Il bus dei giocato del Borussia colpito da una bomba l'11 aprile scorso

Così la Germania inganna la popolazione su portata e origine del terrorismo

Alberto Brambilla

La polizia tedesca censura gli attentati islamisti causa elezioni

Roma. Mentre in Europa è massima allerta attentati, un documento “strettamente riservato” della Bundeskriminalamt, la polizia criminale tedesca, mostra come in Germania le forze di sicurezza sono ufficialmente chiamate dal ministero dell’Interno a evitare di diffondere allarmismi in caso di attacchi terroristici islamisti con ogni mezzo – la censura delle informazioni al pubblico, la mistificazione dei fatti e la rimozione sistematica di riferimenti a Stato islamico e islam – durante quest’anno elettorale. Il contenuto dell’informativa di venti pagine è riportato in esclusiva dal Corriere del Ticino del 20 giugno, firma Stefan Müller, che lo definisce “autentico”. Negli scorsi mesi una serie di attentati ha scosso la nazione leader d’Europa che ha fatto del suo modello di integrazione multiculturale un vanto. La strage del 19 dicembre al mercatino di Natale a Berlino (12 morti, una cinquantina di feriti) ha esacerbato il clima di paura, da qui l’esigenza per l’autorità di diffondere delle linee guida su come presentare i fatti al pubblico per non turbarlo.

 

“Come agire in presenza di attentati terroristici – è l’oggetto del documento della polizia criminale – Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve sempre negare tutto. Lo staff di consulenza del governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica”. Quindi offrire a bella posta una versione diversa dalla realtà. Inoltre deve essere negata la matrice islamista degli attentati e gli attentatori devono essere descritti come lupi solitari/malati di mente. “Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari – prosegue il documento rivelato dal giornale svizzero – Divulgare la teoria dell’attentatore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di Is (Stato islamico) o di islam”.

 

E’ ragionevole ipotizzare che un primo inganno clamoroso sia stato quello dell’attentato dell’11 aprile scorso a Dortumund, un tentato attacco dinamitardo al pullman del Borussia il giorno del match di Champions League contro il Monaco. Secondo la polizia l’attentato è stato inizialmente rivendicato tre volte dallo Stato islamico, ma la pista islamista è stata poi esclusa dalle autorità con una ricostruzione che descriveva il presunto autore Sergei W., 28enne russo-tedesco arrestato a Tubinga dalle teste di cuoio dell’antiterrorismo, come un criminale comune disposto a uccidere una squadra di calcio per ottenere guadagni in Borsa. La problematica del terrorismo e dell’integrazione di immigrati da paesi musulmani è scottante in Germania – paese sfruttato come base logistica dagli attentatori di New York e Washington l’11 settembre 2001, capitanati da Mohammed Atta, egiziano di Amburgo – e viene scientificamente rimossa. In vista del rinnovo del Bundestag il 24 settembre, scadenza cruciale per la Cdu della cancelliera Angela Merkel, in corsa per il quarto mandato, l’ordine è dunque quello di anestetizzare il senso di ansia nell’opinione pubblica nonostante l’allerta sia in verità da allarme rosso e la polizia criminale consideri altamente probabili eventi distruttivi in altre città importanti come Colonia e Francoforte, oltre il bis a Dortmund. Se la classe politica del paese egemone d’Europa ha come strategia di sicurezza la censura del terrorismo islamista per convincere la popolazione che il problema non esiste c’è solo da sperare che il continente non segua la stessa direzione.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.