Wolfgang Schäuble (foto LaPresse)

Divorzi in evoluzione

Cos'è la "soft Brexit"? Non quello che si pensa, basta sentir Schäuble

David Carretta

Il ministro delle Finanze tedesco: se Londra resta nell'Ue è la benvenuta. Le implicazioni di un approccio morbido. Il non detto della May

Strasburgo. Se il Regno Unito decide di non lasciare più l’Unione europea “le porte sono aperte”, ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, illuminando un non detto enorme dell’esito elettorale britannico. Con l’indebolimento di Theresa May, premier inglese, non è detto che si arrivi alla “soft Brexit”, e non è nemmeno detto che non si ritorni alla “no Brexit”.

 

“Brexit means Brexit”, lo slogan con cui la May aveva impostato la strategia negoziale per l’uscita dall’Ue, non significa più nulla nel momento in cui il voto dell’8 giugno ha fatto fare un balzo indietro di undici mesi al processo (la frase “Brexit significa Brexit” fu pronunciata l’11 luglio del 2016). Oggi la May deve assecondare le richieste dei Tory scozzesi che chiedono una “Open Brexit” e degli unionisti nordirlandesi che non vogliono una frontiera fisica con l’Irlanda. Secondo il Telegraph, conservatori e laburisti avrebbero avviato negoziati segreti per una “soft Brexit”. Un sondaggio di Harvard ha rivelato che quasi tutti gli imprenditori vogliono mantenere l’accesso al mercato interno e all’unione doganale (escluso dall’hard Brexit). Quanto all’Ue, diplomatici e responsabili politici sono “aperti a tutto”, ha spiegato l’influente eurodeputato tedesco Elmar Brok: “Dipende dalla flessibilità del governo britannico. Vogliamo mantenere al minimo i danni della Brexit”. L’ipotesi più “soft” di Brexit è la permanenza del Regno Unito nel mercato interno, con l’ingresso nello Spazio economico europeo che lega Norvegia, Islanda e Liechtenstein all’Ue.

 

Per l’economia britannica tutto continuerebbe come prima, ma Londra sarebbe costretta ad accettare la libera circolazione dei lavoratori europei, ad applicare gran parte della legislazione dell’Ue e a sottoporsi alla giurisdizione della Corte europea di giustizia. Direttive e regolamenti per la standardizzione dei prodotti o la regolazione dei mercati finanziari verrebbero negoziati a Bruxelles dai 27, senza che il governo britannico e la Camera dei Comuni possano dir nulla. Inoltre, come la Norvegia, il Regno Unito continuerebbe a contribuire al bilancio comunitario.


Theresa May (foto LaPresse)


Un modello alternativo “soft” potrebbe essere la Svizzera, che ha scelto di non entrare nello Spazio economico europeo, ma di perseguire accordi bilaterali per regolare i rapporti con l’Ue. Ma i paletti dei grandi princìpi fissati dagli europei, in particolare l’indissolubilità delle quattro libertà fondamentali, non cambierebbero: per poter commerciare liberamente con l’Ue la Svizzera deve accettare la libera circolazione dei lavoratori europei. Non c’è referendum che tenga. Il governo di Berna non è ancora riuscito a dare attuazione all’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa” votata nel 2014 e che avrebbe dovuto portare all’instaurazione di quote per l’immigrazione in provenienza dall’Ue. Una terza via tra “hard” e “soft”, che consentirebbe di superare la questione immigrazione, è un’unione doganale con l’Ue. Come con la Turchia, le merci del Regno Unito avrebbero libero accesso al mercato europeo. Nessuna dogana fisica o tecnica: la soluzione avrebbe il vantaggio di evitare una frontiera fisica tra Irlanda e Irlanda del nord e di permettere al Regno Unito di continuare a far parte degli accordi commerciali conclusi dall’Ue con paesi terzi. Ma la sovranità di Londra sarebbe comunque limitata, con il Regno Unito sottoposto a gran parte della regolamentazione dell’Ue e impossibilitato a perseguire accordi commerciali autonomi con Stati Uniti o altri partner, come immaginato dalla May con la “Global Britain”.

A Bruxelles il tempo sembra essere tornato a marzo, quando è stato attivato l’articolo 50. Tecnicamente la May potrebbe modificare la lettera con il mandato negoziale. “Basta che ci comunichino una nuova posizione più morbida”, spiega al Foglio una fonte comunitaria. Ma per l’attuale premier (o per il suo successore) il rischio è che tutte le opzioni “soft” siano politicamente impossibili da realizzare. La via d’uscita potrebbe essere una “long Brexit”: il ritiro formale il 29 marzo 2019 a mezzanotte, accompagnato da accordi transitori che permettano al Regno Unito di restare nel mercato interno e altri meccanismi comunitari per un periodo molto lungo (almeno 5-10 anni). O al limite la no Brexit, rimanere nell’Ue, come dice Schäuble.

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