Londra sui diritti dei cittadini. Il gioco del poliziotto cattivo

Milano. Theresa May, premier britannico, sta facendo di tutto per mostrare la sua buona volontà con gli europei, dopo aver per mesi fatto la voce grossa. La storia della Brexit – è passato un anno da quando il 52 per cento degli inglesi ha votato per uscire dall’Unione europea – sta tutta qui, in questa buona volontà che la ritrosa May è costretta a ostentare, perché il negoziato del divorzio sta diventando tutto a suo sfavore, e gli europei lo sanno benissimo. “La May offre e gli europei non rispondono o sono un po’ freddini”, dice al Foglio Nicholas Vinocur, corrispondente da Parigi per Politico Europe in questi giorni a Bruxelles per seguire il primo summit europeo del presidente francese, Emmanuel Macron. La May ha detto che nessun cittadino europeo andrà via dal Regno Unito – lunedì il governo inglese pubblicherà un documento specifico sulla questione, che è quella che tormenta di più le comunità di cittadini europei che abitano nel Regno – dando una garanzia molto forte, anche in controtendenza rispetto al passato. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha commentato: “E’ un primo passo, ma non è sufficiente”. Qualche tempo fa, la May avrebbe risposto con i suoi toni aspri, l’Europa ci, mi vuole boicottare, ma ora non lo può più fare, perché è politicamente debole, e perché gli europei hanno capito che a loro, in questo momento, basta rimanere un pochino fermi, l’affanno è tutto degli inglesi. “Non c’è più nemmeno bisogno di essere punitivi”, dice Vinocur, questo valeva “sei mesi fa”, quando la Francia temeva che l’effetto domino della Brexit potesse travolgerla e quando, appunto, si pensava che un passo indietro su sovranità e immigrazione sarebbe stato inevitabile per l’Ue. 

   

Ora i rapporti di forza sono invertiti, Londra trema e gli altri sorridono, i ragazzi francesi che andavano a Londra restano nel loro paese ad accogliere chi lascia la City – secondo il Monde le domande di cittadinanza francese da parte dei britannici sono aumentate del 254 per cento dall’anno scorso – e semmai la questione è diventata: chi è che vuole fare il poliziotto cattivo con la May? “La Germania non ha alcun interesse – dice Vinocur – è già passata per ‘la cattiva’ con la Grecia, non vuole in alcun modo che ora la Brexit si trasformi in vittimismo contro lo strapotere tedesco”. Più duro certo è il giovane Macron, anche se pure lui non ha interesse a essere il castigatore degli inglesi, semmai fa il puntiglioso, mestiere che pare riuscirgli benissimo. “Con la Brexit Macron adotta lo stesso schema applicato a Trump sul clima – dice Vinocur – Trasformo la tua decisione isolazionista, come quella di uscire dall’accordo sul clima, in uno spot a mio vantaggio, per l’Europa e per la Francia”. Gli interessi francesi sono ovviamente al primo posto, “è ovvio che la Macronmania è una esagerazione”, l’Europa è sempre l’Europa, con le sue divisioni, le sue fratture, le sue incomprensioni, “al summit – dice Vinocur – è stata di nuovo la volta della frattura ovest-est, su cui la Francia ha molte responsabilità”. Ma è cambiato il tono, e Macron può dire il suo “Europe first” senza suonare ridicolo.

   

Questo è il guaio per la May, lei che di toni non ne conosce tanti e che è per natura rigida e inflessibile. La Brexit ancora non c’è stata ma è cambiato tutto lo stesso, e questo forse è il danno irreversibile del calcolo elettorale sbagliato del premier inglese, non aver ancora iniziato nulla con il divorzio più difficile della storia europea ed essere già tanto in difficoltà. Ieri, in occasione dell’anniversario del referendum, il Times ha pubblicato una rilevazione secondo la quale non soltanto il sostegno alla Brexit è sceso (questo si sa, ma si diceva anche prima del referendum che l’euroscettismo non era maggioritario, eppure) ma sono cambiate le priorità e le richieste tra chi sostiene comunque il “leave”. La percentuale di chi voleva il controllo dell’immigrazione è passata in un anno dall’83 al 53. La percentuale di chi voleva il libero scambio con l’Europa, al contrario, è schizzato dal 17 al 31. Sono cambiate le priorità, forse la Brexit vista da vicino non è così bella, gli europei ci sperano sempre più che – “Imagine”, come canta Tusk – la Brexit poi non ci sia. Vinocur dice che secondo lui ci sarà, la decisione è stata presa e non si torna indietro, ma ora gli accordi transitori dopo il marzo del 2019 prendono tutto un altro significato: è tempo in più, è possibilità di cambiare idea davvero.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi